1 ottobre a Portici per Teresa

Venerdì 1 Ottobre ore 18

Una fiaccola, più una, più una …..

per Teresa

Piazza S. Ciro – Portici (Napoli) – Italia

Saremo tutte in piazza, a Portici con le donne di Portici, con tutte le donne che hanno paura, con tutte quelle che hanno coraggio,

Per lei che ha vinto la paura, per avere il coraggio di andare verso la libertà di sua figlia e delle figlie di tutte, vogliamo scandire le parole che avrebbe detto, se le armi omertose “della famiglia” non l’avessero zittita. Teresa voleva vivere, parlare e compiere i gesti necessari a tutte.

Teresa non cercava la morte, cercava la vita come deve essere vissuta, e ha chiesto allo Stato di vincere con lei sull’arroganza efferata che spezza le vite di bambine, bambini e donne.

Ancora una volta è stato troppo tardi, un altro motivo per dire basta con tutta la forza che abbiamo e per dire che non basta deplorare. Un altro motivo per chiedere che tutti, ma prima di tutti lo Stato, scelgano da che parte stare.

Gli assassini hanno colpito per affermare il diritto a disporre dei corpi e delle coscienze, per stabilire chi comanda. Il grido delle donne, la loro capacità di opporsi al controllo mafioso sulle loro vite sono un patrimonio di civiltà che non può e non deve essere più essere dissipato e calpestato. All’orrore non si risponde con le lacrime. Il coraggio delle donne, il coraggio di Teresa, rivendica il riscatto della politica dalle complicità con chi usa donne e bambini come oggetti.

Ci vogliono atti concreti, ci vuole una legge organica contro le violenze, ci vuole la salvaguardia delle vittime, perché sono le testimoni, il bene più prezioso per costruire la giustizia. Ci vuole coraggio e i politici devono finalmente averne, quello delle donne troppo spesso finisce nel sangue.

Invitiamo tutte ad essere con noi, con una fiaccola per la libertà dal silenzio che avvolge un crimine antico e organizzato, che deve e può essere sconfitto: di fronte al dolore di sua figlia e di ognuna, mobilitarsi perchè Teresa sia l’ultima è un dovere non un’utopia.

BASTA MORIRE PER ESSERE LIBERE

BASTA MORIRE DA DONNE PER LIBERARE TUTTI DALL’ORRORE

Udi di Napoli, Udi Di Portici, La Camera delle donne, Associazione Maddalena, Arcidonna, Donne Medico

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per Teresa

Teresa Buonocore si è ribellata alla violenza maschile, si è permessa di testimoniare al processo all’uomo accusato dello stupro di sua figlia. La bambina, all’età di 8 anni, aveva  subito una violenza da parte del vicino. L’uomo pochi mesi fa è stato condannato in primo grado a dieci anni di carcere e oggi è in galera.

Per questo il 20 settembre scorso l’hanno ammazzata, massacrata con una scarica di proiettili. Questa donna coraggiosa è morta per aver difeso la sua bambina di 8 anni da uno stupratore. Uccisa per vendetta, perchè un maschio violento e abusante non è solo, c’è una rete di omertà e di complicità istituzionale,cultural e  sociale intorno a lui, che lo tollera, lo giustifica e lo protegge e, in questo caso, lo “vendica” e uccide la donna che senza paura ha detto la verità  e ha lottato apertamente.

Ci sono appelli per una manifestazione a Portici, dal sindaco, dall’avvocatessa di Teresa. Qui sotto riporto il comunicato dell’UDI di Napoli:

Comunicato per Teresa. Uccisa il 20 settembre del 2010

Teresa Buonocore è morta, uccisa da sconosciuti, dai soliti sconosciuti.

Abbracciare e solidarizzare coi figli, o aver plaudito al coraggio di Teresa nel proteggere la sua bambina per proteggerne altre, è ed è stato doveroso, ma comunque la cosa più comoda che si possa fare.

Si deve dire di più quando una donna muore essendo l’ultima vittima del coraggio di lasciare, denunciare, ribellarsi.

Teresa Buonocore è l’ultima donna vittima di una lunga teoria di uccisioni, nella quale la straordinaria coincidenza tra un evidente fare camorristico dei carnefici, il mutismo dei testimoni occasionali e l’autodifesa in solitudine delinea la qualità del patto sociale.

Come in molta parte della difesa dei diritti delle cittadine, sul femminicidio lo Stato Italiano è flebilmente presente, e lo è per lo più solo dal punto di vista comunicativo. Si tratta di una comunicazione alla quale si sono piegati anche alcuni media, sottolineando sempre ed ossessivamente “la necessità del coraggio da parte delle vittime”.

