mondiali al contrario

Cosa significano i mondiali di calcio per le popolazioni dei paesi in cui si svolgono?

Sono sempre stati occasione di lucro per i soliti pescecani, e un disastro per gli strati più poveri della popolazione. Dappertutto.  A volte anche occasione per dar lustro internazionale a governi assassini, come i mondiali d’Argentina del ’78, che si svolsero mentre nel paese  si tortutavano e facevano sparire 30.000 persone, nel silenzio del mondo.

Anche quelli in Sudafrica non si smentiscono.  Gli abitanti delle baraccopoli sono stati forzatamente sfrattati e fatti vivere in transit camps, mentre ai venditori di strada è stato proibito di vendere la propria merce durante tutta la durata della Coppa del mondo. I poveri vengono spinti fuori, lontano dagli occhi dei turisti e dei giornalisti. Non c’è posto per i miserabili nella grande vetrina internazionale.

Esiste in Sudafrica un movimento nato dal basso Abahlali baseMjondolo [«quelli che vivono nelle baracche» in lingua zulu] , costituito dagli abitanti delle baraccoli che si sono autorganizzati. Il movimento ha basi in una decina di grandi città del paese. I baraccati, gli abitanti delle towships o favelas hanno preso a ribellarsi già da anni, perché le politiche neoliberiste dei governi hanno impoverito enormemente il grosso della popolazione e messo tutto sul mercato, al punto che una delle piaghe più frequenti è il distacco per morosità della luce o dell’acqua, nelle baracche. Così, la gente ha [ri]cominciato ad organizzarsi, con la parola d’ordine: «Siamo poveri nelle tasche, non nella testa». In questo periodo, in attesa dei mondiali Abahlali ha promosso molte manifestazioni e iniziative di protesta che sempre più spesso sono state represse con la violenza dalla polizia e dalle milizie armate. Dei loro rappresentanti sono venuti in Italia alla fine di maggio, ospiti della campagna “Mondiali al contrario” promossa dal settimanale Carta, sono stati ospiti in molte localitàdel nostro paese, tra le quali Rosarno e l’Aquila.

I mondiali sono poi una tragedia ancora più grande per le donne povere, ultime tra gli ultimi.

A questo proposito ecco cosa ci dicono gli uomini di maschile plurale

I mondiali degli uomini

Vogliamo rivolgerci agli uomini, e in particolare a tutti gli uomini italiani che attendono con trepidazione l’inizio del campionato mondiale di calcio in Sudafrica.

Migliaia di ragazze africane strappate nei mesi scorsi alle loro case e alle loro famiglie con la violenza, o con l’inganno e il ricatto vengono messe per strada dalle organizzazioni criminali nelle città sudafricane che ospiteranno nei prossimi giorni le partite del mondiale.

Si tratta di un impressionante traffico di esseri umani provenienti dai paesi limitrofi al Sudafrica come il Mozambico, finalizzato allo sfruttamento forzato della prostituzione, dell’accattonaggio, della pedofilia e del turismo sessuale.

Come denunciano molte organizzazioni internazionali (U.E., Amnesty …) fenomeni analoghi caratterizzano da alcuni anni tutti i grandi eventi sportivi internazionali. Si calcola che ben 40.000 ragazze, tra le quali molte minorenni, furono trasferite con la forza in Germania dai paesi dell’est-Europa in occasione dei mondiali di calcio del 2006.

Anche in Italia ogni anno molte ragazze africane, sud-americane, est-europee etc. arrivano sulle nostre strade come schiave. Il meccanismo è lo stesso: vengono minacciate di morte insieme alle loro famiglie e costrette a prostituirsi per pagare il debito contratto con chi aveva promesso loro l’illusione di un lavoro in un paese più ricco, e quando si rifiutano, o non potendone più, cercano di scappare vengono picchiate e stuprate anche fino alla morte. Cinquecento sono state le donne vittime di tratta assassinate in dieci anni nel nostro paese.

