Pride. Combattiamo per il pane, ma combattiamo anche per le rose

“Pride” di Matthew Warchus.

Siamo nel 1984, nell’Inghilterra della Thatcher. Il sindacato dei minatori ha indetto uno sciopero contro la chiusura delle miniere., sciopero durissimo  che durerà un anno.

Al Pride di Londra dello stesso anno un gruppo di giovani militanti si organizza per raccogliere fondi per sostenere la causa dei minatori in sciopero, dando vita al movimento LGSM (Lesbians and Gays Supports the Miners).

Da questa iniziativa nascerà, non senza dover superare difficoltà, barriere e pregiudizi da entrambe le parti, un percorso di collaborazione che porterà i rappresentanti dei minatori ad aprire il corteo del Pride dell’anno successivo.

Bel film, emozionante e commovente, bella storia di lotte condivise, di persone che cambiano nell’incontro con l’altro. Una storia che ci racconta che tutte le lotte sono importanti e soprattutto che sono collegate tra loro. Perché la lotta è una.

“Non capisco chi combatte solo per i diritti dei lavoratori senza combattere per i diritti delle donne, o chi combatte per i diritti degli omosessuali senza interessarsi dei lavoratori” dice Mark Ashton, attivista ventiquattrenne soprannominato “il comunista”.

E non posso che essere daccordo con lui.

As we come marching, marching in the beauty of the day,
A million darkened kitchens, a thousand mill lofts gray,
Are touched with all the radiance that a sudden sun discloses,
For the people hear us singing: “Bread and roses! Bread and roses!”

As we come marching, marching, we battle too for men,
For they are women’s children, and we mother them again.
Our lives shall not be sweated from birth until life closes;
Hearts starve as well as bodies; give us bread, but give us roses!

As we come marching, marching, unnumbered women dead
Go crying through our singing their ancient cry for bread.
Small art and love and beauty their drudging spirits knew.
Yes, it is bread we fight for — but we fight for roses, too!

As we come marching, marching, we bring the greater days.
The rising of the women means the rising of the race.
No more the drudge and idler — ten that toil where one reposes,
But a sharing of life’s glories: Bread and roses! Bread and roses!

(trad. italiano): Mentre marciamo, marciamo nella bellezza del giorno, un milione di cucine annerite, mille lucernari di fabbriche grige, sono toccate da tutto il fulgore che un sole improvviso dischiude, per chi ci ascolta cantiamo: “Pane e rose! Pane e rose!” Mentre marciamo, marciamo, noi ci battiamo anche per gli uomini, perchè sono figli di donna, e noi anche le loro madri. Le nostre esistenze non saranno sfruttamento dalla nascita sino alla tomba. I cuori patiscono la fame come i corpi, dateci il pane, ma dateci anche le rose! Mentre marciamo, marciamo, innumerevoli donne morte, vanno piangendo attraverso il nostro canto il loro antico lamento per il pane. Il loro spirito stemato conobbe poca arte, poca bellezza e poco amore. Si, è per il pane che combattiamo, ma noi combattiamo anche per le rose! Mentre marciamo, marciamo, noi portiamo giorni grandiosi. La riscossa delle donne significa la riscossa dell’umanità. Non più chi si massacra di lavoro e chi ozia, i tanti che sgobbano e i pochi che riposano, ma la condivisione delle glorie della vita: pane e rose! Pane e rose!

Consigli per le feste

scritto da: gilda mercoledì 24 dicembre 2014 alle 06:32

Son tempi questi in cui la lotta di classe non va più di moda. Ter­mine in disuso. E soprat­tutto prat­ica in disuso.

C’è chi si dà allo spir­ito puro o  alla mate­ria più bruta o sem­plice­mente  al pro­prio tor­na­conto, chi coltiva il pro­prio orticello, chi va a letto e  si copre il capo, chi con­tinua impert­er­rito ad andare a votare.

C’è chi si ricorda della sua bella gioventù di lotta e chi lotta clic­cando “mi piace”  e fir­mando molte petizioni sui social network.

C’è chi dice che le cose hanno tante sfu­ma­ture, chi è con­vinto che le malat­tie dipen­dano esclu­si­va­mente da noi stessi, come se intorno ci fosse il vuoto, e c’è chi va a bal­lare il tango per il papa anche se è ateo da generazioni.

L’individuo al centro.

C’è chi dà tutta la colpa agli immi­grati e chi è tal­mente dis­per­ato che non riesce a fare più niente se non cer­care di soprav­vi­vere, c’è anche chi per la dis­per­azione la fa finita.

C’è per for­tuna chi ci crede ancora e cerca strade per cam­biare le cose e chi, come me purtroppo, un po’ ci ha rin­un­ci­ato (ma è per­ché me lo posso per­me­t­tere, ho una casa, un lavoro) e cerca solo di con­ser­vare un po’ di coerenza e di decenza.

E non me ne sto tirando fuori, non mi sento un’anima pura.

Chi alla lotta di classe non ha mai smesso di cred­erci sono loro,  i padroni con i loro servi e com­pari, che non hanno mai smesso di fare la guerra ai pover­acci, una guerra spietata.

Per ricor­darci che esistono delle classi, per fare un po’ di chiarezza in questa melma feis­bukkiana dove tutto diventa uguale e indifferenziato, per “san­tifi­care” queste feste a modo nos­tro, con­siglio un libro e un film.

