Appello per la “pillola dei 5 giorni dopo”

Invitiamo associazioni e gruppi a sottoscrivere la lettera che segue:

Alla Ministra della salute Beatrice Lorenzin

Siamo associazioni e gruppi impegnati nella difesa dei diritti, dell’autodeterminazione delle persone e della laicità dello Stato.

Nella fattispecie ci rivolgiamo a Lei per chiedere un Suo intervento perché venga sanata la difficile situazione creatasi dalla scarsa applicazione della legge 194 su tutto il territorio nazionale, a causa dell’aumento dell’obiezione di coscienza, spesso dettata da motivi più opportunistici che etici. Inoltre Le chiediamo di tenere in considerazione la posizione assunta dalla Commissione europea che il 12 gennaio ha autorizzato l’uso del contraccettivo di emergenza, EllaOne, pillola a base di ULIPRISTAL acetato, senza bisogno della ricetta medica

Pochi giorni prima, la Commissione per i Prodotti medicinali Umani aveva espresso il parere secondo il quale il farmaco in oggetto è “un contraccettivo di emergenza usato per prevenire gravidanze indesiderate, se assunto entro 120 ore – appunto cinque giorni – da un rapporto sessuale a rischio e agisce prevenendo o ritardando l’ovulazione”. La natura del farmaco elimina la necessità della prescrizione del medico, rende l’accesso più celere e quindi più efficace.

L’Agenzia europea del Farmaco ha sottoposto al voto la sua proposta di autorizzazione alla distribuzione del farmaco senza ricetta, l’Italia ha votato contro. Cioè ha votato contro 11 milioni di donne fertili che nel nostro paese vorrebbero usufruire delle stesse opportunità di gran parte delle donne europee!

Il voto contrario dell’Italia fa ritenere che nel nostro Paese sarà difficile applicare la regola approvata in Europa. Ogni intervento, che in ambito sessuale renda più vivibile, libera e sicura la vita delle donne, in Italia viene bloccato o ritardato.

Alcuni paesi europei inizieranno a febbraio con la commercializzazione libera di EllaOne mentre l’AIFA prende tempo e c’è da aspettarsi che l’attesa sarà lunga, come ogni volta in cui i tecnici parlano di aspetti “eticamente rilevanti”.

Le organizzazioni dei medici e dei farmacisti cattolici hanno già proposto l’obiezione nel caso in cui l’Italia procedesse a dare applicazione alla decisione della Commissione europea.

Le chiediamo di intervenire affinché anche nel nostro paese sia garantita la possibilità di ottenere la pillola dei cinque giorni dopo senza l’obbligo della ricetta.

Chiediamo anche alla Ministra di diffondere laicamente l’informazione dei diritti in tema di contraccezione, compresa quella di emergenza, liberalizzandone la vendita.

Firenze, 30 gennaio 2015

Libere Tutte – Firenze,

Prime adesioni di associzioni e gruppi:

Unite in rete – Firenze, IREOS Comunità queer autogestia, Intersexioni, Laboratorio per la laicità, Coordinamento contro la violenza di genere e il sessismo”, Coordinamento difesa 194, Antropologiche, Artemisia, Il Giardino dei ciliegi, …..

Visita la nostra pagina facebook: https://www.facebook.com/pages/Libere-Tutte/203717239675198

 

Le donne di Ravensbruck

RAVENSBRUCK

 

Riflessioni sul libro di Lidia Beccara Rolfi, A. Maria Bruzzone- “Le donne di Ravensbruck” Einaudi, 1978

“Ravensbruck, come tutti i campi di stermino, è strutturato in modo non dissimile dalle città, e dalle società, in cui siamo abituati a vivere. La popolazione delle deportate è divisa in classi, che sono tenute lontane le une dalle altre in conformità a questa divisione. Ci sono le “sottoproletarie”, le “proletarie”, le “borghesi”. I sopravvissuti dai lager nazisti trovarono al ritorno in patria una condizione di vita non abbastanza diversa da quella che lasciavano: la corsa feroce al potere e ai beni materiali di tanti che al momento del pericolo erano stati rintanati al sicuro, il rientro graduale nelle loro posizioni privilegiate degli autori delle sciagure che avevano colpito gran parte dell’umanità, ingiustizie e diseguaglianze non scalfite dalla Liberazione, gli ex deportati abbandonati a se stessi.”