Teresa ha avuto coraggio. Di più ha elargito dignità, pagando nei tribunali e fuori, fino ad essere soppressa.

Noi dobbiamo avere fiducia negli inquirenti, perché con loro abbiamo costruito un rapporto di collaborazione nel sostegno alle vittime che “hanno il coraggio di denunciare”, un protocollo tra femminismo e questura di Napoli. Abbiamo anche noi avuto coraggio, a sperimentare una strada che nel 2005 sembrava impercorribile, avviando il dialogo nei luoghi dove la violenza è intercettata: commissariati ed ospedali.

Teresa ha avuto coraggio ed ha investito su una risposta che dallo Stato non è venuta.

Non si tratta di fatalità, come non lo è stata per Matilde Sorrentino, nemmeno a dirlo, uccisa con modalità camorristiche, per aver difeso i figli di tutte dagli orchi di Torre Annunziata.

C’è tanto da fare nel nostro paese, simbolicamente, a partire dai luoghi dove la proprietà sui corpi e la pretesa del silenzio esibiscono l’affronto aperto alla sovranità dello Stato di diritto. Non si tratta solo del Sud, o almeno si tratta di quel sud che è ovunque la comunità nazionale individua nella vittima “la colpa di non aver avuto coraggio, ed insieme di averne avuto troppo”, cioè dovunque c’è una cittadina di serie b, una donna .

In questi giorni Dacia Maraini ha affermato che la serie infinita dei femminicidi mostra la scomposta reazione alla maggiore richiesta di libertà delle donne, merito, ha detto, del femminismo.

Noi aggiungiamo che c’è un altro merito, taciuto ancora pervicacemente nella categoria “e femministe dove sono?”, oltre la rivendicazione della sacrosanta libertà, di tutti, dalle violenze contro le donne. È il merito di aver promosso il “tema culturale” del femminicidio, facendolo approdare tra le istanze di piena responsabilità e competenza del potere politico.

Se i cittadini spettatori non parlano, se le vittime sono sole, se alle donne viene chiesto il coraggio di morire, se lo Stato protesta come un comune cittadino e come quello si rifugia nella retorica, vuol dire che manca qualcosa. Nella difesa di molti diritti manca qualcosa, ma quel qualcosa che manca nel caso delle uccisioni sistematiche delle donne è la presenza simbolica dello Stato, che altrove si esprime se pure in modo inefficiente.

Contro altri reati, lo Stato tiene a difendersi dalle accuse dei cittadini per i suoi insuccessi. Questo perché il danno provocato dei reati camorristici, comunemente detti, e corruttivi, comunemente detti, con leggi e provvedimenti, è riconosciuto formalmente come danno allo stato ed alla comunità tutta.

Contro le violenze sulle donne e la loro uccisione, non è avvenuto nulla di più che l’introduzione di una parola, che sembra uno sport (stalking che, come dice Maraini, andrebbe sostituita con persecuzione), e la diffusione di uno spot che reclamizza un prodotto che non si vende e non è a disposizione dello Stato : il coraggio delle donne.

Il dolore che di nuovo proviamo è pieno di rabbia.

Udi di Napoli

scuola

Io faccio la custode in una scuola materna. 15 settembre riapertura delle scuole. Si riapre con tre maestre su sei in meno , perchè le supplenti le mandano tra una settimana, tanto “sarebbero in compresenza”. Peccato che la compresenza si fa appunto per accogliere bambini di tre anni, piangenti, urlanti, bisognosi di attenzione e rassicurazione.

La scuola elementare annessa alla nostra ha aperto con una sola prima, una prima di 30 bambini, come ai tempi della mi nonna. Mi chiedo come potranno essere realmente seguiti, soprattutto quelli in difficoltà, non i figli dell’avvocato (che sempre più se ne vanno dai preti), ma i figli degli operai, dei precari (come le loro maestre!) dei migranti, che hanno anche spesso problemi di lingua.

Questi sono i primi effetti dei tagli della gelmini

L’altro aspetto sono i posti di lavoro in meno, i precari che perderanno anche quel poco schifoso lavoro che avevano.

L’impressione che mi assale continuamente è quella di un paese allo sfascio.

E poi c’è proprio anche un altro modo di intendere la scuola.

E’ venuta di nuovo l’ora del comando dell’istituzione. La scuola che stanno preparando è una scuola sempre più classista, autoritaria, nozionista, gerarchica, sessista, escludente: cioè fascista.

