lavora…consuma…

Gli operai di Pomigliano che difendono la loro fabbrica e le donne di Terzigno che lottano contro la devastazione del loro territorio.

Richieste inconciliabili se non si esce dal paradigma unico, se non si è in grado di immaginare e praticare qualcosa di assolutamente altro dal presente.

Operai sui tetti a difendere il proprio lavoro, costretti a difendere il proprio sfruttamento e le proprie catene, a chiedere che vengano salvate fabbrichegalere, fabbrichemostro che vomitano veleni che uccidono loro, i loro figli, l’ambiente in cui vivono.

Sindacati che chiedono nuovi piani di sviluppo, maggiore produzione, per salvare posti di lavoro a condizioni sempre peggiori.

Bisogna produrre di più: più prodotti che invaderanno il mondo distruggendolo, più plastica e più veleni che finiranno nelle discariche della camorra o bruciati ammorbando l’aria. Solo così, ci dicono, potrà ripartire l’economia. Più automobili, mentre il petrolio sta finendo e una macchia nera orrenda invade il golfo del Messico. Più prodotti usa e getta, più prodotti che si rompono velocemente e devono essere cambiati in continuazione: così la loro sporca economia gira.

E insieme: meno diritti, meno salario, lavoro precario ricattabile, lavoro da schiavi che ti riduce un rottame

Lavoro sottocomando e consumo senza freno: solo così il capitalismo può continuare la sua corsa inarrestabile verso il baratro, trascinando tutto con lui.

Senza nessuna idea di futuro: “Fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene…

Cos’è la CRESCITA, questa strana entità invocata da padroni e sindacati, uniti nella difesa di un lavoro di merda che ci rende merda e  produce merda, come fosse la panacea di tutti i mali, l’unico modo per uscire dalla crisi? Se non c’è crescita non c’è lavoro, ci dicono.

Ma la crescita in realtà non crea occupazione, non crea benessere, non migliora la qualità della vita, devasta e avvelena l’ambiente in modo irreparabile.

Si parla di tutto questo nella trasmissione di Report del 12 dicembre 2010: “Consumatori difettosi”, veramente ben fatta. Cose dette in questi anni da molti. Ma  ora che tutto è assolutamente evidente, che l’implosione  sociale ed ecologica è qui, palpabile,  che siamo veramente al collasso di questo sistema, non è male ripeterle.  Anche se probabilmente abbiamo oltrepassato ormai il punto di non ritorno.

Si racconta come viene calcolato il Pil, l’indicatore della ricchezza di un paese secondo il pensiero unico. Ce lo spiegano tra gli altri economisti come Simms (New economic foundation), Marcon (Sbilanciamoci) e La Touche, urbanisti, il sociologo Bauman, che parla di società liquida e del meccanismo della inclusione/esclusione su cui si regge quello che lui chiama il “grande fratello 2”.

Ma davvero non c’è niente al di fuori del pensiero unico del mercato e del profitto?

Nella seconda parte della trasmissione tentativi di economie solidali dal basso, modi di vivere alternativi, nuove relazioni tra le persone, creazione di comunità: dalle transitions towns in Inghilterra e Germania, ai bilanci di giustizia di un prete operaio di Mestre, al software libero e al riutilizzo di vecchi computer destinati alla discarica, al reddito di base per tutti (reddito di cittadinanza lo avevamo chiamato tempo fa).

Effettivamente sembrano piccole cose, gocce nel mare. Ma l’unica strada cha possiamo intraprendere in questo caos, in mezzo a queste macerie,  è forse costruire qualcosa che non c’entri veramente niente con l’economia, superare l’idea stessa di economia/ mercato/ proprietà/lavoro, immaginare forme di vita completamente altre.

Senza aspettarsi niente da questa “politica”, il fallimento di Obama sta a dimostrare che le istituzioni politiche non sono in grado di fermare gli automatismi di questo sistema economico e finanziario, che va avanti da solo, che è entrato nei nostri cervelli e nei nostri corpi.

E se c’è da costruire, c’è anche qualcosa da buttar giù, bisogna mandarli via: QUE SE VAYAN TODOS!

Ciudad Juarez: assassinata Marisela Escobedo Ortiz

Quello che accade a Ciudad Juarez, Chihuahua, Mexico, è ormai noto

Giovani donne, ragazze povere che lavorano sfruttate nelle maquilas, bambine, da anni spariscono e vengono ritrovate cadaveri, seppellite nel deserto. Gli assassini impuniti. Tutto con la complicità e la copertura delle istituzioni.

Rubí Marisol Frayre Escobedo aveva 14 anni quando si innamorò di Sergio Barraza Bocanegra. , un uomo che poi la costrinse ad una vita di paura e di violenza, allontanandola dalle sue amicizie e dalla sua famiglia. Il 28 agosto del 2008 l’uomo la assassinò, la bruciò e la gettò in una discarica. Rubi aveva 16 anni.