A milioni (4 secondo alcune statistiche, 10 secondo altre), noi maschi italiani continuiamo ad andare “a puttane”. Facciamo finta di non accorgerci che gran parte delle volte davanti a noi non c’è una persona che dispone liberamente del proprio corpo e della propria vita e che potrà spendersi quei soldi che le diamo come meglio crede, e così andiamo ad alimentare il mercato e il traffico di esseri umani, di organi, di armi e droga, rendendo sempre più violente e invivibili le nostre città e le nostre stesse vite. Un prezzo davvero troppo alto da pagare e far pagare!

Ma davvero disporre del corpo di una donna non libera è un esperienza appagante? Davvero abbiamo una percezione così misera dei nostri corpi e della nostra sessualità?

Siamo sicuri che solo con il denaro, il potere, la violenza possiamo ottenere quello che cerchiamo e desideriamo nella relazione con una donna (un uomo o una trans) e con il suo (loro) corpo?

A chi andrà in Sudafrica per i mondiali o a chi pensa di festeggiare una notte magica di vittoria o sfogare la rabbia di una sconfitta con un vero e proprio “stupro a pagamento” nelle strade delle nostre città, a noi, agli uomini tutti, chiediamo di aprire gli occhi e vedere quali sono le condizioni di vita che spingono tante donne e uomini a fuggire dal proprio paese illudendosi di trovare fortuna in un paese più ricco, e trovando invece troppo spesso l’orrore, lo sfruttamento, la disperazione, la morte.

A tutti vogliamo dire che si può andare in Sudafrica (o godersi il mondiale in TV o per strada) e tornare a casa alla fine di una giornata di lavoro, di una partita, di un viaggio, senza diventare criminali o complici di tutto questo. Semplicemente rimanendo umani.

Maschileplurale

toscana noCIE

Sabato 26 giugno ore 17.30 c/o Centro culturale «Pablo Neruda»

via Stradella 57d, Ronchi, Marina di Massa (MS)

EMAIL: centroneruda@virgilio.it

Sorvegliare (identificare) e punire

Carceri e cpt/cie: luoghi di reclusione sociale

Presentazione a Massa della campagna

“TOSCANA NO CIE”

Saranno presenti compagni/e del comitato regionale Primomaggio, foglio per il collegamento tra lavoratori, precari, disoccupati

Coordinamento migranti toscana del nord

WEB: http://xoomer.virgilio.it/pmweb

Da Conosci i tuoi diritti. Piccolo manuale di orientamenti per lavoratori e lavoratrici migranti

“I Centri di Permanenza Temporanea (CPT) sono stati istituiti su disposizione dell’art. 12 della legge 6 marzo 1998 Turco-Napolitano sull’immigrazione (L.40/1998), dal governo di centro-sinistra guidato da Romano Prodi. “Con il decreto legge n. 92 del 23 maggio 2008 “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica”, poi convertito in legge (L.125/2008) i Centri di Permanenza Temporanea vengono rinominati in “Centri di identificazione ed espulsione” (CIE)”.

Gli stranieri rinchiusi nei CIE sono sottoposti ad una condizione giuridica che viene spesso chiamata di detenzione amministrativa; infatti, le persone vengono private della libertà personale pur avendo violato solo una disposizione amministrativa (come trovarsi senza un documento d’identità o senza il permesso di soggiorno) e questo non dovrebbe comportare alcun tipo di reclusione.

Agli immigrati rinchiusi nei CIE vengono negati diritti garantiti agli altri cittadini perché, formalmente, vengono “solo” trattenuti o ospitati, ma in realtà è impedito loro di ricevere visite o di far valere il proprio diritto alla difesa legale.

Ovviamente i CPT non sono un fenomeno esclusivamente italiano, ma sono presenti in tutti gli Stati dell’Unione Europea, essendo il risultato della politica comunitaria sull’immigrazione sancita dagli accordi di Schengen del 1995”.

