17 marzo. Michelina de Cesare e le brigantesse del sud

L’anniversario per i 150 anni dell’unità d’Italia è una festa che non mi riguarda. Non mi sento cittadina di questo paese. Non voglio sentirmi cittadina. Oggi più che mai. Oggi che il concetto di “cittadinanza” è diventato strumento di esclusione, usato per ridurre alle status di “non umano” tutti coloro che non vi sono inclusi- clandestini, rom, carcerati, prostitute, barboni, non conformi- assumendo la funzione di far scomparire nel regno dell’indifferenziato, là dove ogni diritto è sospeso, tanti e tanti esseri umani, ormai solo carne da macello, da sfruttare, buttare via e dimenticare.

Questo paese ci ha abituato alle omissioni, all’occultamento e alla negazione della memoria storica. Periodi dimenticati, distorti, riempiti di false narrazioni sostitutive, prima tra tutte quella degli “italiani brava gente”.

Così è accaduto per l’avventura coloniale in Africa, di cui si sono cancellati gli orrendi crimini di guerra, i villaggi bruciati, l’uso dei gas tossici (proibiti dal trattato di Ginevra nel 1925), 275mila etiopi uccisi, i campi di concentramento con 65mila internati, le popolazioni nomadi deportate in massa.

Il passato non si svela neanche con i cambi di regime. Così dopo il fascismo si rinuncia a guardarsi in faccia, ad una vera elaborazione di ciò che è accaduto, non ci se ne assume la responsabilità collettiva, che viene attribuita unicamente alla Germania nazista: noi, gli italiani, siamo sempre innocenti. E, si sa, le cose sotterrate e rimosse riappaiono sempre, non modificate e incancrenite, nel nascondimento la storia continua e si ripete uguale e immobile, come ci dimostra l’orrore dell’oggi.

Stessa rimozione è avvenuta per gli anni ’70, mai veramente indagati e affrontati nel loro significato storico, ridotti agli “anni di piombo” e alla caccia al “terrorista”, con i colpevoli tutti da una parte, consegnati alla vendetta di Stato, che ancora oggi non si è saziata.

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