Nous disons révolution

da: immateriali resistenti

Nous disons révolution

 

di BEATRIZ PRECIADO

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Pare che i vecchi guru dell’Europa coloniale si stiano ostinando a voler spiegare agli attivisti dei movimenti Occupy, Indignados, handi-trans-froci-lesbiche-intersex e post-porn che non potremo fare la rivoluzione perché non abbiamo nessuna ideologia. Dicono «un’ideologia» esattamente come mia madre diceva «un marito». Bene: non abbiamo bisogno né di ideologie né di mariti. Noi, nuove femministe, non abbiamo bisogno di mariti perché non siamo donne. Così come non abbiamo bisogno d’ideologie perché non siamo un popolo. Né comunismo né liberalismo. Né ritornello catto-musulmano-ebraico. Parliamo un altro linguaggio. Loro dicono rappresentazione. Noi diciamo sperimentazione. Loro dicono identità. Noi diciamo moltitudine. Loro dicono controllare la banlieue. Noi diciamo meticciare la città.
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intervista a Beatriz Preciado

Traduco con piacere questa intervista alla filosofa Beatriz Preciado apparsa su kaosenlared.

Ringraziando Lafra e il suo articolo sul postporno.

Intervista a Beatriz Preciado: “La sessualità è come le lingue. Tutti possiamo apprenderne molte”

di Luz Sánchez-Mellado | El país

Si muove per il Centro Pompidou di Parigi come Pedro in casa sua. Lo scenario le va a pennello. Alta, androgina, alternativa. Sperimentale. Preciado non ha problemi ad esibire la sua interiorità per spiegarsi a se stessa e al mondo. Autrice del “Manifesto controsessuale”- una spesie di bibbia del movimento transgender o queer- e di “Testo tossico”- dove spiega gli effetti che provoca nella sua vita sessuale la autosomministrazione di testosterone- questa trentanovenne di Burgos vive come pensa e pensa come vive. In costante rivoluzione contro le norme che determinano politicamente il sesso, il genere, il modo di cercare e di ottenere piacere. Filosofa, attivista alternativa e professoressa all’Università Parigi VIII, ha ha appena vinto il Premio Anagrama de Enzayo con “Pornotopia”, un saggio sull’impero Play Boy.

Quando aveva nove anni qualcuno telefonò a sua madre e disse: “sua figlia è una virago”. Ha sofferto da bambina?

Andavo in un collegio di monache, però non ho mai avuto problemi a causa del fatto che ero diversa. Quando mi chiedevano cosa volevo essere da grande, rispondevo: uomo. Mi vedevo come uomo perchè loro avevano accesso alle cose che volevo fare: astronauta o medico. Non l’ho mai vista come una cosa vergognosa o traumatica, era qualcosa a cui credevo di avere diritto.

Da piccola avevo anche un salvadanaio per farmi il cambio di sesso.

Che riferimenti aveva a quel tempo: Burgos, primi anni ottanta?

Nessuno. Mi muovevo in un mondo in cui il riferimento era la parrocchia, immaginati.

Allora si è orientata per istinto?

Da bambina sì. La scuola media è stata fondamentale. Simona, una maestra con un figlio autistico, riunì dei bambini con problemi e creò una classe. Il gruppo G. Autistici, superdotati, strani. Otto marziani brutti e atroci. Terribili, ma coccolati. Adoravo i miei professori, erano molto aperti col mio modo di essere.

Da allora ad oggi, come sopportano i suoi genitori il suo attivismo sessuale?

E’ stato traumatico e continua ad esserlo. Mio padre era un imprenditore rispettabile. Mia madre sarta per spose. Sono figlia unica. Immagino che si aspettassero altre cose da me. Sono religiosi e di destra, come si è di destra a Burgos, in modo irriflessivo. In quel contesto sono stata ribelle, non perchè lo volessi, ma perchè qualsiasi cosa facessi scandalizzava. Io ero un ufo, sì, ma non l’ho vissuto come qualcosa da nascondere.

Da dove viene la sua ribellione, se non soffre di essere come è?

Per me la cosa più dura è vedere come la gente si lascia reprimere.

Allora è una ribellione solidale? Continue reading