“Sorveglianza, esercizio, manovre, annotazioni, file e posti, classificazioni, esami, registrazioni. Tutto un sistema per assoggettare i corpi, per dominare le molteplicità umane e manipolare le loro forze, si era sviluppato nel corso dei secoli classici negli ospedali, nell’esercito, nelle scuole, nei collegi, nelle fabbriche: la disciplina” (Micheal Foucault, Sorvegliare e punire).

Un tempo la violenza materiale e culturale con cui quella disciplina ci veniva imposta la sentivamo sulla nostra pelle e ci spingeva alla ribellione. Quella disciplina a cui eravamo costretti poteva diventare auto-disciplina, forza, organizzazione, identità, necessità di trasformazione, volontà di riconquista della nostra umanità.

Eravamo sfruttati, ma non eravamo sottomessi.

Oggi siamo ancora sfruttati, ma possiamo dire non essere anche sottomessi, anzitutto alla paura e all’angoscia che ci vengono instillate giorno dopo giorno?

Per vincere le nostre paure non basteranno tutti i gendarmi di questo mondo appostati ad ogni angolo delle nostre strade. Non basteranno tutti i nemici che la nostra fantasia autolesionista riuscirà ad immaginare.

La “nazione guida” del mondo capitalistico, gli Stati Uniti, è la nazione che mostra la strada alle altre. Guardando gli Stati Uniti oggi vediamo come saremo noi domani.

“L’epoca della “deregulation” e dello smantellamento del welfare state ha coinciso con l’aumento della criminalità, il rafforzamento della polizia e la crescita della popolazione carceraria. Ed è stata inoltre quella in cui si è riservato fatalmente un destino sempre più crudele e spietato a chi veniva definito criminale, per placare le ansie, l’insofferenza, l’incertezza e la collera della maggioranza, silenziosa o rumorosa, dei consumatori più fortunati. Quanto più potenti divenivano i «demoni interiori», tanto più insaziabile era il suo desiderio di fare giustizia e punire i delinquenti. Il progressista Bill Clinton vinse le elezioni promettendo di rinfoltire i ranghi delle forze dell’ordine e di costruire nuove prigioni più sicure. Alcuni osservatori (fra i quali Peter Linebaugh dell’università di Toledo, nell’Ohio, autore di “The London Hanged”) sono convinti che egli arrivò alla Casa Bianca grazie all’esecuzione capitale, ampiamente pubblicizzata, di un ritardato mentale, Ricky Ray Rector, da lui decisa quando era governatore dell’Arkansas. Due anni dopo, i suoi avversari dell’estrema destra del Partito Repubblicano fecero il pieno di voti, alle elezioni di mezzo termine per il rinnovo del Congresso, accusandolo di non aver fatto abbastanza per combattere la criminalità e assicurando un maggiore impegno in questo senso. Clinton vinse il suo secondo mandato presidenziale dopo una campagna in cui entrambi i candidati fecero a gara nel promettere un rafforzamento della polizia e nessuna pietà per tutti coloro che «offendevano i valori della società pur continuando a restarne aggrappati», ovvero che vorrebbero godere del benessere generale senza adeguate credenziali e senza contribuire allo sviluppo della società dei consumi”. (Zygmunt Bauman, Lavoro, consumismo e nuove povertà).

I CPT/CIE sono carceri. Carceri “di transito” dove ad essere punito è il reato di “clandestinità”. Con la crisi economica in atto i posti di lavoro diminuiscono ogni giorno e ad essere colpiti sono innanzitutto i paesi più poveri e i precari e gli immigrati nei paesi più ricchi. Con la crisi, dunque, aumenteranno anche i “clandestini”, sia perché nuove persone lasceranno il proprio paese in cerca di fortuna, sia perché molti lavoratori non riusciranno più ad avere quel pezzo di carta che si chiama “permesso di soggiorno”, legato all’obbligo di essere sfruttati.

Il nostro civile e democratico paese non accetta persone che non siano utili ad un qualche padrone. Chi non serve ad un padrone viene prima escluso e prima o poi recluso di modo che gli effetti sociali del capitalismo vengano rimossi e nascosti ai nostri occhi.

