sull’autonomia del femminismo arabo

Un articolo di Fatima Mernissi tradotto dal sito mundoarabe.org

SULL’AUTONOMIA DEL FEMMINISMO ARABO

La rivoluzione consiste nel capire il linguaggio estraneo e minaccioso degli altri. “Il femminismo non è nato nei paesi arabi, è un prodotto importato dalle grandi città dell’Occidente”. Questa affermazione si sente spesso in bocca a due gruppi di persone che per il resto non si assomigliano per niente. Da un lato il gruppo dei leader religiosi conservatori arabi e dall’altro quello delle femministe provinciali occidentali, e ciò che questa opinione sottintende è che la donna araba è un essere subumano, sottomesso e mezzo tonto, che è felice nella degradazione organizzata dal patriarcato e nella miseria istituzionalizzata.

Gli interessi occulti che il primo gruppo- i leader religiosi conservatori arabi- nascondono dietro questa visione della donna araba sono facili da capire. L’affermazione stessa contiene il presupposto ideologico chiave, imprescindibile per la sopravvivenza dell’Islam patriarcale. Dai suoi inizi questo si è sentito minacciato dalle femmine arabe ribelli. A me recitavano  piamente passaggi del prestigioso repertorio del hadit di Bukhari, nel quale le donne vengono paragonate al caos sociale e a Shaytan, ogni volta che davo mostra di prendere qualche iniziativa anticonformista, perfino all’età di sei anni.

Nel Corano si trovano due concetti che sono in relazione con gli impulsi sovversivi e i poteri distruttivi delle donne: nushuz e qaid. Entrambi si riferiscono alla tendenza delle donne a essere cittadine poco cooperative e affidabili della umma, o comunità musulmana. Nushuz si riferisce specificatamente alle tendenze ribelli della moglie nei confronti del marito in un ambito nel quale l’obbedienza femminile è vitale: la sessualità. Nel Corano è nushuz la decisione della moglie di non soddisfare il desiderio di avere relazioni sessuali del marito. Qaid è la parola chiave della Sura di Josè, nella quale il detto profeta è perseguitato da una moglie adultera caparbia e senza scrupoli.

Come possiamo verificare la tendenza sovversiva delle donne è già riconosciuta dal Corano nel secolo VII, ma il leader arabi odierni si sorprendono e pontificano contro le idee distruttive importate dall’Occidente ogni volta che nutrono sospetti sul fatto che le donne arabe possano ribellarsi. L’atteggiamento di questi uomini è comprensibile: se riconoscessero che la resistenza delle donne è un fenomeno autoctono dell’Islam, dovrebbero riconoscere che l’aggressione contro il loro sistema non viene solo da Washington e Parigi, ma anche dalle donne che abbracciano ogni notte, e chi vuole vivere con questo pensiero?

Come i testi sacri delle altre grandi religioni monoteiste- l’ebraismo e il cristianesimo- che l’Islam rivendica come propria fonte e riferimento, il Corano contiene gli archetipi delle relazioni gerarchiche e della diseguaglianza sessuale. Questi modelli si sono riaffermati nel corso di quattordici secoli, grazie a diverse ulteriori circostanze, come per esempio il potere il potere politico ed economico dell’età dell’oro del trionfo musulmano, quando nacque il concetto delle dshawari, le deliziose schiave del piacere, colte e piene di talento. Sono l’archetipo prefabbricato con le donne arabe e musulmane devono fare i conti. Le dshawari, che erano solitamente doni (e bustarelle e ricompense) a uomini influenti, erano la versione laica della hurì, che il Corano descrive come creatura femminile, eternamente vergine, affettuosa e bella, che viene offerta come ricompensa ai credenti devoti quando arrivano in paradiso. Ai devoti di sesso maschile, ben inteso. Questi modelli sacri e laici di donna hanno avuto una enorme incidenza nella creazione e nel mantenimento dei ruoli sessuali nella civilizzazione musulmana. Perciò, perchè le donne arabe non dovrebbero ribellarsi?

Dopo tutto, anche se molti uomini arabi e quasi tutti i turisti hanno una immagine romantica della donna araba, la sua vita reale non assomiglia affatto a quella delle Mille e una notte. La maggioranza delle donne marocchine svolge molti lavori essenziali, ma spesso non riconosciuti, come tessere tappeti, montare collane, intrecciare il cuoio e cucire, oltre a lavorare nell’agricoltura, nella enorme amministrazione burocratica, nell’industria leggera e naturalmente nel settore dei servizi, oltre a pulire, cucinare e aver cura dei bambini.