I Lager non sono mai scomparsi.
Sono semmai più raffinati ed efficaci. Anche nelle società cosiddette democratiche ne esistono tracce più o meno evidenti,mai accidentali e casuali: gli ospedali psichiatrici, i bretotrofi, i ricoveri per vecchi, i riformatori, le carceri l’esercito, le fabbriche, chi ha tutto e troppi che non hanno nulla. Lo sfruttamento schiavistico di masse sterminate di manodopera e l’annientamento degli improduttivi è il frutto di un disegno razionale tutto interno alla logica capitalistica, l’approdo coerente di un regime sorto per la difesa del privilegio. E oggi: ancora le guerre, i campi profughi, il muro di Tijuana e quello per rinchiudere i palestinesi, le bidonvilles e le periferie delle grandi metropoli, l’Africa, masse di diseredati lasciati a se stessi, accalcati a frugare nella spazzatura, in mezzo a morbi e malattie, immigrati usati come manodopera a basso costo e per costruire un “nemico” che alimenti la paura e faccia vivere tutti nel terrore , i lager- come giustamente li abbiamo chiamati subito- per gli immigrati: legge Turco- Napolitano- (loro, i democratici, li chiamano Centri di Permanenza Temporanea ecc.) Spesso nei discorsi ufficiali e un po’ pomposi sui lager si sente dire: “perché non si ripeta”. Invece non è mai finito: i presupposti del lager sono dappertutto, un pianeta che è come un lager, con privilegi di pochi e grosse masse di persone da utilizzare per fare profitto, di cui a nessuno importa la sorte, la vita, le condizioni perché facilmente sostituibili. Quanti siamo, 6miliardi???? –anche con il pianeta, la terra, la natura succede così, ma da quello non si torna indietro. Cercare nuovi modi di resistenza. La resistenza dentro ai lager ci può forse dare delle indicazioni, perché forse il lager e il suo modo di “ragionare”- niente a che fare con l’irrazionalità, ma un progetto coerente- è quello che più assomiglia alla vita del globo nel momento attuale. Resistenza umana. E resistenza non solo umana, perché forse è venuto il momento anche di non considerare la nostra specie il centro dell’universo, di mettersi un po’ da parte, di non voler più assomigliare agli dei, di fermarsi dal fabbricare e produrre, di non “progredire” più. Resistenza per mantenersi sensibili. Ma resistenza reale, che inceppi i meccanismi. Se tante cose nelle tante storie che ho letto di queste donne che hanno combattuto durante la Resistenza sono legate a un’epoca e se perfino alcune mi sembrano cose che fanno parte anch’esse di un sistema che rifiuto- per esempio questa loro pazzesca etica del lavoro, l’orgoglio di lavorare in una grande fabbrica come la FIAT, sono cose incomprensibili per me che sono cresciuta politicamente all’ombra del rifiuto del lavoro, intendendo come lavoro non l’attività umana, ma il lavoro coatto e alienato, cose comprensibili solo se legate a quel contesto storico (il lavoro per le donne è stato senz’altro portatore di indipendenza e autonomia), ma pericolose oggi. Continue reading

Pride. Combattiamo per il pane, ma combattiamo anche per le rose

“Pride” di Matthew Warchus.

Siamo nel 1984, nell’Inghilterra della Thatcher. Il sindacato dei minatori ha indetto uno sciopero contro la chiusura delle miniere., sciopero durissimo  che durerà un anno.

Al Pride di Londra dello stesso anno un gruppo di giovani militanti si organizza per raccogliere fondi per sostenere la causa dei minatori in sciopero, dando vita al movimento LGSM (Lesbians and Gays Supports the Miners).

Da questa iniziativa nascerà, non senza dover superare difficoltà, barriere e pregiudizi da entrambe le parti, un percorso di collaborazione che porterà i rappresentanti dei minatori ad aprire il corteo del Pride dell’anno successivo.

Bel film, emozionante e commovente, bella storia di lotte condivise, di persone che cambiano nell’incontro con l’altro. Una storia che ci racconta che tutte le lotte sono importanti e soprattutto che sono collegate tra loro. Perché la lotta è una.

“Non capisco chi combatte solo per i diritti dei lavoratori senza combattere per i diritti delle donne, o chi combatte per i diritti degli omosessuali senza interessarsi dei lavoratori” dice Mark Ashton, attivista ventiquattrenne soprannominato “il comunista”.