E’ questo il mondo che vogliamo? Un mondo in cui ciascuno di noi resta prigioniero delle proprie paure? Un mondo in cui ogni anomalia deve essere almeno occultata visto non può essere eliminata? Se è questo il mondo che vogliamo, allora sì, sorvegliare, identificare e punire è la soluzione.

Altrimenti no. C’è anche la possibilità di affrontare e sconfiggere le nostre paure, di affrontare e sconfiggere chi ce le costruisce dentro. Di alzare la testa non in quanto astratti “esseri umani” (lo sono anche i nostri sfruttatori), ma in quanto sfruttati che lottano per sopravvivere, certo, ma anche a soprattutto per non essere più tali.

“Sorveglianza, esercizio, manovre, annotazioni, file e posti, classificazioni, esami, registrazioni. Tutto un sistema per assoggettare i corpi, per dominare le molteplicità umane e manipolare le loro forze, si era sviluppato nel corso dei secoli classici negli ospedali, nell’esercito, nelle scuole, nei collegi, nelle fabbriche: la disciplina” (Micheal Foucault, Sorvegliare e punire).

Un tempo la violenza materiale e culturale con cui quella disciplina ci veniva imposta la sentivamo sulla nostra pelle e ci spingeva alla ribellione. Quella disciplina a cui eravamo costretti poteva diventare auto-disciplina, forza, organizzazione, identità, necessità di trasformazione, volontà di riconquista della nostra umanità.

Eravamo sfruttati, ma non eravamo sottomessi.

Oggi siamo ancora sfruttati, ma possiamo dire non essere anche sottomessi, anzitutto alla paura e all’angoscia che ci vengono instillate giorno dopo giorno?

Per vincere le nostre paure non basteranno tutti i gendarmi di questo mondo appostati ad ogni angolo delle nostre strade. Non basteranno tutti i nemici che la nostra fantasia autolesionista riuscirà ad immaginare.

La “nazione guida” del mondo capitalistico, gli Stati Uniti, è la nazione che mostra la strada alle altre. Guardando gli Stati Uniti oggi vediamo come saremo noi domani.

“L’epoca della “deregulation” e dello smantellamento del welfare state ha coinciso con l’aumento della criminalità, il rafforzamento della polizia e la crescita della popolazione carceraria. Ed è stata inoltre quella in cui si è riservato fatalmente un destino sempre più crudele e spietato a chi veniva definito criminale, per placare le ansie, l’insofferenza, l’incertezza e la collera della maggioranza, silenziosa o rumorosa, dei consumatori più fortunati. Quanto più potenti divenivano i «demoni interiori», tanto più insaziabile era il suo desiderio di fare giustizia e punire i delinquenti. Il progressista Bill Clinton vinse le elezioni promettendo di rinfoltire i ranghi delle forze dell’ordine e di costruire nuove prigioni più sicure. Alcuni osservatori (fra i quali Peter Linebaugh dell’università di Toledo, nell’Ohio, autore di “The London Hanged”) sono convinti che egli arrivò alla Casa Bianca grazie all’esecuzione capitale, ampiamente pubblicizzata, di un ritardato mentale, Ricky Ray Rector, da lui decisa quando era governatore dell’Arkansas. Due anni dopo, i suoi avversari dell’estrema destra del Partito Repubblicano fecero il pieno di voti, alle elezioni di mezzo termine per il rinnovo del Congresso, accusandolo di non aver fatto abbastanza per combattere la criminalità e assicurando un maggiore impegno in questo senso. Clinton vinse il suo secondo mandato presidenziale dopo una campagna in cui entrambi i candidati fecero a gara nel promettere un rafforzamento della polizia e nessuna pietà per tutti coloro che «offendevano i valori della società pur continuando a restarne aggrappati», ovvero che vorrebbero godere del benessere generale senza adeguate credenziali e senza contribuire allo sviluppo della società dei consumi”. (Zygmunt Bauman, Lavoro, consumismo e nuove povertà).

