intervista a Beatriz Preciado

Traduco con piacere questa intervista alla filosofa Beatriz Preciado apparsa su kaosenlared.

Ringraziando Lafra e il suo articolo sul postporno.

Intervista a Beatriz Preciado: “La sessualità è come le lingue. Tutti possiamo apprenderne molte”

di Luz Sánchez-Mellado | El país

Si muove per il Centro Pompidou di Parigi come Pedro in casa sua. Lo scenario le va a pennello. Alta, androgina, alternativa. Sperimentale. Preciado non ha problemi ad esibire la sua interiorità per spiegarsi a se stessa e al mondo. Autrice del “Manifesto controsessuale”- una spesie di bibbia del movimento transgender o queer- e di “Testo tossico”- dove spiega gli effetti che provoca nella sua vita sessuale la autosomministrazione di testosterone- questa trentanovenne di Burgos vive come pensa e pensa come vive. In costante rivoluzione contro le norme che determinano politicamente il sesso, il genere, il modo di cercare e di ottenere piacere. Filosofa, attivista alternativa e professoressa all’Università Parigi VIII, ha ha appena vinto il Premio Anagrama de Enzayo con “Pornotopia”, un saggio sull’impero Play Boy.

Quando aveva nove anni qualcuno telefonò a sua madre e disse: “sua figlia è una virago”. Ha sofferto da bambina?

Andavo in un collegio di monache, però non ho mai avuto problemi a causa del fatto che ero diversa. Quando mi chiedevano cosa volevo essere da grande, rispondevo: uomo. Mi vedevo come uomo perchè loro avevano accesso alle cose che volevo fare: astronauta o medico. Non l’ho mai vista come una cosa vergognosa o traumatica, era qualcosa a cui credevo di avere diritto.

Da piccola avevo anche un salvadanaio per farmi il cambio di sesso.

Che riferimenti aveva a quel tempo: Burgos, primi anni ottanta?

Nessuno. Mi muovevo in un mondo in cui il riferimento era la parrocchia, immaginati.

Allora si è orientata per istinto?

Da bambina sì. La scuola media è stata fondamentale. Simona, una maestra con un figlio autistico, riunì dei bambini con problemi e creò una classe. Il gruppo G. Autistici, superdotati, strani. Otto marziani brutti e atroci. Terribili, ma coccolati. Adoravo i miei professori, erano molto aperti col mio modo di essere.

Da allora ad oggi, come sopportano i suoi genitori il suo attivismo sessuale?

E’ stato traumatico e continua ad esserlo. Mio padre era un imprenditore rispettabile. Mia madre sarta per spose. Sono figlia unica. Immagino che si aspettassero altre cose da me. Sono religiosi e di destra, come si è di destra a Burgos, in modo irriflessivo. In quel contesto sono stata ribelle, non perchè lo volessi, ma perchè qualsiasi cosa facessi scandalizzava. Io ero un ufo, sì, ma non l’ho vissuto come qualcosa da nascondere.

Da dove viene la sua ribellione, se non soffre di essere come è?

Per me la cosa più dura è vedere come la gente si lascia reprimere.

Allora è una ribellione solidale?

Ha sempre avuto qualcosa di politico. Parlavo con i bambini per dirgli: facciamo questo, organizziamoci. Io non mi sono fatta reprimere, però le rotture con i miei amici o con la mia famiglia quando non accettavano quello che per me era naturale sono state dolorose. Con i miei genitori è stata una lunga pedagogia. Il mio carattere non è molto tollerante. Ora penso: vi tollero con il vostro modo di essere, che devo fare. Ma allora è stato molto forte. A 16 anni andai con il gruppo G a Filadelfia e tornai con l’idea di fare la filosofa politica.

Cos’è che attrae un’adolescente nella ricerca filosofica?

Io ero molto portata per le scienze, volevo fare la biologa genetica. Però dopo il diploma mi resi conto che le questioni a cui volevo dare delle risposte non le avrei risolte con la biologia, e che il posto giusto era la filosofia.

Lei usa concetti quali “biouomo”, “biodonna”, “biopolitica”, la biologia è presente nel suo lavoro.

Sì, mi interessa la vita, ma nella sua dimensione somatica, carnale, corporea.

Parla anche di architettura, della città come organismo.