Nonostante l’assassino abbia confessato ( e successivamente ritrattato), indicando il luogo esatto in cui buttò il corpo della sua vittima e chiedendo perdono, i giudici lo hanno assolto.

La madre di Rubi, Marisela Escobedo Ortiz, da allora non ha smesso di manifestare e lottare chiedendo giustizia per la figlia e per tutte le altre vittime di femminicidio (ogni giorno del 2010 una ragazza è stata assassinata nello stato di Chihuahua).

E mentre stava protestando davanti al palazzo del governo Marisela è stata a sua volta uccisa: una vera esecuzione, un colpo di pistola alla nuca. Uccisa perchè chiedeva giustizia.

La sera del 7 dicembre, in una intervista aveva dichiarato: “Se vogliono farmi fuori che lo facciano qui davanti. Sarà una vergogna per il governo”.

Le organizzazioni di donne che da anni lottano contro i femminicidi, contro uno stato che continua a coprire gli assassini parlano di “incapacità e disprezzo del governo federale e del governo statale” di fronte alle uccisioni di donne e di “crimine di stato”, denunciano “il disinteresse da parte di chi dovrebbe trovare una soluzione alla violenza, chiunque può commettere questo tipo di crimine nella piena impunità”, promettono che nonostante l’assassinio di Marisela sia un chiaro avvertimento  rivolto anche a loro, non si fermeranno: “la morte della nostra compagna ci addolora profondamente, ma nello stesso tempo ci spinge a lavorare con più forza per ottenere i nostri obiettivi, che erano i suoi”.

Manifestazioni sono state organizzate a Città del Messico e nello stato di Chihuahua.

TUTTA LA NOSTRA SOLIDARIETA’ ALLE SORELLE MESSICANE.

Senza dimenticare che la violenza contro le donne non è un fatto di razza o di nazione, non è un problema degli “altri”.

Senza dimenticare i  femminicidi nel nostro paese.

roma 14 dicembre, qualche pensiero buttato lì

violenti provocatori criminali devastatori estremisti nichilisti autonomi terroristi antropologicamente fascisti  banditi sovversivi nichilisti teppisti blackblok incendiari canaglia “quelli dei centri sociali” infiltrati femministe isteriche……….questi sono solo alcuni dei nomi che vengono dati alle persone quando alzano la testa, quando si ribellano (se volete potete continuare voi, dato che la moda televisiva è quella delle liste)

per me la violenza vera è altra: è quella di questa economia di rapina, è quella di chi affama il mondo per il suo profitto, è quella di chi lo avvelena per accumulare denaro, è quella di chi costringe al precariato e al non futuro generazioni intere, è quella di chi ci vuole al lavoro come schiavi, è quella di chi specula su casa e sanità, è quella di chi distrugge scuole, università e cultura. violenza sono le guerre umanitarie e i lager per i migranti e i ghetti per i rom e i respinti in libia che muoiono nel deserto. violenza sono l’oro e i diktat della chiesa. violenza sono le discariche di terzigno (ma come mai saviano a terzigno non c’è andato?) e la chiazza di petrolio del golfo del messico. violenza è la casa degli studenti dell’Aquila che si sgretola come sabbia.   (e se volete potete continuare voi, dato che la moda televisiva è quella delle liste).

e la violenza il 14 a roma stava dentro il palazzo, nel loro teatrino della democrazia, nei loro lacchezzi, nel loro ignorare le voci di tanti, nei cordoni di polizia a proteggerli. e gli unici infiltrati sono stati quei tre che hanno fatto passare la fiducia.

per me ci si può ribellare in tanti modi: i metodi per farsi sentire, costruire alternative, contrastare poteri possono essere tanti e diversi tra loro. si può a volte costruire a volte distruggere, oppure si possono fare tutte e due le cose insieme. si può salire sui tetti e sulle gru per gridare la propria disperazione, per chiedere giustizia e diritti, si può cercare di costruire alternative all’interno di questo caos, lavorando nei propri territori, si possono mettere in discussione i propri comportamenti individuali, difendere i beni comuni dalla devastazione e dalla privatizzazione, boicottare merci, fare cultura in rete, costruire reti di reale solidarietà, si può spaccare un bancomat per indicare chiaramente i responsabili, per esprimere la propria rabbia, che è quella di molti (e se volete continuate anche questa di liste, che è sempre l’ultima moda televisiva). questa storia di dividere buoni e cattivi è storia vecchia. è successo negli anni ’70 (con l’essenziale aiuto del partito comunista che, proprio come Saviano, stava sempre dalla parte dei poteri costituiti), è successo dopo genova. ma questa volta ho come la sensazione che il giochino non gli riuscirà, troppo lucida e corente questa generazione, che la realtà gli brucia sulla pelle ogni giorno e il quadro mi sembra l’abbiano ben chiaro, in tutta europa, non solo qui. troppe persone sento in giro che iniziano a ragionare con la propria testa.. il re ormai è nudo, per chi lo vuol vedere.

