Mary Wollstonecraft

Mary Wollstonecraft (1759-1797)

Mary, che da ragazza s’era ripromessa di non sposarsi mai,  morì il 30 agosto del 1797 per febbre puerperale,  dieci giorni dopo aver partorito la figlia Mary (Mary Shelley, che sarebbe poi divenuta l’autrice del famoso romanzo di Frankenstein).

Voleva essere aiutata soltanto dalla levatrice, non avere maschi intorno , invece fu assistita da un medico negligente che le causò una infezione che le procurò la morte.

Aveva trentotto anni.

Mary Wollstonecraft era nata a Londra il 27 aprile del 1759 in una famiglia modesta. A diciannove anni aveva cominciato a lavorare, dapprima aprendo una scuola insieme alle sue sorelle, poi come istitutrice. Aveva anche iniziato a scrivere, riversando da subito nei suoi libri la presa di coscienza delle ingiustizie subite dalla donne, di cui fin da piccola si era resa conto, ribellandosi al padre violento che infliggeva maltrattamenti alla moglie e alle figlie.

Nel 1787 pubblicò il libro “Riflessioni sull’educazione delle figlie”, cominciò a collaborare con la rivista “Analitical Review” e a frequentare il circolo Johnson, che radunava artisti ed intellettuali.

Nel 1792, forte della convinzione che l’educazione fosse fondamentale per la liberazione della donne   pubblicò  il libro “Rivendicazione dei diritti della donna”.

Nel dicembre dello stesso anno  lasciò Londra per Parigi, nella Francia rivoluzionaria; qui incontrò Gilbert Imlay, un ufficiale dell’esercito americano e con lui ebbe una figlia. Ma subito dopo la sua nascita venne abbandonata. A causa di questo amore finito tentò due volte il suicidio.

Nel 1796 torno in Inghilterra, dove si legò al filosofo e saggista William Godwin. Qui iniziò a scrivere il romanzo “L’oppressione della donna”: interrotto a causa della morte nel settembre del 1797, è un romanzo prevalentemente biografico, ma è anche un documento sulla condizione femminile nel ‘700.

Nel romanzo Mary chiama il matrimonio “prostituzione legale”, denuncia le ingiustizie subite dalle donne, le esorta ad istruirsi e a ricercare l’indipendenza economica. Critica aspramente il sentimentalismo, una filosofia del sentimento dannosissima specialmente per le donne, che vengono incoraggiate a privilegiare le emozioni a danno della razionalità.

Fondamentali le sue asserzioni sull’uguaglianza politica e sociale fra i due sessi, l’individuazione del legame fra dipendenza morale e dipendenza economica, ma anche le critiche mosse al sistema, la denuncia della disparità fra i ricchi e i poveri, della condizione infelice  dei bimbi abbandonati, dell’inefficienza del sistema ospedaliero, e il pronunciamento a favore del divorzio non solo  in caso di crudeltà fisica o adulterio del marito, ma come libera scelta

Romanzo di denuncia sociale, “L’oppressione della donna” è anche la testimonianza personale della vita di una donna in grande anticipo sui tempi, orgogliosa, coraggiosa,  ribelle alle convenzioni, capace di grandi passioni amorose e fermamente convinta di voler essere padrona del proprio destino,  affermandosi in piena libertà ed autonomia. Una donna inaccettabile per i conformisti della buona borghesia e dell’alta società del suo tempo.

intervista a Beatriz Preciado

Traduco con piacere questa intervista alla filosofa Beatriz Preciado apparsa su kaosenlared.

Ringraziando Lafra e il suo articolo sul postporno.

Intervista a Beatriz Preciado: “La sessualità è come le lingue. Tutti possiamo apprenderne molte”

di Luz Sánchez-Mellado | El país

Si muove per il Centro Pompidou di Parigi come Pedro in casa sua. Lo scenario le va a pennello. Alta, androgina, alternativa. Sperimentale. Preciado non ha problemi ad esibire la sua interiorità per spiegarsi a se stessa e al mondo. Autrice del “Manifesto controsessuale”- una spesie di bibbia del movimento transgender o queer- e di “Testo tossico”- dove spiega gli effetti che provoca nella sua vita sessuale la autosomministrazione di testosterone- questa trentanovenne di Burgos vive come pensa e pensa come vive. In costante rivoluzione contro le norme che determinano politicamente il sesso, il genere, il modo di cercare e di ottenere piacere. Filosofa, attivista alternativa e professoressa all’Università Parigi VIII, ha ha appena vinto il Premio Anagrama de Enzayo con “Pornotopia”, un saggio sull’impero Play Boy.

