uomini che aiutano altri uomini a disertare il patriarcato e la violenza maschile

Con piacere presentiamo questa segnalazione di alfa gamma (disertore) che dalla mailinglist di femminismoasud ci invita a diffondere l’iniziativa

Lo “Sportello telefonico per l’ascolto del disagio maschile” nasce dalle esperienze dell’Associazione “Cerchio degli uomini” ed è un’iniziativa realizzata in collaborazione con la Provincia di Torino ed ha lo scopo di fare emergere il disagio relazionale maschile e di prevenire la violenza nei confronti delle donne e dei minori, all’interno della famiglia e nei vari ambiti sociali.

Il Cerchio degli uomini, prima come gruppo, poi come associazione, ha lavorato sulle questioni di genere a partire dal maschile per un cambiamento degli uomini che portasse ad una società basata sul riconoscimento delle differenze nel rispetto dei pari diritti ed opportunità tra i sessi e tra culture e religioni diverse, abbandonando la logica della prevaricazione e della violenza nella soluzione dei conflitti.

Abbiamo scelto, in accordo con la Provincia di Torino, di definire il servizio come ascolto del disagio maschile per lavorare nel sommerso del problema della violenza: il 95% delle violenze domestiche non viene denunciato, ma dimora nel silenzio, se ne conosce ancora abbastanza poco e gli uomini molto spesso non riconoscono la violenza e difficilmente se ne assumono la responsabilità. Si vuole inoltre approfondire attraverso quali percorsi ed in quali situazioni il disagio si trasformi in violenza e se e come dietro la violenza vi sia sempre un disagio che è spesso negato e rimosso, avallato dalla cultura e dalla collusione sociale.

Ci si avvale, dell’esperienza di 11 anni di gruppi di condivisione e confronto tra uomini e tra donne e uomini, della formazione come counselors di alcuni degli addetti al servizio, di formazioni specifiche nell’ambito della violenza alle donne ed ai minori e nel campo della gestione delle linee telefoniche in anonimato (help lines) dedicate ai disagi.

lunedì e martedì dalle 18 alle 19 e mercoledì, giovedì e venerdì dalle 12 alle 13

Incontro nazionale di Maschile Plurale Torino, 9-10 ottobre 2010- Quell’oscuro oggetto del desiderio

In quel momento ho capito che io ero una persona con tutti i miei diritti.

Lei no.

E non sono tornato mai più.

INCONTRO NAZIONALE di Maschile Plurale

Torino, 9-10 ottobre 2010

QUELL’OSCURO OGGETTO DEL DESIDERIO

Immaginario sessuale maschile e domanda di prostituzione

Con questo incontro cerchiamo di focalizzare il rapporto tra immaginario sessuale maschile, prostituzione e tratta nell’Italia di oggi, come un tassello importante della nostra riflessione sul mondo maschile. La prostituzione, presentata come un fenomeno derivante dall’esterno che inquina la vita delle nostre città, alimenta politiche securitarie e di repressione di donne e uomini immigrati. Noi invece crediamo riguardi la nostra società, che ne genera la domanda.

Per questo mettiamo a confronto i seguenti due aspetti, che si possono illuminare l’un l’altro.

1 – C’è una domanda maschile di prostituzione – femminile, transessuale, maschile -, che oggi in Italia coinvolge alcuni milioni di clienti (pur nell’incertezza dei dati)

2 – Per andare al fondo di questa domanda, bisogna interrogare l’immaginario sessuale maschile, le sue/nostre rappresentazioni qui e adesso:

– Possiamo illuminare una zona grigia di contiguità tra un “normale” immaginario sessuale di dominio maschile (fortunatamente non l’unico) e la “normale” domanda di prostituzione? C’è un terreno comune tra chi è cliente e chi non lo è, in questo immaginario della sessualità maschile come forma di dominio?

Parliamo di una cultura di dominio del maschio eterosessuale bianco occidentale: sulle donne, sui bambini nelle forme come la pedofilia o il turismo sessuale, sugli altri uomini “non conformi” al modello dominante come gli omosessuali, sulle persone transessuali, sulle persone immigrate in Occidente.

Questa cultura maschile, che coltiva immagini e desideri coerenti al mercato della prostituzione e della tratta, ci sembra la più diffusa in Italia.

Al di là del suo occultamento e rimozione dal discorso pubblico (se non fosse per gli ultimi scandali sul tema “sesso e potere”), crediamo importante fare emergere questi desideri.

– D’altra parte, possiamo riconoscere una diversa cultura della sessualità maschile, che coesiste e confligge in noi con la mascolinità dominante?