i partigiani li impiccavano con il cartello BANDITEN. noi donnole qualche anno fa abbiamo fatto una mostra sulla resistenza delle donne e per presentarla tra l’altro avevamo scritto: “ci sembra importante e necessario parlare oggi di resistenza. infatti  qui ci troviamo, ancora a resistere, a combattere contro poteri forti, reali e materiali. Le risposte che vanno cercate sono metodi per destrutturare e distruggere questi poteri, metodi che possono essere diversi tra loro ma che devono essere efficaci. in questo senso la contrapposizione violenza-non violenza ci appare essere un falso problema. si sente dire spesso che utilizzare metodi violenti significa diventare come il potere che si combatte. le storie, i destini le parole e il sentimento di queste donne sembrano smentirlo. per loro agire è stata semplicemente una necessità. Forse è invece il ricer­care potere quello che può ren­dere sim­ili al potere e far ritornare la ruota al punto di partenza. E tocca purtoppo ancora ribadire che una cosa è la violenza del carnefice e un’altra quella di chi si ribella alla carneficina”.     appunto, a volte l’uso della forza (preferisco questa parola all’altra: violenza) diventa necessità.

l’importanze della giornata del 14 a roma è stata l’incontrarsi di tanti: studenti, gente che lotta sui territori come le donne di terzigno e quelli della val di susa, operai (la fiom di mirafiori ha chiesto un’assemblea con gli studenti), precari. l’importante è che tutte queste cose si incontrino e si ricompongano, che ci si riconosca come compagn@ di strada, che si cresca ognun@ in coscienza e comprensione, che si inizi davvero a dire basta, a ribellarsi, a costruire un’alternativa fuori da questo sistema mortifero, ognun@ con le sue forme e con i suoi modi.

semmai quello che è mancato davvero il 14 è stato lo sciopero generale, perchè a roma ci si doveva andare tutt@ e non lasciarli soli i ragazzini, i giovani, altro che condannarli! dobbiamo solo ringraziarli per tutto quello che hanno fatto in questi mesi, per la loro determinazione.

ps) per la cronaca: il black blok non è un gruppo politico nè una setta satanica, ma è stato un modo di stare in piazza tra i tanti, che si è espresso nella grande manifestazione di Seattle. consisteva nel non cercare lo scontro con le persone, con la polizia, ma nel concentrarsi su oggetti simbolici. si può dire che siano stati dei professionisti della comunicazione: la “battaglia di seattle” ha avuto eco in tutto il mondo ed è stata il punto di partenza del movimento noglobal.

in quanto a Saviano lo ringraziamo per Gomorra, poi non lo ringraziamo più…

allarme violenza sessuale per le donne migranti in Marocco

Medici Senza Frontiere Marocco denuncia l’estrema vulnerabilità delle donne migranti subsahariane costrette a transitare in Marocco per poi proseguire il viaggio verso la Spagna. Molte di esse fuggono da situazioni di violenza e si ritrovano, una volta giunte in nord Africa, a subire nuovi abusi o a essere ridotte in schiavitù nei circuiti della prostituzione. Msf chiede al Governo marocchino un intervento non solo dal punto di vista sanitario, ma anche legale e psico-assistenziale, oltre a esigere un supporto dai Paesi membri dell’Unione Europea. Le vittime di violenza raramente denunciano le esperienze vissute nel timore di essere individuate come sans papiers. Questo video prodotto e distribuito da MSF Marocco, propone un’introduzione sul tema di Alfonso Verdù, responsabile dell’associazione in Marocco, e le esperienze di violenza sessuale raccontate da tre donne sub sahariane.

Il colmo è che poi, se queste donne riescono ad arrivare in Europa, vanno a finire dentro un centro di espulsione, e magari lì dentro vengono nuovamente violentate…

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=57-NEM4nscE&feature=player_embedded[/youtube]

2009-2010. Una su tre delle donne assistite da Medici Senza Frontiere a Casablanca ammette di aver subito uno o più episodi di violenza sessuale. Ma la cifra potrebbe essere addirittura più elevata dato che molte preferiscono non parlare nonostante il loro stato di salute testimoni il fatto che sono state vittime di episodi di questo tipo.

La problematica della violenza sessuale è diventata il comune denominatore, una delle violenze più diffuse per le donne nel fenomeno migratorio.

da storiemigranti

la foto da riotclitshave