E non posso che essere daccordo con lui.

http://www.youtube.com/watch?v=qNQs6gSOkeU

As we come marching, marching in the beauty of the day,
A million darkened kitchens, a thousand mill lofts gray,
Are touched with all the radiance that a sudden sun discloses,
For the people hear us singing: “Bread and roses! Bread and roses!”

As we come marching, marching, we battle too for men,
For they are women’s children, and we mother them again.
Our lives shall not be sweated from birth until life closes;
Hearts starve as well as bodies; give us bread, but give us roses!

As we come marching, marching, unnumbered women dead
Go crying through our singing their ancient cry for bread.
Small art and love and beauty their drudging spirits knew.
Yes, it is bread we fight for — but we fight for roses, too!

As we come marching, marching, we bring the greater days.
The rising of the women means the rising of the race.
No more the drudge and idler — ten that toil where one reposes,
But a sharing of life’s glories: Bread and roses! Bread and roses!

(trad. italiano): Mentre marciamo, marciamo nella bellezza del giorno, un milione di cucine annerite, mille lucernari di fabbriche grige, sono toccate da tutto il fulgore che un sole improvviso dischiude, per chi ci ascolta cantiamo: “Pane e rose! Pane e rose!” Mentre marciamo, marciamo, noi ci battiamo anche per gli uomini, perchè sono figli di donna, e noi anche le loro madri. Le nostre esistenze non saranno sfruttamento dalla nascita sino alla tomba. I cuori patiscono la fame come i corpi, dateci il pane, ma dateci anche le rose! Mentre marciamo, marciamo, innumerevoli donne morte, vanno piangendo attraverso il nostro canto il loro antico lamento per il pane. Il loro spirito stemato conobbe poca arte, poca bellezza e poco amore. Si, è per il pane che combattiamo, ma noi combattiamo anche per le rose! Mentre marciamo, marciamo, noi portiamo giorni grandiosi. La riscossa delle donne significa la riscossa dell’umanità. Non più chi si massacra di lavoro e chi ozia, i tanti che sgobbano e i pochi che riposano, ma la condivisione delle glorie della vita: pane e rose! Pane e rose!

Consigli per le feste

scritto da: gilda mercoledì 24 dicembre 2014 alle 06:32

Son tempi questi in cui la lotta di classe non va più di moda. Ter­mine in disuso. E soprat­tutto prat­ica in disuso.

C’è chi si dà allo spir­ito puro o  alla mate­ria più bruta o sem­plice­mente  al pro­prio tor­na­conto, chi coltiva il pro­prio orticello, chi va a letto e  si copre il capo, chi con­tinua impert­er­rito ad andare a votare.

C’è chi si ricorda della sua bella gioventù di lotta e chi lotta clic­cando “mi piace”  e fir­mando molte petizioni sui social network.

C’è chi dice che le cose hanno tante sfu­ma­ture, chi è con­vinto che le malat­tie dipen­dano esclu­si­va­mente da noi stessi, come se intorno ci fosse il vuoto, e c’è chi va a bal­lare il tango per il papa anche se è ateo da generazioni.

L’individuo al centro.

C’è chi dà tutta la colpa agli immi­grati e chi è tal­mente dis­per­ato che non riesce a fare più niente se non cer­care di soprav­vi­vere, c’è anche chi per la dis­per­azione la fa finita.

C’è per for­tuna chi ci crede ancora e cerca strade per cam­biare le cose e chi, come me purtroppo, un po’ ci ha rin­un­ci­ato (ma è per­ché me lo posso per­me­t­tere, ho una casa, un lavoro) e cerca solo di con­ser­vare un po’ di coerenza e di decenza.

E non me ne sto tirando fuori, non mi sento un’anima pura.

Chi alla lotta di classe non ha mai smesso di cred­erci sono loro,  i padroni con i loro servi e com­pari, che non hanno mai smesso di fare la guerra ai pover­acci, una guerra spietata.

Per ricor­darci che esistono delle classi, per fare un po’ di chiarezza in questa melma feis­bukkiana dove tutto diventa uguale e indifferenziato, per “san­tifi­care” queste feste a modo nos­tro, con­siglio un libro e un film.