Sempre più purtroppo mi convinco che non c’è più spazio nelle scuole pubbliche per cercare di cambiare le cose, è una battaglia che ti sfianca e ti distrugge. Eroici quelle/i (me compresa) che ci continuano a provare (anche perchè siamo costrette/i: chi lo lascia un lavoro fisso, oggi come oggi?) La scuola dell’obbligo italiana è stata nel passato un grande laboratorio, in cui sono state costruite e sperimentate cose molto belle, ma ora è sempre più difficile. Come è possibile, dico io, sperimentare qualcosa in una classe di 30 bambini, magari con la maestra unica e il “doposcuola” nel pomeriggio? Tutto quello che era stato fatto di buono si sta logorando giorno dopo giorno, nonostante la passione e il lavoro di tanti bravi insegnanti (che ci sono, come ci sono quelli razzisti e stronzi, del resto).

E perciò è da parecchio tempo che mi viene da pensare che forse è l’ora di cercare di costruire al di fuori di tutto questo, di provare a costruirci da soli/e  ALTRE scuole. Scuole di libertà e responsabilità, non scuole di obbedienza e di prepotenza. Forse un po’ alla volta ne può nascere qualcosa.

In Italia qualcosa sta cominciando a muoversi. Da sei anni c’è la scuola Kiskanu a Verona. Un’altra apre quest’anno a Bologna. Sempre quest’anno inizia la sua strada ad Assisi il “progetto mukti”, per ora con la creazione di un asilo nido. Mia figlia mi ha fatto vedere il documentario “Sotto il Celio azzurro”, su questa bella scuola materna a Roma, una boccata d’aria pura…tra l’altro tanti maestri maschi, a dimostrazione del fatto che gli uomini possono essere  bravissimi nei lavori cosiddetti “femminili”…

altri spezzoni del film su questa scuola li trovate qui.

Certo è difficile, il problema del denaro è un vero problema. Perchè non diventino scuole per privilegiati bisogna trovare i SOLDI: per le strutture, per il materiali, per il reddito di chi ci lavora. Ma forse vale la pena provarci, inventarsi qualcosa…daltronde l’alternativa sono tanti bambini in divisa e un lavoro precario, frustrante e sotto comando per gli insegnanti.

da noinonsiamocomplici: ABCie

dal blog di noinonsiamocomplici è possibile scaricare ( e poi  stampare, diffondere) il glossario ABCie che loro  hanno preparato:

ABCie. Glossario-dossier a cura di Noinonsiamocomplici

E’ finalmente pronto il dossier che avevamo preannunciato un paio di mesi fa.

Mentre ci lavoravamo nei Cie di tutta Italia sono continuati le rivolte e i tentativi di fuga. Anche dal Cie di Modena alcuni immigrati hanno cercato di tagliare la corda dimostrando, ancora una volta, che quel lager non è meno lager di altri, checché ne dica Giovanardi.

Per tutte queste notizie rimandiamo a Macerie che, come sempre, è il sito più aggiornato.

Poniamo, invece, alcune domande su due fatti recenti.

La prima riguarda l’Ariete, il peschereccio di Mazara del Vallo mitragliato, la notte del 13 settembre scorso, da una motovedetta italiana ’gentilmente’ concessa in dotazione – con tanto di armi e finanzieri – alla Libia in seguito agli accordi sul pattugliamento del Mediterraneo. Al di là dell’orrore giustamente suscitato dalla prassi della battuta di caccia alle/i migranti, resa definitivamente evidente da questa vicenda, ricordiamo che l’Ariete nell’inverno del 2008 fu uno dei pescherecci che intervenne per salvare centinaia di migranti che, stipati in due barconi, erano in preda al mare forza 9. Per l’Ariete, come per altri pescherecci, non si trattava del primo intervento solidale, pratica per la quale avevano già ricevuto dei riconoscimenti ufficiali nonché un premio. E allora ci chiediamo se sia davvero ‘per sbaglio’ che la ferocia criminale dei pattugliamenti congiunti si sia scatenata contro l’equipaggio del peschereccio o se, invece, si prospetti la pena di morte per “delitto di solidarietà“.

E a proposito di pena di morte, davanti alla lodevole quanto, spesso, ipocrita e guerrafondaia mobilitazione per Sakineh un’altra domanda sorge spontanea: se Sakineh per sfuggire alla pena di morte fosse scappata in Italia e fosse stata portata in un Cie per essere espulsa, ci sarebbe stata la stessa attenzione? O, invece, avrebbe fatto la fine di Faith della quale, per altro, ancora non si riescono ad avere notizie né a sapere, almeno, se sia ancora viva? E quante sono, oggi, le Faith e le Sakineh rinchiuse dallo Stato italiano nei lager per migranti in attesa di consegnarle al boia?

Anche in forza di questo quadro raccapricciante, vi invitiamo a diffondere il dossier ABCie – La lotta con Joy: un’esperienza singolare?, sperando che possa fornire utili strumenti per continuare la lotta contro i lager della democrazia.