Il libro, o meglio i libri, sono i due volumi (c’è anche il terzo in preparazione) de “Il sol dell’avvenire” di Vale­rio Evan­ge­listi. Il primo: “Il sol dell’avvenire. Vivere lavo­rando e morire com­bat­tendo”, ambi­en­tato nell’Italia post-risorgimentale seguendo le vicende di con­ta­dini e brac­cianti romagnoli, si con­clude con il 1900. Il sec­ondo “Il sol dell’avvenire. Chi ha del ferro ha del pane”, sem­pre sit­u­ato  in Emilia e in Romagna, ma che, come il primo, ha un respiro più ampio, ci porta fino al bien­nio rosso (uno dei miei peri­odo storici prefer­iti quando andavo a scuola: che godi­mento quelle bandiere rosse e nere piantate sulle fab­briche e quegli operai che si impos­ses­sa­vano di quello che gli spet­tava di diritto) e al primo apparire del fas­cismo. La sto­ria della vita della povera gente e delle lotte sociali e politiche  in un’ottica asso­lu­ta­mente di classe. Senza trac­cia di retor­ica. Sec­ondo me un’operazione stor­ica che è sem­pre nec­es­sario e utile rin­no­vare.  Sto­ria che ci parla del pre­sente. E poi tante donne in questi libri, donne pro­tag­o­niste. Bel­lis­simi tutti e due. Aspettiamo il terzo.

Il film è l’ultimo di Ken Loach, “Jimmy’s Hall”, sto­ria vera ambi­en­tata nell’Irlanda rurale degli anni ’30. Sto­ria min­ima, sto­ria di una sorta di cen­tro sociale nel mezzo delle cam­pagne irlan­desi, dove le per­sone si ritrovano a stu­di­are, dis­cutere, dipin­gere, bal­lare (sarà per quello che mi è piaci­uto, in questo peri­odo non fac­cio altro che bal­lare). In alcune critiche al film si parla di schema­tismo: forse ci si riferisce anche a questa scena:

Beh, se è schematico questo dis­corso (per altro asso­lu­ta­mente attuale), allora evviva lo schematismo.

Auguri di classe a tutt*!

we want sex

Il film “We want sex” di Nigel Core racconta una storia di fabbrica, di donne lavoratrici..

E’ il 1968, le 187 operaie della fabbrica della Ford di Dagenham, Essex, lavorano in un vecchio capannone, isolato rispetto al resto della fabbrica,l’ ambiente è fatiscente, piove dentro, fa un caldo boia. Le donne cuciono i rivestimenti interni delle auto.  Sono pagate come operaie non qualificate, e soprattutto sono pagate molto meno dei loro colleghi maschi.

Ma le donne della fabbrica Ford ne hanno abbastanza e decidono di scioperare per avere lo stesso salario degli uomini. Sarà uno sciopero lungo e duro.

La lotta coinvolge anche la loro vita personale di donne, che si trasforma e cambia, perchè sempre nella partecipazione all’agire collettivo i rapporti e i ruoli consolidati vanno a gambe all’aria, si sovvertono e gli orizzonti diventano più ampi.

Dovranno affrontare non solo lo scontro con la dirigenza Ford, ma anche l’opposizione di dirigenti sindacali sottomessi e maneggioni, i mariti che si stancano delle loro assenze, l’ostilità degli altri operai, i maschi, perché fermando la produzione mettono a rischio anche i loro stipendi.

Ma loro continueranno a oltranza, fino a bloccare tutta la fabbrica, fino al conseguimento del risultato. Grazie alla loro dura lotta nel 1970 verrà varata in Inghilterra la equality pay act, la legge che sancisce il diritto all’uguaglianza salariale tra uomini e donne.

Una commedia divertente e brillante che racconta una bella  storia di lotta e di solidarietà.

 

donne senza uomini

Al cinema ODEON a Firenze il 9 marzo c’è una giornata dedicata all’artista e regista iraniana Shirin Neshat.

La video-artista incontrerà il pubblico nel pomeriggio e sarà poi presente in sala per l’anteprima del suo film “Donne senza uomini” vincitore del Leone d’Argento alla 66esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

I biglietti saranno disponibili in prevendita alla cassa del cinema da venerdì 5 Marzo

Programma della giornata:

ore 18.00 INGRESSO LIBERO

SHIRIN NESHAT incontra il pubblico

coordina Silvia Lucchesi, direttore Lo schermo dell’arte Film Festival

ore 21.00

Anteprima del film “DONNE SENZA UOMINI” di SHRIN NESHAT con la collaborazione di SHOJA AZARI (Germania, Austria, Francia, 2009, 95′)

alla presenza della regista e dello sceneggiatore Shoja Azari

versione originale con sottotitoli in italiano

Trasposizione (sur)realista e magica del romanzo omonimo di Shahrnush Parsipur, Donne senza uomini segna il debutto alla regia di Shirin Neshat, artista di arte visiva contemporanea, analizza le difficili condizioni sociali all’interno della cultura islamica,con particolare attenzione al ruolo della donna.

Tehran, 1953. Durante il conflitto per emancipare la Persia dalle potenze europee e ottenere la nazionalizzazione della Anglo-Iranian Oil Company, quattro donne di diversa estrazione sociale cercano di sopravvivere ai loro destini tragici e determinati (da padri e fratelli). Munis è una giovane donna con un’appassionata coscienza politica che resiste all’isolamento impostole dal fratello, Faezeh sogna di sposare l’uomo che ama, Fakhiri, sposata senza amore, lascia il marito e riaccende la fiamma di un sentimento trascorso, Zarin è una prostituta abusata dagli uomini di cui non distingue più i volti. A un passo dalla democrazia, sfumata con un golpe militare organizzato dalla CIA, Munis, Faezeh, Fakhiri e Zarin lasceranno la città per la terra, uno spazio prodigioso e bucolico dove dimenticare i soprusi, la sopraffazione, la violenza, il suicidio, lo stupro. Ma fuori dalle mura la Storia avanza, assediandone le vite e le speranze.