Senza dubbio la colonizzazione ha svalutato il lavoro delle donne ancor più dei sistemi patriarcale autoctoni: da un lato a causa della perdita di prestigio del lavoro manuale in generale per l’affermarsi delle conoscenze tecniche e in particolare per la svalutazione del lavoro domestico all’interno del mondo capitalista, che non lo considera un lavoro produttivo e non lo include neanche nei bilanci nazionali.

La creazione di nazioni indipendenti è stato un fattore importante nell’innalzare le aspettative delle donne, nonostante siano state tradite molte volte e con conseguenze tragiche, per esempio in Algeria. La donna dell’Africa del Nord sogna oggi di ottenere un impiego fisso in qualche istituzione statale, un salario e una sicurezza sociale che copra l’assistenza medica e il pensionamento. Le donne non contano più sull’uomo per il loro sostentamento, ma sullo Stato. Anche se forse neanche questo è l’ideale, per lo meno è un passo avanti, una liberazione dalla tradizione. Inoltre, grazie a questo, le donne marocchine partecipano attivamente al processo di urbanizzazione. Abbandonano le aree rurali in una percentuale paragonabile a quella della migrazione maschile, in cerca di una vita migliore sia nelle città arabe che in quelle europee. Secondo un recente studio la percentuale di donne che lavorano fuori del paese è il 40%,.

Inoltre, in alcune professioni la percentuale di presenza femminile inizia ad essere notevole se si tiene conto che fino alla Seconda guerra Mondiale le donne marocchine vivevano recluse nelle proprie case, senza poter andare a scuola o competere per un titolo o un impiego, né nel settore pubblico né in quello privato. Il loro contributo all’agricoltura, all’artigianato e al settore dei servizi si sviluppava negli spazi tradizionali e poteva essere ignorato perchè considerato lavoro domestico. Le donne contribuivano come mogli, madri, figlie, zie…ma non come donne in sé.

Negli anni quaranta e cinquanta le donne marocchine pensavano ancora che il lavoro domestico fosse il loro destino, ma oggi le donne giovani vogliono avere istruzione e lavoro. Questo è ancora molto difficile da ottenere. Nell’amministrazione e nell’industria le donne possono aspirare a un impiego soltanto se hanno due anni o più di istruzione secondaria, e anche in questo caso solo dopo essersi qualificate come segretarie. Nel 1982 le femmine erano solo il 37% degli alunni della scuola primaria, il 38,1% della scuola secondaria e il 26,3% degli studenti universitari.

Nelle elezioni del 1977, tre milioni di donne andarono alle urne. Di 906 candidati al parlamento otto erano donne e nessuna fu eletta. Il nostro parlamento attualmente è composto esclusivamente da uomini. Tuttavia ormai quasi la metà dell’elettorato è composto da donne. E questo è quello che conta per i partiti politici, che ora competono per manipolare e guadagnare i voti delle donne. In queste settimane di campagna elettorale le donne marocchine hanno la sensazione di vivere in un altro pianeta, nel quale i politici, solitamente indifferenti alle necessità delle donne, cercano di trovare un linguaggio che esse comprendano e si rivolgono perfino direttamente a loro. È chiaro che per trovare un linguaggio adeguato dovrebbero fare miracoli, perchè dovrebbero rinunciare ai loro pregiudizi ancestrali. Dovrebbero superare le loro idee stereotipate di femminile-passivo e aprire gli occhi sulla realtà delle donne marocchine, le cui preoccupazioni principali- per quanto gli resti difficile crederlo- non sono i cosmetici, il velo o la danza del ventre, ma le pari opportunità nell’istruzione, nel lavoro, nella promozione dei loro interessi,ecc.

Per tutto questo, il fatto che alcune femministe occidentali vedano le donne arabe come schiave servili e obbedienti, incapaci di prendere coscienza o di sviluppare proprie idee rivoluzionarie, che non seguano il dettato delle donne del mondo più liberate (di New York, Parigi, Londra), a prima vista sembra più difficile da capire che un atteggiamento simile da parte dei patriarchi arabi. Ma se ci si domanda molto seriamente (come io ho fatto molte volte) perchè una femminista americana o francese crede che io non sia preparata come lei nel riconoscere gli schemi di degrado patriarcale, si scopre che questo la colloca in una posizione di potere: lei è la leader e io la seguace. Lei, che vuole cambiare il sistema in modo che la situazione delle donne sia più egualitaria, nonostante questo (nel più profondo del suo retaggio ideologico sublimale) mantiene l’istinto deformante, razzista e imperialista degli uomini occidentali. Perfino davanti a una donna araba con qualifiche, conoscenze ed esperienze simili alle sue, riproduce inconsciamente gli schemi coloniali di supremazia.