Forse l’origine di tutto è il corpo, ma non come organismo naturale, bensì come artificio, come architettura, come costruzione sociale e politica. Quello che immaginiamo sempre come biologico- la divisione tra uomini e donne, tra maschile e femminile- e che è invece una costruzione sociale. Mi interessa la dimensione tecnica di quello che sembra essere naturale.

Parliamo di genere in occidente nel 2010. Ma pensiamo a un bambino che nasce in Mali, anche il suo sesso e il suo genere sono un artificio biopolitico?

E’ chiaro, fai attenzione alle distinzioni che stabilisci. Per indicare la natura pensi all’Africa, come se qui ci fossero la tecnologia e l’artificio, e in Africa la natura. Le stesse distinzioni funzionano per il maschile e il femminile. Il maschile come tecnica, costruzione, cultura. Il femminile come natura, riproduzione. Quello che è costruito è questa distinzione natura/cultura, che non esiste, che è fittizia.

I cromosomi XX e XY non significano niente?

Sono un modello teorico che appare nel XX secolo per cercare di comprendere una struttura biologica, punto.

Sostiene che la sessualità è plastica. Che non è una costante nella vita, e neanche in un giorno. E’ questa l’essenza della sua teoria?

In parte sì, nel senso che della sessualità, che è in forma più ampia la soggettività, fanno parte l’identità e l’orientamento sessuale, i modi del desiderio, i modi per ottenere piacere, che sono plastici. Ed esattamente per questo sono sottoposti a regolazione politica. Se fossero naturali e determinati una volta per tutte, questo non accadrebbe.

Per regolazione intende il fatto che si determini se si sia un uomo o una donna dal DNA e che a questo corrispondano X diritti, X doveri, X ruoli?

Esatto. C’è un enorme lavoro sociale per modulare, controllare, fissare questa plasticità. E non soltanto politicamente, ma anche psicologicamente. Ogni individuo è una istanza di vigilanza suprema sulla propria plasticità sessuale. Quando mi ha chiesto da dove venisse la mia ribellione: è da qui. Come è possibile non essere in rivolta costante, che questo non sia la rivoluzione.

Perchè io, donna, eterosessuale, sposata, madre di due bambini e moderatamente in accordo con la propria vita, dovrei ribellarmi?

Dovresti ribellarti perchè c’è una chiusura, una clausura della tua identità che impedisce qualsiasi altra possibilità. Dal momento che dici: io, biodonna, sposata, madre…

Mi sto già perdendo delle cose.

Esattamente. Anche dichiararsi eterosessuale presuppone un insieme di soluzioni possibili, ma presuppone una coreografia tanto ristretta che mi sembra terribile il fatto che la si accetti come inamovibile. Non credo nella identità sessuale, mi sembra una finzione. Un fantasma in cui ci si può istallare e vivere confortevolmente.

E felici.

Certamente. Ma il fatto è che questo è precisamente il successo della biopolitica.

Che noi mangiamo il “soma” e per di più contenti.

Totalmente. Quando parliamo di biopolitica, stiamo parlando del controllo esterno e interno delle strutture della soggettività e della produzione di piacere. Mi definisco transgender, ma sono uscita con biouomini, biodonne, con trans. E ti posso dire che quando sei biodonna, assegnata socialmente come donna, ed esci con un biouomo, assegnato come uomo, sperimenti una riorganizzazione del tuo campo sociale. Immediatamente la tua famiglia è contenta. E’ un sistema di comunicazione complesso, nel quale emetti segni che sono decodificati: sono in accordo con il sistema di produzione, e riproducono lo Stato così come lo conosci.

Anche se sei infedele, o sei un gay in incognito.

Chiaro, la macchina di controllo sei tu, e interessante è il modo di disattivarla. Per questo mi interessa scrivere, insegnare, l’attivismo. Ci sono possibilità di ribellione dappertutto.

Questo attivismo è una posa intellettuale o le esce dalla pancia?

Ma cos’è la mia pancia? Torniamo alla stessa differenza. Io sono nata con una deformazione della mandibola. In casa non facevamo foto perchè io ero deforme. Dai sette anni ho incontri rituali con il sistema medico. A 18 mi fanno un’operazione funzionale, ma anche estetica. Era necessaria, ma non ho neanche avuto la possibilità di dire di no all’apparato medico. Avevo una faccia atroce, da cavallo, e appena uscii tutti mi dissero che ero fantastica. Ho vissuto questa operazione come un cambio di sesso, nel senso che era un cambio di identità.