Quando aveva nove anni qualcuno telefonò a sua madre e disse: “sua figlia è una virago”. Ha sofferto da bambina?

Andavo in un collegio di monache, però non ho mai avuto problemi a causa del fatto che ero diversa. Quando mi chiedevano cosa volevo essere da grande, rispondevo: uomo. Mi vedevo come uomo perchè loro avevano accesso alle cose che volevo fare: astronauta o medico. Non l’ho mai vista come una cosa vergognosa o traumatica, era qualcosa a cui credevo di avere diritto.

Da piccola avevo anche un salvadanaio per farmi il cambio di sesso.

Che riferimenti aveva a quel tempo: Burgos, primi anni ottanta?

Nessuno. Mi muovevo in un mondo in cui il riferimento era la parrocchia, immaginati.

Allora si è orientata per istinto?

Da bambina sì. La scuola media è stata fondamentale. Simona, una maestra con un figlio autistico, riunì dei bambini con problemi e creò una classe. Il gruppo G. Autistici, superdotati, strani. Otto marziani brutti e atroci. Terribili, ma coccolati. Adoravo i miei professori, erano molto aperti col mio modo di essere.

Da allora ad oggi, come sopportano i suoi genitori il suo attivismo sessuale?

E’ stato traumatico e continua ad esserlo. Mio padre era un imprenditore rispettabile. Mia madre sarta per spose. Sono figlia unica. Immagino che si aspettassero altre cose da me. Sono religiosi e di destra, come si è di destra a Burgos, in modo irriflessivo. In quel contesto sono stata ribelle, non perchè lo volessi, ma perchè qualsiasi cosa facessi scandalizzava. Io ero un ufo, sì, ma non l’ho vissuto come qualcosa da nascondere.

Da dove viene la sua ribellione, se non soffre di essere come è?

Per me la cosa più dura è vedere come la gente si lascia reprimere.

Allora è una ribellione solidale? Continua a leggere

Laboratori aperti al Progetto Conciatori 23 gennaio firenze

Invito a partecipare alla giornata dei:
Laboratori aperti al Progetto Conciatori 23 gennaio in via dei conciatori

Contro la vendita del palazzo di via Conciatori, perchè non diventi uno spazio privato per usi privati

Il 23 gennaio tante persone si incontreranno ancora per mostrare ciò che in quello spazio si potrebbe e si può fare.

Tra le tante iniziative e i tanti laboratori c’è anche quello sul sessismo nel linguaggio dei media.Dalle 16.00.
Chi vuole partecipare è invitat@ a contribuire al laboratorio con ritagli, notizie, titoli, immagini da analizzare.

Spazio bimbi e movimento

10:30 presentazione del corso di qi-gong,
vestirsi comodi (con Anna)

11:00-12:30/ 15:30-17:00
Laboratorio di teatro per bambini (con Caterina)

17:00 “Danzare la vita”
Che cosa accadrebbe se, invece di limitarci
a costruire la nostra esistenza , avessimo la follia o
la saggezza di danzarla (con Manuela)

Spazio Autoproduzioni “Co’le mani”

10:30 Oggetti di pasta vinilica (con Stefania)

11:30 Laboratorio del pane (con Melania)

12:30 presentazione del corso di orticultura pensile

16:00 Fiori secchi, come essiccare e conservare (con Stefania)

17:00 Saponata, erbe e tintura madre (con Anna)

Spazio Riuso e Riciclaggio

11- 18 laboratorio permanente sull’arte del riciclare
per grandi e piccini (rififi e c.r.e.t.e.)

lab. riclo pelle e lab.pirografia su legno, esposizione
oggetti riciclati (riciclo riuso e mercato)

Laboratorio Multimediale

discussioni/interventi:
16:00 “Il sessismo nel linguaggio dei media”
con Enza Panebianco

17:00 “Verso l’insurrezione del cognitariato europeo”
con Franco Berardi

workshop
19:00 i balocchi dei Lep Loop (laboratorio di elettronica popolare-milano)
sintetizzatori, video-mixer DIY

incursioni visive e sonore:
“Spazi docili” Fabrizio Ajello
Transductors Connections

a partire dalle 21:00 suoni elettroautoprodotti con:

Barubiriza (tecno in 3/4 – Nuoro)

Tony Light (Lep Loop – milano)

bar e miseenscene collettivo-ausbahn

“l’aggrego”

11:00 apertura della Caffetteria sociale “L’aggrego”
che ospita per l’occasione una le tavole dei fumetti del
Collettivomensa

La bella vita

per pranzo, merenda e cena ci troviamo al circolo anarchico:
Porta quello che vorresti trovare!!!