Ci interessa rilanciare altre possibilità del nostro essere maschi. Sono immagini ed esperienze di relazioni libere e non violente tra uomini e donne, di riconoscimento e di rispetto degli orientamenti affettivi e sessuali di ogni persona.

Senza giudicare né volere reprimere chi si prostituisce, poniamo invece agli uomini questa idea della domanda di prostituzione come un impoverimento delle relazioni sessuali, ridotte al consumo, alla mediazione del denaro e all’indifferenza.

Per noi uomini, dunque, l’immaginario sessuale maschile diventa un terreno di ricerca, di conflitto, di interrogazione reciproca.

Anche nel dibattito pubblico su prostituzione e tratta, questa riflessione sulla cultura italiana della sessualità maschile, a partire da sé stessi, è il punto di vista che vorremmo portare.

Sappiamo che varie associazioni/organizzazioni lavorano a fianco delle donne e delle persone transessuali prostitute, spesso sotto tratta, e tra queste tante straniere. Emerge ultimamente anche il fenomeno della prostituzione maschile (per esempio nel caso Balducci).

Gli approcci di accompagnamento di queste persone, in regime di prostituzione o di tratta, tendono a garantire loro alcuni diritti. Il terreno di lavoro diventa quindi:

– la richiesta di una migliore tutela giuridica e di servizi

– la gestione di progetti specifici

– la collaborazione o meno con le istituzioni.

L’approccio di Maschile Plurale è invece dal lato degli uomini, deriva da un lungo percorso di scambi e di riflessione sul maschile in Italia, a partire da sé.

D’altra parte, teniamo il filo delle relazioni anche con il variegato mondo delle donne e ci interessa il loro dibattito in corso sulla prostituzione. Di questo dibattito, evitando le contrapposizioni interne che non aiutano a sviluppare un confronto, vorremmo cogliere gli elementi positivi per quanto ci riguarda come uomini.

Dunque il nostro contributo può essere quello di parlare “da uomo a uomo”, nel discorso pubblico, per favorire:

– un salto di coscienza politica, riguardo la cultura italiana della sessualità maschile

– una discussione degli interventi in atto, nei casi specifici della prostituzione e della tratta

Infine, speriamo che lo scambio tra tutti i soggetti interessati sia di reciproco arricchimento e, di seguito, che possiamo collaborare ad alcune iniziative condivise.

Per esempio, una nostra ipotesi è quella di rilanciare un convegno nazionale su questi temi nel 2011.

Soggetti, luogo e calendario

L’associazione nazionale Maschile Plurale, che promuove l’incontro, invita le associazioni e organizzazioni che si occupano di prostituzione e tratta a confrontarsi su questo tema. L’incontro si terrà presso Idea Solidale, corso Novara 64, Torino, con il seguente calendario:

– Sabato 9 ottobre (ore 9 – 13; ore 15,00 – 19,00): incontro interno di Maschile Plurale

– Domenica 10 ottobre (ore 9 – 13): incontro con le associazioni e organizzazioni invitate

Se lei non fosse minacciata e parlasse, cosa mi  direbbe?

le vignette sono di Diana Raznovich e fanno parte di una campagna del Ministerio de igualdad del governo spagnolo contro lo sfruttamento sessuale


lei è Isoke Aikpitanyi

uomini che non odiano le donne

Cè un problema

E quindi dopo le veline, le letterine e le papi-girls irrompono le “gheddafine”, reclutate con frasi dirette quali: “avrete dei grandi vantaggi come sanno le ragazze profumatamente pagate a Tripoli”.

Qualcuno potrebbe pensare che l’uso del corpo della donna si è arricchito di una ulteriore interessante sfumatura, che anzi davanti ad una pagliacciata come quella che il buffo omino di Arcore ha allestito abbiamo raggiunto il punto più basso nonostante in quanto a pagliacciate il Nostro gareggia ormai con qualsiasi circo di serie C, e che l’uso delle gheddafine rientra nella normale dialettica berlusconiana quando si tratta di fare affari.

Ora, da parte di quelle donne alle quali certi modelli provocano – giustamente – conati di vomito e pulsioni omicide, sarebbe l’ora di fare una minima presa di coscienza.

E’ importante, per non dire fondamentale, continuare a denunciare gli episodi non solo di violenza maschile e maschilista, le continue vessazioni psicologiche a cui molte donne sono sottoposte in casa, sul lavoro, nella loro vita personale. E’ fondamentale farlo e continuare a farlo.

Ma credo che questo mercimonio ad uso e consumo dei potenti sia ormai degno di qualche parola un pò più chiara anche e proprio da parte di quelle donne che si impegnano ogni giorno nel contrastare un modello che – francamente – svilisce non solo la donna ma il genere umano nel suo intero.