I CPT/CIE sono carceri. Carceri “di transito” dove ad essere punito è il reato di “clandestinità”. Con la crisi economica in atto i posti di lavoro diminuiscono ogni giorno e ad essere colpiti sono innanzitutto i paesi più poveri e i precari e gli immigrati nei paesi più ricchi. Con la crisi, dunque, aumenteranno anche i “clandestini”, sia perché nuove persone lasceranno il proprio paese in cerca di fortuna, sia perché molti lavoratori non riusciranno più ad avere quel pezzo di carta che si chiama “permesso di soggiorno”, legato all’obbligo di essere sfruttati.

Il nostro civile e democratico paese non accetta persone che non siano utili ad un qualche padrone. Chi non serve ad un padrone viene prima escluso e prima o poi recluso di modo che gli effetti sociali del capitalismo vengano rimossi e nascosti ai nostri occhi.

E’ questo il mondo che vogliamo? Un mondo in cui ciascuno di noi resta prigioniero delle proprie paure? Un mondo in cui ogni anomalia deve essere almeno occultata visto non può essere eliminata? Se è questo il mondo che vogliamo, allora sì, sorvegliare, identificare e punire è la soluzione.

Altrimenti no. C’è anche la possibilità di affrontare e sconfiggere le nostre paure, di affrontare e sconfiggere chi ce le costruisce dentro. Di alzare la testa non in quanto astratti “esseri umani” (lo sono anche i nostri sfruttatori), ma in quanto sfruttati che lottano per sopravvivere, certo, ma anche a soprattutto per non essere più tali.

il coraggio di Joy ed Hellen

da  macerie il resoconto della giornata di ieri durante il presidio sotto il tribunale (a Milano) per manifestare solidarietà a Joy ed Hellen in occasione dell’incidente probatorio che le ha viste faccia a faccia con l’ispettore capo del Cie di Via Corelli Vittorio Addesso,accusato da Joy di tentata violenza sessuale:

Torna in piazza a Milano lo striscione proibito, quello del 26 novembre. Questa volta di fronte al Tribunale, proprio in mezzo al presidio in solidarietà con Joy ed Hellen e contro i Centri per senza-documenti: «Nei Cie la polizia stupra». Quando viene aperto, in mezzo alla strada e sulle striscie pedonali, poliziotti e carabinieri si agitano e si schierano, poi, con due piccole cariche, schiacciano i manifestanti verso il marciapiede. Ma il presidio tiene, e lo striscione proibito rimane in bella mostra.

Intanto, dentro al Tribunale, Joy ed Hellen confermano il loro racconto, e lo fanno diritte in faccia a Vittorio Addesso, che era lì in aula nascosto dietro ad un paio di occhiali da sole insieme al suo difensore, un avvocato dello studio La Russa di Milano. Ma ora che sono state ascoltate dal giudice, Joy ed Hellen rischiano di nuovo l’espulsione: oramai il processo può continuare senza di loro e fra pochissimi giorni, l’11 giugno, scadrà la proroga del trattenimento nel Centro. Bisogna tenere l’attenzione alta, e far quel che si può perché non rinnovino loro il trattenimento per altri due mesi ancora, come è successo qui a Torino per Debby e Priscilla.

8 giugno, Milano-presidio per Joy

da noinonsiamocomplici:

A FIANCO DI JOY ED HELLEN CONTRO CIE E DEPORTAZIONI

Milano 8 giugno dalle 14.30 – presidio sotto il tribunale (c.so di Porta Vittoria)

per manifestare la nostra solidarietà a Joy ed Hellen in occasione dell’incidente probatorio

che, dalle 15.30, le vedrà faccia a faccia con l’ispettore capo del Cie Vittorio Addesso, accusato da Joy di tentata violenza sessuale

Una sera d’estate Joy, una ragazza nigeriana vittima di tratta, porta il proprio materasso fuori dalla cella del Centro di identificazione ed espulsione di via Corelli a Milano. Preferisce dormire nel corridoio, dove fa più fresco.