Perchè la riportò all’ovile della “normalità”?

Sì, è stato un modo di normalizzare la mia faccia. A partire da quel momento inizio a distanziarmi da tutto questo: che sei tu naturalmente, o che è la tua pancia, o che la faccia è lo specchio dell’anima. La mia faccia non è lo specchio dell’anima, è lo specchio della medicina plastica della Spagna degli anni ’80.

Sembra che la sua ribellione abbia delle origini.

Qualcosa c’è. Quando uscii dalla operazione, spesi il denaro risparmiato per cambiare sesso in viaggi. Mi resi conto che la mia immagine e quella che gli altri vedevano non coincidevano né coincideranno mai. E’ come l’anoressia. Io chiedo ancora alla mia fidanzata se oggi mi è cresciuta la mandibola. Per questo vedo il corpo come architettura, come relazione con le istituzioni mediche, giuridiche e politiche.

Leggendo la sua opera, la sua vita sembra una costante battaglia contro la norma. Perchè non si rilassa?

Io mi vedo rilassatissima, molto più degli altri. Quello che osservo nella gente è una tensione, anche se incosciente, per adeguarsi a quello che si suppone sia il femminile, il maschile, alla eterosessualità o alla omosessualità. Ho anche sperimentato la pressione omosessuale quando dico che non sono un tipo né una tipa. Nell’omosessualità ci sono restrizioni, regole precise. La tensione è qui, la rivoluzione è un’altra cosa.

Il suo stato naturale?

No (ride), mi piacerebbe. Ci sono volte che non posso evitare di dire: zero solidarietà con il genere umano e la sua cultura di guerra.

Perchè questa mancanza di speranza?

C’è una teorica queer americana, Sedwick, che diceva che la rivoluzione è un modo per uscire dalla depressione politica. E’ come se vivessimo in uno stato patologico, vedo una grande depressione collettiva i cui segnali sono il consumo aberrante, la produzione di diseguaglianza, la normalizzazione eccessiva, il supercontrollo, la cultura della guerra.

Quello che lei chiama “regime farmacopornografico” è un nuovo fascismo basato sul sesso?

No, il fascismo non è depressivo, bensì istrionico, mentre il momento farmapornografico è un momento di superassuefazione, superconsumo, distruzione. Come se avessimo creato collettivamente le condizioni della nostra stessa distruzione e fossimo daccordo. Dico questo con la coscienza che posso sembrare un padre gesuita.

Ma questa non è una cultura edonista?

No. il fatto che quello che muove la cultura sia il piacere non significa che il fine sia edonista. L’obiettivo è la produzione, il consumo e, come ultimo termine, la distruzione. La sfida per quella che dovrebbe essere una sinistra del XXI secolo è prendere coscienza di questo stato di depressione collettiva, a differenza della destra, che vive nell’euforia del consumo, della produzione di diseguaglianze, della distruzione. La sinistra deve dire: merda, siamo fregati, e questo deve portare a un risveglio rivoluzionario. Credo che questo possa venire da quelli che abbiamo cacciato ai margini del politico: i gay, le lesbiche, i tossici, le puttane. Qui ci sono modi di produzione strategici per la cultura e l’economia, e qui si stanno producendo soluzioni.

E come contribuiscono questi “detriti del sistema”, come lei li chiama?

Inventano nuove forme di relazione personale e politica che escono dalle coordinate che si collegano alle politiche coloniali dal secolo XV e che hanno a che vedere con la famiglia, la nazione, la razza. Questa linea si è prosciugata, bisogna aprirsi al non familiare, non nazionale, non razziale, non di genere.

E’ cosciente della difficoltà di comprensione e di “vendita” di questo modello?

Non aspiro a venderlo. E non è così difficile. Nelle mie conversazioni sento che questa cosa dello stato depressivo ha riscontro. Nonostante la complessità enorme del mondo contemporaneo, vedo una terribile riduzione alle cose di sempre.

E’ grazioso il passaggio di “Testo tossico”, quando torna a Burgos e vede le su ex fidanzatine che passeggiano per l’Espolòn con i loro bambini e le loro mèches perfette.