Non basta più la semplice indignazione perché con la presentazione (e non è la prima volta) delle gheddafine il buffo omino di Arcore ha definitivamente sdoganato la rappresentazione mediatica e spettacolare della prostituzione a 360° della donna.

Queste ragazzine messe lì a plaudire un dittatore che arriva coi suoi bei libri Sacri usati come veicolo politico-affaristico sono la dimostrazione che in questo momento ciò che la banda di delinquenti al governo chiede agli italiani: è vendere, oltre al culo, qualsiasi altra cosa sia possibile vendere.

Perchè gli affari sono affari e chi critica ha una visione retrograda o come caspita ha chiosato il buffo omino di Arcore.

E le ragazzine si sono svendute a bella posta e senza battere ciglio.

Ora, signore e signori difensori dei diritti della donna (fra i quali mi ci metto pure io sennò cosa cazzo starei qua a scrivere), converrete che c’è un fronte da aprire ufficialmente oltre a quelli dei maschi patriarcali che usano le mogli come sacco da boxeurs, che si dilettano stalkeggiando ex-fidanzate o ambite prede, capuffici e colleghi mobbisti, maschilisti pipparoli e via dicendo.

Il fronte è quello delle donne che amano troppo svendersi.

Cominciamo con le donne della destra: già lo schierarsi dalla parte del buffo omino di Arcore configura l’apparire già col cartellino del prezzo bene in vista.

E difatti le signore schierate col buffo omino di Arcore non hanno fatto pè.

Più facile strillare contro la lapidazione della povera Sakineh, visto che l’Iran è in testa in tutti i sondaggi nella corsa al prossimo Babau.

Ma c’è dell’altro, naturalmente.

Il fare la coda a migliaia per apparire con le chiappe di fuori e pronunciare alcune monosillabi dal dubbio senso, compiere alcuni e malfermi passi di danza, fare l’arredo sui cartelloni pubblicitari sotto frasi in confronto alle quali i neomelodici napoletani ne escono come dei gentiluomini in stile belle epoque, l’assurgere a modello una parata di anoressiche che a 40 anni saranno buone giusto per ingrassare le tasche di case farmaceutiche e psichiatri vari, il fare riferimento sempre e comunque all’attuale messaggio spettacolare che qui in Italia è diventato l’unico strumento socialmente accettabile per la donna secondo i propagandisti di questo governo.

Ora, sarà anche un modello maschilista, sessista, pericoloso perché non è altro che una variazione sul tema della donna-oggetto e quindi il messaggio che arriva al popolo é quello che la donna va COMUNQUE sottomessa e che comunque la dà senza scrupoli e che è solo questione di prezzo, tutto questo c’è e va combattuto, ma i culi in televisione, le facce ebeti e gonfie di silicone, le perle di saggezza che escono ogni volta che le signorine aprono bocca, il rifinirsi di merda psicofarmaceutica per perdere mezzo chilo, ecco, non mi risulta siano degli uomini a farlo.

Sono delle donne.

Delle donne che hanno liberamente scelto di vendersi.

Anche l’uomo si vende, per carità.

Ma si vende in un contesto in cui avrà sempre il vantaggio del farlo da uomo.

La merce che ha da offrire sta esclusivamente nel vuoto pneumatico nella parte di cervello addetta alla formazione di valori etici. Punto.

In questo attuale contesto sociale la donna deve vendere TUTTO.

E con le gheddafine abbiamo dimostrato che quando c’è da vendere tutto sappiamo cosa intendiamo.

Ecco, quando intendo che va aperto un fronte anche sulle donne intendo questo e per favore si eviti la buffonesca scusa che è colpa esclusivamente dell’uomo e dei suoi modelli maschilisti e sessisti.

Qui la parte di responsabilità da parte di un numero molto – molto alto di donne è molto – molto consistente.

Talmente molto consistente che comincio a pensare dia fastidio anche a chi per i diritti delle donne si fa il culo ogni giorno visto che il rapporto fra denuncia delle SOLITE (parliamo di qualche millennio) prevaricazioni fisiche, morali e mentali da parte dell’uomo e della condiscendente complicità con la quale le donne si prestano nel vendersi il vendibile é decisamente squilibrato.

Che non mi si venga a dire, per favore, “io l’ho detto, io ho denunciato” perché seppure con svariate diottrie in meno gli occhi ancora mi funzionano e la stampa, i blog, le tv e tutti i mezzi di comunicazione possibili riesco ancora a leggerli e guardarli ed a questo punto mi sembra una assoluta ipocrisia puntare il dito sempre e prima sul modello maschilista-kativo quando spunta fuori un culo perizomato seguito da slogan e battutine-sega.