Il libro, o meglio i libri, sono i due volumi (c’è anche il terzo in preparazione) de “Il sol dell’avvenire” di Vale­rio Evan­ge­listi. Il primo: “Il sol dell’avvenire. Vivere lavo­rando e morire com­bat­tendo”, ambi­en­tato nell’Italia post-risorgimentale seguendo le vicende di con­ta­dini e brac­cianti romagnoli, si con­clude con il 1900. Il sec­ondo “Il sol dell’avvenire. Chi ha del ferro ha del pane”, sem­pre sit­u­ato  in Emilia e in Romagna, ma che, come il primo, ha un respiro più ampio, ci porta fino al bien­nio rosso (uno dei miei peri­odo storici prefer­iti quando andavo a scuola: che godi­mento quelle bandiere rosse e nere piantate sulle fab­briche e quegli operai che si impos­ses­sa­vano di quello che gli spet­tava di diritto) e al primo apparire del fas­cismo. La sto­ria della vita della povera gente e delle lotte sociali e politiche  in un’ottica asso­lu­ta­mente di classe. Senza trac­cia di retor­ica. Sec­ondo me un’operazione stor­ica che è sem­pre nec­es­sario e utile rin­no­vare.  Sto­ria che ci parla del pre­sente. E poi tante donne in questi libri, donne pro­tag­o­niste. Bel­lis­simi tutti e due. Aspettiamo il terzo.

Il film è l’ultimo di Ken Loach, “Jimmy’s Hall”, sto­ria vera ambi­en­tata nell’Irlanda rurale degli anni ’30. Sto­ria min­ima, sto­ria di una sorta di cen­tro sociale nel mezzo delle cam­pagne irlan­desi, dove le per­sone si ritrovano a stu­di­are, dis­cutere, dipin­gere, bal­lare (sarà per quello che mi è piaci­uto, in questo peri­odo non fac­cio altro che bal­lare). In alcune critiche al film si parla di schema­tismo: forse ci si riferisce anche a questa scena:

Beh, se è schematico questo dis­corso (per altro asso­lu­ta­mente attuale), allora evviva lo schematismo.

Auguri di classe a tutt*!

Giuseppina Cattani

giuseppinacattaniNata ad Imola nel 1859, Giuseppina Cattani proviene da una famiglia di umili condizioni, ma di grande apertura culturale. I suoi genitori intrattengono stretti rapporti con esponenti di punta della cultura socialista ed internazionalista, come Andrea Costa, Anna Kuliscioff e il poeta Giovanni Pascoli.

Dato il contesto familiare, è naturale che le venga riconosciuto senza problemi il diritto ad una istruzione superiore. Frequenta il liceo a Bologna, dove, appena diciassettenne, entra a far parte delle file internazionaliste. Collabora alMartello, diretto da Costa. Fa parte del gruppo femminile della locale sezione dell’Associazione internazionale dei lavoratori (la Prima Internazionale), che passa alla clandestinità dopo lo scioglimento delle organizzazioni internazionaliste, decretato dal governo per il moto del Matese del 1877.

Nel 1879 si iscrive alla facoltà di Medicina. Durante la seconda ondata di persecuzione contro gli internazionalisti si occupa del soccorso ai carcerati e ai loro familiari. Agli inizi degli anni ’80 collabora alla Rivista internazionale del socialismo di Costa.

Si laurea con lode nel 1884 ed è assistente nel laboratorio di patologia generale dell’università, diretto dal professor Tizzoni. Con lui riesce ad isolare una coltura pura del bacillo del tetano: è il primo passo per la messa a punto di un siero antitetanico. Inaugura presso l’ateneo bolognese un corso di batteriologia.

Consegue l’abilitazione per la libera docenza in patologia generale. E’ la seconda donna dello Stato italiano ad essere ammessa all’insegnamento universitario e la prima a far parte della Società medico-chirurgica di Bologna.

Nel 1897 viene invitata a dirigere il gabinetto di radiologia, anatomia patologica e batteriologia dell’Ospedale di Imola.

In questa città muore nel 1914 per un tumore da radiazioni. Ha cinquantacinque anni.

Ringraziamenti a V. Evangelisti (di cui ho letto quasi tutto). Questa donna, a me prima assolutamente sconosciuta, l’ho trovata nominata nel suo ultimo libro: “Il sol dell’avvenire, che consiglio caldamente a tutt* di comprare, regalare, farsi regalare, prestare, farsi prestare, insomma di leggere…..Abbiamo bisogno di libri così.

http://donnola.u-lost.net/2013/12/26/giuseppina-cattani/