Durante la notte si sveglia di soprassalto: sul suo corpo le mani di Vittorio Addesso, ispettore-capo del Cie, che si è sdraiato sopra di lei. Joy lo respinge con forza e decisione, altre donne la sostengono.

Un “normale” episodio di brutale – e sessista – amministrazione all’interno di un Cie, dove gli aguzzini dominano incontrastati, forti delle connivenze dei gestori di quei lager per immigrate/i.

Alcuni giorni dopo nel Cie di Milano scoppia la rivolta contro il “pacchetto sicurezza”. Joy e le altre donne che l’avevano aiutata vengono brutalmente picchiate, nude, dall’ispettore Addesso e colleghi, e arrestate: una chiara rappresaglia da parte di chi mette in atto ricatti sessuali e molestie e non intende accettare il rifiuto.

Durante le udienze del processo ai rivoltosi, Joy denuncia la tentata violenza da parte dell’ispettore. Hellen, sua compagna di stanza, conferma l’accaduto, diventando la sua testimone.

La Croce Rossa, nella figura del responsabile Massimo Chiodini, nega le responsabilità dell’ispettore-capo di polizia.

La giudice, voce della “giustizia” italiana, denuncia entrambe le donne per calunnia.

Tutte e cinque le donne imputate vengono condannate a sei mesi di carcere per la rivolta.

A febbraio, terminata la pena, vengono riportate in un Cie, dove a tutt’oggi tre di loro si trovano rinchiuse con la prospettiva di essere deportate in Nigeria, una prospettiva che per Joy ed Hellen, come per tante/i altre/i, equivale ad una condanna a morte.

L’8 giugno a Milano si terrà l’incidente probatorio, udienza durante la quale si troveranno faccia a faccia Joy, Hellen e Vittorio Addesso.

Con Joy, dietro a Joy, vi sarà tutto il mondo dei Cie, fatto di controllo, intimidazioni, abusi e violenze sui corpi rinchiusi. Dietro Vittorio Addesso starà tutta la gerarchia degli aguzzini, fino ad arrivare in alto, al ministero dell’interno e ad uno stato che vuole, gestisce e controlla quei lager. Uno stato che, nella figura di un suo servo, si troverà per l’ennesima volta come parte accusata in un’aula di tribunale da cui, molto probabilmente, ne uscirà assolto.

Ma non è da quell’aula di tribunale che ci aspettiamo una rottura con un consolidato meccanismo di violenze, abusi e ricatti, meccanismo che si esplicita quotidianamente dentro le mura di ogni Cie.

E’ urgente la presa di posizione di ognuna/o di noi contro le complicità che permettono l’esistenza di un lager di stato e coprono gli abusi che vi avvengono quotidianamente.

Per questo l’udienza che si terrà a Milano l’8 giugno, preceduta da una settimana internazionale di lotta contro le deportazioni, chiama tutte e tutti a fare una scelta di parte, ad opporsi e ad esserci.

Una mobilitazione fattiva che arrivi a concretizzare il vero obiettivo: la lotta per la distruzione di tutti i Cie, che è anche lotta per la nostra libertà e la nostra autodeterminazione all’interno di un paese-laboratorio sociale governato da uno stato di polizia.

NOINONSIAMO COMPLICI

nuovo manifesto femminista

Da FEMMINISMOASUD condividiamo e sottoscriviamo la prima stesura di un “nuovo manifesto femminista”. Grazie sorelle per la sintesi.

In Italia la situazione per le donne peggiora ogni giorno di più. Le donne pagano duramente e più di tutti la crisi economica, subiscono una campagna mediatica misogina e sessista che ne criminalizza le aspirazioni e le rivendicazioni. I corpi delle donne vengono usati per intrattenere il pubblico maschile e/o per soddisfare le richieste di continuità della specie. Non c’è scelta.