C’è UNA messa lì che lo permette ed ha scelto di farlo. Di sua spontanea volontà.

Perché è carina, perchè guadagna bene, perchè frequenta gente strapiena di soldi, perché si sente ricoperta di attenzioni, perchè appare, PERCHE’ E’ SEMPRE MEGLIO CHE MUOVERE IL CULO E DARSI DA FARE AFFINCHE’ QUESTO MODELLO SPARISCA.

Se c’è una cosa che mi manda il sangue agli occhi è il luogo comune per cui le donne sono tutte troie.

E ancora di più mi manda in bestia il vedere quante donne si danno da fare affinchè questo luogo comune resista.

Ecco, sarebbe il caso di farlo presente ogni tanto.

P.S. Sarei curioso di leggere una statistica seria sul consumo femminile di psicofarmaci. E chi pensa che non ci sia relazione con quanto ho scritto vada a farsi vedere da uno bravo. Di volata.

(nella foto: il nostro Ministro per le Pari opportunità)

http://iltafferugliointeriore.blogspot.com/2010/09/ce-un-problema.html
Pubblicato da sassicaia molotov

martedì 31 agosto 2010

Teo e le donne

Questo post non può prescindere da Lapidazioni italiane, provienente da Femminismo a Sud, e neppure da C’è un problema, scritto da Sassicaia Molotov. Un’avvertenza necessaria e tutta una serie di cose da considerare bene.

L’immagine che vedete, non si vedrà mai su nessun monumento. Su nessun Palazzo Vecchio. Su nessun Colosseo, che ultimamente è arrivato persino a fungere da supporto mediatico anche per soldatini di un esercito di assassini invasori. Non la vedrete mai come icona alla moda. Non sentirete mai parlarne nessun Sarkozy, nessun Saviano, nessuna Santanchè, nessun Napolitano, nessun sindaco di una città o di un paesino. Non ha nessun nome esotico; anzi, potrebbe avere benissimo il tuo nome. Potresti essere tu. Giovanna, Isabella, Fatma, Rachel, Vanessa, Dagmar, Aysha, Françoise, Encarnación. Potrebbe essere quello di qualsiasi donna di qualsiasi parte del mondo. Potrebbe essere qualsiasi immagine, in qualsiasi momento.

L’immagine di una casalinga qualunque, tra la cucina e la violenza quotidiana, tra i figli e la certezza che, a una data ora, si aprirà una porta e non ci sarà nulla da fare. Non è, però, un’immagine che serve ai giochetti dei potenti e delle loro corti; serve solo a una brevissima cronaca, e a due o tre giorni in cui, in mancanza di meglio, può contribuire alle vendite o agli accessi pubblicitari. L’immagine di una ragazzina che, in queste ore, potrebbe essere nelle mani del branco di scusabili, ché un pretesto buono lo si trova sempre. Potrebbe essere l’immagine di una donna di Ciudad Juárez, una fica con qualche chilo di carne da macello intorno; o quella di un’attiramaschi da discoteca, a ballare sul cubo in mezzo a vomiti, sudori, musiche assordanti. Le stesse che ti schiacciano in un tunnel a cura di una polizia, mentre credi di divertirti; le stesse che coprono le tue grida mentre, in un piccolo appartamento d’una periferia strana, il gentile ragazzo conosciuto alla festa sta ponendo fine alla tua umanità.

E non importa quel che credi, quel che pensi. Potrebbe essere la tua immagine anche se sei quella sedicenne che, non più di due sere fa, mi ha detto di persona di odiare i rumeni perché loro hanno lo stupro nella loro cultura; li odiava, sembra, anche la sua coetanea che poi è stata oggetto di un’esecuzione capitale in bicicletta, a cura del fidanzato veneto. Potrebbe essere la tua immagine anche se ti vendi e ti svendi, ché non ha alcun senso mettere la cosa in questi termini ora come ora. Potrebbe essere sì l’immagine di una delle gheddafine, ma nessuno si indignerebbe tanto per una qualsiasi hostess ingaggiata per un congresso di pentole, di medicine, di biancheria o di filmati. Ti vogliono sempre giovane e di bella presenza. Ti vendi perché fai parte, come tutti, del sistema in cui ciò che soltanto conta è vendere e comprare; e ne fai parte perché, poco o tanto, ti pagano. Esattamente come un operaio alla catena. Esattamente come un insegnante ligio o non ligio alla Gelmini. Esattamente come un precario o una badante, esattamente come un addetto teatrale o un autista di ambulanze.