Quando incontro una femminista occidentale che crede che io debba esserle grata per la mia evoluzione nel femminismo, non mi preoccupa tanto il futuro della solidarietà internazionale delle donne, quanto la capacità del femminismo occidentale di creare movimenti sociali popolari che ottengano un cambiamento strutturale nelle capitali mondiali dei propri imperi industriali. Una donna che si considera femminista, invece di vantarsi della sua superiorità rispetto alle donne di altre culture e di aver preso coscienza della propria situazione, dovrebbe chiedersi se è capace di condividere questo con le donne delle altre classi sociali della sua cultura. La solidarietà delle donne sarà globale quando saranno eliminate le barriere tra classi e culture.

Olympe de Gouges

Olympe de Gouges, il cui vero  nome era Marie Gouze, nasce il 7 maggio del 1748.

Si sposa a soli sedici anni per evadere dall’angusto ambito familiare ed ha un figlio. A 17 anni resta vedova e conosce  Jacques Biétrix, un ingegnere dei trasporti militari. Con lui si reca a Parigi, dove frequenta i salotti  più famosi, conosce i più importanti scrittori e filosofi e comincia a scrivere saggi, opere teatrali, manifesti, proclami,tra le altre cose un dramma in cui si pronuncia contro la schiavitù.

Ben presto Olympe si rivolge alla politica; dapprima rivoluzionaria, poi realista, infine repubblicana, convinta che  La donna nasce libera ed ha gli stessi diritti dell’uomo, nel 1791 fonda il “Cercle social”, un’associazione che si prefiggeva la parità dei diritti delle donne, e pubblica la “Dichiarazione dei Diritti della Donna e della Cittadina” in cui auspica una società senza patriarcato.

Ben presto, però, si rende conto che le conquiste della rivoluzione non avvantaggiano affatto le donne e che la libertà viene nuovamente calpestata, attacca il regime di Robespierre, il quale non esita a condannarla a morte.

Olympe de Gouges viene ghigliottinata il 3 novembre del 1793 per aver dimenticato le virtù che convengono al suo sesso ed essersi immischiata nelle cose della Repubblica.

DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELLA DONNA E DELLA CITTADINA

Uomo, sei capace d’essere giusto ? E’ una donna che ti pone la domanda ; tu non la priverai almeno di questo diritto. Dimmi? Chi ti ha concesso la suprema autorità di opprimere il mio sesso? La tua forza? Il tuo ingegno? Osserva il creatore nella sua saggezza ; scorri la natura in tutta la sua grandezza, di cui tu sembri volerti raffrontare, e dammi, se hai il coraggio, l’esempio di questo tirannico potere. Risali agli animali, consulta gli elementi, studia i vegetali, getta infine uno sguardo su tutte le modificazioni della materia organizzata; e rendi a te l’evidenza quando te ne offro i mezzi; cerca, indaga e distingui, se puoi, i sessi nell’amministrazione della natura. Dappertutto tu li troverai confusi, dappertutto essi cooperano in un insieme armonioso a questo capolavoro immortale.

Solo l’uomo s’è affastellato un principio di questa eccezione. Bizzarro, cieco, gonfio di scienza e degenerato, in questo secolo illuminato e di sagacità, nell’ignoranza più stupida, vuole comandare da despota su un sesso che ha ricevuto tutte le facoltà intellettuali; pretende di godere della rivoluzione, e reclama i suoi diritti all’uguaglianza, per non dire niente di più.

Preambolo

Le madri, le figlie, le sorelle, rappresentanti della nazione, chiedono di potersi costituire in Assemblea nazionale. Considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti della donna sono le cause delle disgrazie pubbliche e della corruzione dei governi, hanno deciso di esporre, in una Dichiarazione solenne, i diritti naturali, inalienabili e sacri della donna, affinché questa dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, ricordi loro senza sosta i loro diritti e i loro doveri, affinché gli atti del potere delle donne e quelli del potere degli uomini, potendo essere paragonati ad ogni istante con gli scopi di ogni istituzione politica, siano più rispettati, affinché le proteste dei cittadini, fondate ormai su principi semplici e incontestabili, si rivolgano sempre al mantenimento della Costituzione, dei buoni costumi, e alla felicità di tutti. In conseguenza, il sesso superiore sia in bellezza che in coraggio, nelle sofferenze della maternità, riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’essere supremo, i seguenti Diritti della Donna e della Cittadina.

Articolo I

La Donna nasce libera ed ha gli stessi diritti dell’uomo. Le distinzioni sociali possono essere fondate solo sull’utilità comune.

Articolo II

Lo scopo di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili della Donna e dell’Uomo: questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e soprattutto la resistenza all’oppressione.