Di seguito potete leggerne la premessa nonché scaricare la versione stampabile e quella web coi link ipertestuali.

Perché questo “glossier”?

Può capitare che le anime belle che si avvicinano alla politica si trovino imbrigliate in un ginepraio di istituzioni, enti, associazioni e cooperative – magari dal nome accattivante o rassicurante – che sembrano occuparsi di “cose giustissime”… Queste anime belle rimangono così irretite dal “volto umano” di alcune istituzioni senza comprendere a che ruolo siano asservite.

La storia di Joy, che ha reso più trasparenti le mura dei Centri di identificazione ed espulsione (Cie), ci ha permesso di distinguere con chiarezza chi fa cosa e che ruolo riveste là dove un mandato non è mai neutro perché significa profitto.

A Joy, vittima di tratta come tante altre ragazze nigeriane, lo Stato italiano ha rubato un anno di vita nel circuito Cie-carcere-Cie per essersi difesa dalla violenza sessuale di un ispettore-capo di polizia nel lager per immigrati/e di via Corelli, a Milano.

Pur avendo seguito la sua vicenda dall’inizio, abbiamo potuto incontrarla quando, dopo due mesi di Cie e sei di carcere, è stata rinchiusa di nuovo in un Cie, quello di Modena. La sua domanda più ricorrente era la medesima di donne e uomini rinchiuse/i nei lager della democrazia: “Perché sono qui?”.

In parte è catartico per noi render pubblica questa esperienza, ma soprattutto intendiamo mettere a disposizione di chi lotta contro i Cie degli strumenti in più e dare, a chi ancora non lotta, delle buone ragioni per cominciare a farlo senza rimandare oltre.

Con questo “glossier” (dossier in forma di glossario) vorremmo anche affrontare una serie di fraintendimenti che non abbiamo avuto tempo di chiarire lungo il percorso perché eravamo troppo concentrate sull’obiettivo: tirar fuori Joy dal lager per migranti e non farla rimpatriare.

Non pretendiamo di essere esaustive, quanto di fornire uno strumento ulteriore per la cassetta degli attrezzi di chi sogna una società senza gabbie e combatte per realizzarla. Questa esperienza “singolare” – una microfisica che è anche una macrofisica – si inserisce nell’esperienza collettiva elaborata in anni di lotte contro i Cie, per meglio mettere a fuoco il dispositivo in generale.

Creati come Centri di permanenza temporanea (Cpt) nel 1998 dal governo di centro-sinistra con la famigerata legge Turco-Napolitano, i Cie non possono essere umanizzati né riformati – cosa che le istituzioni locali vanno invece farneticando a proposito del costruendo Cie in Toscana! – ma devono essere cancellati dalla storia umana, come tutti i lager e le altre istituzioni totali.

Abbiamo sempre tenuto Joy aggiornata sulle mobilitazioni per la sua liberazione perché fosse chiaro che, oltre a noi, dal nord al sud c’era chi si muoveva per lei e contro i Cie.

Joy sa anche che stiamo stilando questo dossier, come ha sempre saputo che la nostra lotta al suo fianco andava anche oltre la sua particolare situazione, ma senza perderla mai di vista.

D’altronde tutto era partito, lo ricordiamo, dalla rivolta dell’agosto 2009 nel Cie di via Corelli contro il “pacchetto sicurezza” che prolungava la detenzione da due a sei mesi. E fu proprio durante il processo contro i rivoltosi e le rivoltose che Joy raccontò di aver respinto un’aggressione sessuale da parte dell’ispettore-capo Vittorio Addesso.

Non si è dunque trattato di una relazione privilegiata fra noi e Joy, ma di un ponte fra una donna rinchiusa nel Cie e chi, fuori, era solidale con lei.

Questo “glossier” vuole anche essere un riconoscimento alle compagne e ai compagni che si sono mobilitate/i insieme a noi, a quella incredibile rete che, concretamente e senza alcuna volontà di egemonizzare, ha messo a disposizione tutti i suoi mezzi – radio, presenza fisica nelle piazze, azioni, informazione – comprendendo l’importanza di questa lotta.

Per meglio rendere l’idea di questo percorso, abbiamo pensato di aprire il “glossier” con il permesso di colloquio rilasciato dalla prefettura di Modena e di chiuderlo con il “decalogo” che la questura modenese ha preparato per chi, il 30 luglio scorso, stava organizzando un presidio sotto al Cie.

All’indirizzo web noinonsiamocomplici.noblogs.org si trova una versione di questo glossario-dossier con i link ipertestuali per gli approfondimenti.

(Estate 2010)