Le rispetto e le adoro. Soprattutto perchè so che dietro le loro mèches e i bambini continuano a resistere, sono vive.

Si definisce come una terrorista, una guerrigliera.

Così mi vedono gli altri. Io facevo le mie cose, tutti dicevano: fermate quella rivoluzione, e io non capivo che la rivoluzione ero io. Godo dell’intelligenza collettiva, il mio primo Gay Pride a New York fu il più grande scossone di estasi vitale della mia vita. Eravamo 3000 lesbiche per la strada, quello spazio che ci veniva proibito. Mi resi conto che un altro mondo è possibile, che la realtà può cambiare, questo mi affascina.

I transessuali reclamano di entrare nei protocolli di riassegnazione del sesso. Tuttavia lei deplora il fatto che vengano regolati dallo Stato.

C’è una molteplicità di modi di essere transessuale. Sono stato in associazioni di lesbiche radicali e, in tre anni, la metà aveva cambiato sesso. Diffido dei dogmi circa l’identità sessuale, perchè ho visto tutto e il contrario di tutto. I protocolli sono un modo di normalizzare la plasticità sessuale. La Spagna è una specie di ibrido tra la Turchia e la Svizzera. C’è una base biopolitica i cui emblemi sono il genere, l’eterosessualità, la famiglia, la razza e lo stato. Ma anche un regime farmapornografico nel quale il sesso è oggetto di consumo e produzione. La collisione di questi due regimi porta ad una situazione delirante, nella quale è possibile accedere ad operazioni di cambio di sesso, ma solo nelle condizioni richieste per normalizzarti.

In “Testo tossico” lei è l’oggetto della sua ricerca. Non ha pudore di questa esposizione?

No, e sono stata educata dalle monache, e ho studiato filosofia a Comillas con i gesuiti. Li adoro, erano coinvolti fino in fondo con il marxismo e la teoria della liberazione. Sono fantastici. Continuo ad avere rapporti con Juan Masià, un filosofo che è stato scomunicato per aver detto che il preservativo è una cosa di buon senso. Ci scambiamo opere.

Davvero? E che pensa un gesuita delle sue pratiche sessuali in “Testo tossico”?

Niente. Ma non importa, so che mi apprezza e ci vogliamo molto bene.

quello che volevo sapere è se non le dà pudore esporre la sua sessualità.

Al contrario: la mia sessualità è sempre stata invisibile. Quello che era visibile era lo stereotipo che la gente aveva sulla sessualità lesbica o trans. Allora non la vedo come una forma di esposizione senza pudore, bensì come un modo di produzione di visibilità. C’è un elemento di propaganda. Un’amica, Itziar Ziga, ha scritto un libro, “Diventare cagna” in cui dice: noi scopiamo di più e meglio. Scopiamo al di fuori delle vostre restrizioni normative e questo è un piacere che non conoscerete mai. E se siete tentati di conoscerlo, wellcome to the revolution.

Questo sarebbe l’orgoglio “queer”: scopiamo di più e scopiamo meglio?

Sì, e forse viviamo in un altro mondo, un mondo che è qui, proprio accanto.

Lei è una celebrità nei circoli “queer”, dà lezioni all’Università Parìs VIII, ma è sconosciuta in Spagna. Si vede come professoressa alla Complutense?

In Spagna ci sono istituzioni quasi feudali. E all’interno di esse, in un caos straordinario, accadono cose paradossali. In qualsiasi università ci sono elementi rivoluzionari, punte di resistenza. La rivoluzione non è da un’altra parte, è qui, anche alla Complutense.

Magari la nominano figlia prediletta di Burgos.

(ride) Ora, con il premio, mia madre dice: che bello figlia, esci sul giornale, ma hai la brutta idea di disegnarti dei baffi, non sa che il mio grande orgoglio mediatico è la prima pagina della rivista transgender americana.

Dal di fuori, il suo può sembrare uno spettacolo provocatorio.

Sì, esiste sempre il rischio di apparenza cervellotica e consumo morboso, però c’è vita più in là del mondo normalizzato.

Per scrivere “Testo tossico” lei si è somministrata testosterone in gel per quasi un anno. Continua a farlo, visto che nel libro si dichiara “tossicodipendente”?