Potrebbe essere, con quel punto interrogativo nel mezzo, la tua immagine viva o la tua immagine morta; l’immagine di un oggetto che può trovare o meno il suo uso. Potrebbe essere anche quella della signora Carla Bruni, quella di Nadia Desdemona Lioce, quella di Diana Blefari Melazzi, quella della madre sparata per strada con la figlia in braccio per dissidi familiari, quella della donna rom ammazzata come un cane dall’ex poliziotto razzista, quella di una delle decine di donne che ogni giorno muoiono male in tutto il mondo senza che a nessuno gliene freghi nulla. Perché nessuna è immune. E potrebbe essere anche quella di Sakineh, lontana dal vomitevole balletto che le viene danzato sulla testa e sulla pelle; ché a lorsignori non gliene importerebbe niente, se invece di essere in Iran fosse in una qualsiasi altra parte del mondo dove non stanno a arricchire l’uranio, a estrarre petrolio, a scompigliare equilibri internazionali. Non gliene importava a nessuno di Karla Tucker o di Aileen Wuornos, a parte a Diamanda Galás che le dedicò la sua impressionante versione della Iron Lady di Phil Ochs.

Ché l’immagine è quella decisa da Teo, e Teo decide se meriti di essere conosciuta o ignorata, se se sia utile o inutile, se convenga o non convenga a chi comanda. Decide Teo come debba essere l’immagine, se coperta o non coperta da un velo, se avvolta dal possesso travestito da finto amore per il contratto o la riproduzione, oppure fatta oggetto di pietre, di scariche elettriche, di iniezioni letali e di morali più letali delle iniezioni. E Teo è un personaggio strano, evanescente, proteiforme. Spesso va sotto il nome di Stato, perché non esiste uno Stato che non se ne faccia scudo; neanche uno. Non esiste lo Stato senza Teo, senza i suoi pilastri, senza la sua famiglia, senza la sua legge. C’è la Repubblica Islamica dell’Iran e la Repubblica Cattolica dell’Italia. Ed è totalmente inutile battersi per cose come la laicità, perché la laicità non potrà mai esistere finché esiste qualsiasi forma di Stato. Ci hanno abituati, da un po’, a credere che ci sia un Teo meglio di un altro; che ci sia un Teo d’amore e uno di odio, un Teo mit uns e un Teo nemico, un Teo giusto e un altro ingiusto; ma ne esiste uno solo, in tutte le sue mille forme in finto contrasto. Lui e il suo compare Stato. Lui e i suoi officianti in divisa da poliziotto o da prete, da giudice o da benefattore, da burocrate dei fogli o da burocrate dello spirito, da carceriere o da madonnina; e si pensi soltanto alle migliaia di volte in cui tutte queste sue forme si confondono, ai crocifissi nei bracci della morte e non soltanto nelle aule scolastiche, alle barbe marce e puzzolenti di tutti gli amministratori di violenza e di morte, e soprattutto al modo in cui liberarsene definitivamente, una volta per tutte.

Sulle facciate dei palazzi storici dovrebbe andare il profilo senza volto di una donna, perché la donna è una variabile impazzita nell’ordine di Teo e dei suoi servi. Una variabile che ha tutti i nomi del mondo, e che deve essere semplicemente utilizzata, gettata via, piegata, neutralizzata, sterminata. E non è, a questo punto, soltanto questione di disertare: è questione, invece, di lottare senza quartiere, di passare all’attacco frontale. Contro Teo e la sua morte, per la vita. Per un mondo dove non ci siano più morali costruite sulle più micidiali panzane trasformate costantemente in Stato e Legge. Per un mondo senza sacri pilastri. Per un mondo veramente libero. E smettere di crederci significa farsi complici di Teo e del suo Stato. Significa aprire lo sportello della macchina del branco che ti porta via. Significa scagliare la prima pietra, e non soltanto la prima.

Perché Teo odia le donne e le vuole morte. Ed è del tutto chiaro come mai. Teo è come il dottor Antonio dello straordinario episodio felliniano di Boccaccio ’70, interpretato da Peppino De Filippo. Teo ha sempre davanti il manifesto di Anita Ekberg che invita a bere latte, ché il latte fa bene. Teo deve distruggere quella tentazione, che lo ridurrebbe a quel che è: un ometto con il cazzo ritto, e con la rabbia di doversi tirare una sega perché lei non gliela dà. La morte, Teo, la ha creata per quello. Da qualche parte nell’universo c’è un armadio con dentro il cadavere di Tea, e anche lei è dentro quell’immagine senza volto e li ha tutti quanti.

Pubblicato da Venturik