Le donne italiane non hanno diritto ad una libera sessualità. Trovano ancora forte opposizione alla contraccezione, ad una educazione di genere e ad una educazione sessuale che formino le giovani generazioni. Trovano ostruzionismi e obiezione alla contraccezione d’emergenza, all’interruzione di gravidanza e alla ru486. Le donne italiane subiscono la legge sulla procreazione medicalmente assistita più arretrata d’europa.

La violenza sulle donne sta raggiungendo numeri impossibili da ignorare. Centinaia di donne morte ogni anno per mano di mariti, fidanzati, conviventi, padri, familiari, conoscenti, ex. Centinaia di donne violentate, molestate, perseguitate, sottoposte ad ogni genere di violenza fisica e/o psicologica.

Le donne che diventano madri vengono oppresse con la prospettiva di leggi che ne mutileranno per sempre l’esistenza. Si parla di Tso (trattamento sanitario obbligatorio) post-parto, addirittura qualcuno auspica l’elettroshock. Le madri sono poverissime, non hanno risorse, sempre più restano dipendenti da mariti e familiari.

In caso di separazioni vengono oppresse da leggi che stanno riformulando il diritto di famiglia consegnando di fatto agli ex mariti le chiavi della loro vita. Nei procedimenti di affido è oramai sempre più frequente il riferimento alla Pas, una malattia “inventata” (come affermano tanti psichiatri in molti stati europei e americani) per discriminare le donne.

In italia le donne non sono libere di scegliere altra via se non la famiglia, intesa in senso etero e con funzione riproduttiva.

La lesbofobia, accanto alla omofobia e alla transfobia, diventa sempre più visibile e si manifesta in modo sempre più violento.

Le donne straniere che vivono in italia sono l’unico mezzo che le donne benestanti usano per sollevarsi dagli obblighi di cura. Quando le straniere non adempiono a questo dovere vengono rinchiuse nei Cie e rimpatriate.

Noi vogliamo, rivendichiamo:

– Pari opportunità nel lavoro, nello studio. Accesso al reddito minimo garantito. Pensioni reali. No precarietà. No disoccupazione. Asili nido. Diritto alla casa.

– Libera sessualità. Come la vogliamo, con chi vogliamo, consensualmente. Corsi di educazione di genere e di educazione sessuale nelle scuole. Contraccezione sempre disponibile. Aborto libero e gratuito. PMA adeguata alle normative europee più progredite e rispettose della salute delle donne. Sanità laica.

– Leggi a tutela delle vittime di violenza maschile (donne e bambini). Nessuna attenuante. Campagna culturale che educhi ad una comunicazione non sessista, non discriminatoria e non offensiva nei confronti delle donne. Campagna culturale che educhi alla non violenza contro le donne. Totale assistenza alle donne vittime di violenza. Accesso a reddito, lavoro, casa, per favorire l’allontanamento delle donne sottoposte a violenza domestica dal luogo in cui vive il loro carnefice. Risarcimento per le vittime di violenza. Assistenza legale gratuita.

– Mai affido dei figli a uomini che hanno commesso atti violenti contro donne e bambini. Nessuna psichiatrizzazione delle madri, delle donne e dei bambini. Totale adesione alle ragioni delle vittime (donne e bambini) e non a quelle dei loro carnefici (mariti violenti e pedofili).

– Leggi contro l’omofobia. A tutela delle unioni di fatto. Campagna culturale contro ogni tipo di discriminazione omofobica.

– No Cie. Le donne straniere vittime della tratta devono contare sull’asilo politico. Le donne straniere vittime di violenza maschile devono essere assistite e aiutate esattamente come le italiane. Nessuna colonizzazione culturale alla vita delle donne straniere.

—>>>Integrate, emendate, proponete modifiche, fate girare, aderite, sottoscrivete.

(l’immagine MUJER-DOMÉSTICA è di Colette-Rodríguez-Pittrice cubanada mujerescreando)