Occasionalmente. Rispetto ad altre assuefazioni che conosco, quella del testosterone è sopportabile. La vedo come una possibilità e non come una necessità. Per me il cambio di sesso non è il passo del muro di Berlino; ha qualcosa di questa frontiera politica, ma io lo vedo come uno spazio di pratiche del corpo.

Cosa ottiene dal testosterone? Qualcosa ne ricaverà.

E’ una droga sessuale. Se fosse venduta liberamente, sarebbe il Viagra per le donne. Ti manda a mille. Però ho iniziato a prenderla per un elemento di sperimentazione, di trasgressione, quasi un’orgia ormonale.

Cosa le suggerisce, lei che si dichiara al di là del maschile e del femminile, l’espressione “violenza di genere”?

Credo che quando si dice violenza maschile non si incide tanto sulle pratiche di discriminazione, quanto sulla mascolinità. Come se la mascolinità fosse una violenza in se stessa, che si esercita contro le donne. Si ignorano tutta una serie di pratiche violente trasversali. Ci sono violenze all’interno dell’omosessualità, della transessualità. Credo che il genere stesso sia violenza, che le norme di mascolinità e femminilità, così come le conosciamo, producano violenza. Se cambiassimo i modi di educazione nell’infanzia, forse modificheremo quella che chiamiamo violenza di genere. Pensiamo sempre che la bambina possa difendersi e non aggredire. Siamo onesti: in una cultura di guerra è discriminatorio non equipaggiare tecnicamente e praticamente una parte della società perchè sia capace di accedere a tecniche di aggressione quando sia necessario.

Propone di insegnare alle bambine non difesa personale, ma attacco personale?

Esatto.

Accidenti che titolo mi hai appena suggerito!

Cerco alternative radicali alla cultura di guerra, e una è l’accesso egualitario alle tecniche della violenza. Toni Negri diceva: bisogna dare armi al popolo, dato che lo Stato è armato. Io direi: bisogna dare armi alle donne, dato che gli uomini sono armati.

Pioveranno le proteste.

Questa è una guerra fredda: tu hai armi, io anche.

In “Testo tossico” propone alle donne di prendere testosterone, crede che così romperemmo il tetto di cristallo?

Questa è una fantasia di politica-finzione. La filosofia fa questo, produce finzioni che ci aiutano a modificare il modo in cui vediamo la realtà. Però niente impedisce che tutte le donne prendano testosterone e domani siano uomini. La possibilità è così semplice che sono necessarie misure restrittive per evitarlo. Il mio progetto politico è serio e ludico allo stesso tempo. Immaginati che mondo pieno di tipi pelosi. La struttura della dominazione è così ancorata che è chiaro che c’è il tetto di cristallo. Ma anche repressione del lato maschile. Neanche loro stanno bene.

La famosa crisi dell’uomo moderno?

Se c’è qualcosa che è in crisi è la mascolinità. Dal femminismo si è avuto un lavoro critico, ma dal lato degli individui niente. Per questo mi stupisce che non si ribellino e dicano: voglio mostrare le mie gambe stupende senza cellulite.

Oggi gli uomini si depilano più che le donne.

Uno dei cambiamenti del regime farmapornografico è che il corpo maschile diviene oggetto di produzione del mercato. La nuova mascolinità o metrosessualità non è altro che questo. Qui c’è possibilità di ribellione per i bioindividui.

E’ felice?

Mi considero fortunata/o. Cambio di genere parlando e scrivendo.

E in varie lingue, non si confonde?

Di fatto la sessualità è confrontabile con le lingue. Apprendere un’altra sessualità è come apprendere un’altra lingua e tutti possono parlare quelle che vogliono. Solo bisogna apprenderle, così come la sessualità. Chiunque può apprendere le pratiche della eterosessualità, della omosessualità, del masochismo…

Ci sono quelli negati per le lingue.

Anche quelli possono farfugliare lesbico o gay.

C’è una lingua madre, una sessualità madre?

C’è una sessualità che costituisce la tua base di addottrinamento. Quella che hai imparato a riconoscere come naturale. Ma quando apprendi una seconda lingua sai che ce ne sono altre, che puoi perfino abbandonare la prima lingua che hai parlato senza problemi. Io sono stata anni senza parlare spagnolo e lo faccio bene, no?