Margarethe Faas-Hardegger

MARGARETHE FAAS-HARDEGGER
(1882-1963)

Margarethe Faas-Hardegger nasce in Svizzera nel 1882. Sin dai primi anni di scuola Margarethe sviluppa uno spirito ribelle, tanto che i genitori la mettono in un collegio per “redimerla”. Senza riuscirci.

In un’epoca in cui le donne erano rarissime nei movimenti operai o vi giocavano un ruolo soltanto marginale, Margarethe  è la prima donna nominata segretaria operaia dell’Unione sindacale svizzera: è il 1902 e lei ha 23 anni. Viaggia per la Svizzera denunciando l’ingiustizia sociale e lo sfruttamento di cui sono vittima soprattutto le lavoratrici, cercando di coinvolgerle nella lotta sindacale. Fonda e dirige inoltre due giornali destinati direttamente alle lavoratrici.

Le idee propugnate da Margarethe Faas-Hardegger sono scandalose per l’epoca: difende pubblicamente la necessità di un’educazione sessuale e della diffusione dei contraccettivi, il diritto all’aborto e all’amore libero (contrapposto al matrimonio) e chiede l’abolizione dell’esercito.

Si dichiara a favore dell’azione diretta e le sue idee diventano sempre più libertarie e rivoluzionarie.

Il suo temperamento e le sue idee anticonformiste suscitano la disapprovazione dell’ambiente in cui vive: perde il posto di lavoro come segretaria operaia, si scontra con gli amici e si separa dal marito. Fonda con altri due comuni basate sui principi dilibertà,  uguaglianza esolidarietà tra i membri, che però hanno vita breve . Infine, viene anche condannata a un anno di prigione per avere aiutato diverse donne ad abortire.

Successivamente accoglie in casa propria rifugiati tedeschi in fuga dal nazismo e  continua fino alla fine a lottare a favore del movimento pacifista e femminista.

Muore in svizzera il 23 settembre del 1963.

«Frequento quasi soltanto i più poveri, i miserabili, quelli che stanno sul gradino più basso della scala sociale, là dove ci troviamo anche noi lavoratrici, i disperati per i quali la speranza, le emozioni e la vita sono possibili unicamente in una società completamente rinnovata.»

ni una màs

Il cadavere di Susana Chàvez è stato ritrovato in un quartiere della periferia di Ciudad Juarez, con la testa avvolta in un sacco di plastica nero e una mano mozzata, come se la avessero voluta castigare per tutto quello che aveva osato scrivere e denunciare.

Susana aveva 36 anni, era poetessa e attivista per i diritti delle donne, da anni protestava contro i femminicidi nello stato di Chihuahua, lei aveva coniato lo slogan “Ni una màs”. Leggeva le sue poesie durante le manifestazioni per le donne scomparse e assassinate:

“Sangue mio, sangue di alba, sangue di luna tagliata a metà, sangue del silenzio”.

La morte risale al 6 gennaio, ma le autorità hanno consegnato il suo corpo cinque giorni dopo. Perché? La versione che la questura di Chihuahua vuole spacciare per vera è che si è trattato di un crimine comune che non aveva nulla a che vedere con il suo attivismo.

Ma l’assassinio di Susana segue quello di altre due sue compagne di lotta: Josefina Reyes, lo scorso 4 gennaio, e Marisela Escobado, il 16 dicembre. Dal 2009 sono13 i militanti per i diritti umani uccisi, uomini e donne, e l’autorità di Chihuahua non è stata capace di far luce su nessuno di questi omicidi, così come non è riuscita a risolvere i casi di femminicido, 466 solo lo scorso anno- o non ha voluto farlo. Una donna assassinata ogni 20 ore. E le organizzazioni delle donne, quasi sole, si oppongono a questa carneficina. Per questo le ammazzano.

E in Italia? Solo ieri due donne e un uomo uccis* dalla violenza maschile in provincia di Cagliari. Oggi a Viareggio il funerale di Rajmonda Zevi, uccisa dal marito l’ultimo dell’anno, il suo corpo buttato in un bosco e ritrovato dopo giorni.

Come quello delle desaparecidas di Ciudad Juarez, sepolte nel deserto.

E quante altre?

E noi, che vogliamo fare?