Articolo III

Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella nazione, che è la riunione della donna e dell’uomo: nessun corpo, nessun individuo può esercitarne l’autorità che non ne sia espressamente derivata.

Articolo IV

La libertà e la giustizia consistono nel restituire tutto quello che appartiene agli altri; così l’esercizio dei diritti naturali della donna ha come limiti solo la tirannia perpetua che l’uomo le oppone; questi limiti devono essere riformati dalle leggi della natura e della ragione.

Articolo V

Le leggi della natura e della ragione impediscono ogni azione nociva alla società: tutto ciò che non è proibito da queste leggi, sagge e divine, non può essere impedito, e nessuno può essere obbligato a fare quello che esse non ordinano di fare.

Articolo VI

La legge deve essere l’espressione della volontà generale; tutte le Cittadine e i Cittadini devono concorrere personalmente, o attraverso i loro rappresentanti, alla sua formazione; esse deve essere la stessa per tutti: Tutte le cittadine e tutti i cittadini, essendo uguali ai suoi occhi, devono essere ugualmente ammissibili ad ogni dignità, posto e impiego pubblici secondo le loro capacità, e senza altre distinzioni che quelle delle loro virtù e dei loro talenti.

Articolo VII

Nessuna donna è esclusa; essa è accusata, arrestata e detenuta nei casi determinati dalla Legge. Le donne obbediscono come gli uomini a questa legge rigorosa.

Articolo VIII

La Legge non deve stabilire che pene restrittive ed evidentemente necessarie, e nessuno può essere punito se non grazie a una legge stabilita e promulgata anteriormente al delitto e legalmente applicata alle donne.

Articolo IX

Tutto il rigore è esercitato dalla legge per ogni donna dichiarata colpevole.

Articolo X

Nessuno deve essere perseguitato per le sue opinioni, anche fondamentali; la donna ha il diritto di salire sul patibolo, deve avere ugualmente il diritto di salire sulla Tribuna; a condizione che le sue manifestazioni non turbino l’ordine pubblico stabilito dalla legge.

Articolo XI

La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi della donna, poiché questa libertà assicura la legittimità dei padri verso i figli. Ogni Cittadina può dunque dire liberamente, io sono la madre di un figlio che vi appartiene, senza che un pregiudizio barbaro la obblighi a dissimulare la verità; salvo rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla Legge.

Articolo XII

La garanzia dei diritti della donna e della cittadina ha bisogno di un particolare sostegno; questa garanzia deve essere istituita a vantaggio di tutti, e non per l’utilità particolare di quelle alle quali è affidata.

Articolo XIII

Per il mantenimento della forza pubblica, e per le spese dell’amministrazione, i contributi della donna e dell’uomo sono uguali; essa partecipa a tutte le incombenze, a tutti i lavori faticosi; deve dunque avere la sua parte nella distribuzione dei posti, degli impieghi, delle cariche delle dignità e dell’industria.

Articolo XIV

Le Cittadine e i Cittadini hanno il diritto di costatare personalmente, o attraverso i loro rappresentanti, la necessità dell’imposta pubblica. Le Cittadine non possono aderirvi che a condizione di essere ammesse ad un’uguale divisione, non solo dei beni di fortuna, ma anche nell’amministrazione pubblica, e di determinare la quota, la base imponibile, la riscossione e la durata dell’imposta.

Articolo XV

La massa delle donne, coalizzata nel pagamento delle imposte con quella degli uomini, ha il diritto di chiedere conto, ad ogni pubblico ufficiale, della sua amministrazione.

Articolo XVI

Ogni società nella quale la garanzia dei diritti non sia assicurata, né la separazione dei poteri sia determinata, non ha alcuna costituzione; la costituzione è nulla, se la maggioranza degli individui che compongono la Nazione, non ha cooperato alla sua redazione.

Articolo XVII

Le proprietà appartengono ai due sessi riuniti o separati; esse sono per ciascuno un diritto inviolabile e sacro; nessuno ne può essere privato come vero patrimonio della natura, se non quando la necessità pubblica, legalmente constatata, l’esiga in modo evidente, a condizione di una giusta e preliminare indennità

dalla torre di via imbonati

Ora siamo stanchi: permesso di soggiorno subito!

Appello alla mobilitazione e convocazione di un’assemblea nazionale.

Milano, 7 novembre 2010. Dal 5 novembre un gruppo di immigrati è salito in cima alla torre ex Carlo Erba in Via Imbonati

a Milano. Non scenderanno fino a che non verrà data risposta alla richiesta di veder riconosciuto il diritto a una vita dignitosa, che passa innanzitutto per l’ottenimento del permesso di soggiorno.

In prosecuzione delle mobilitazioni degli ultimi mesi e come gli immigrati di Brescia, che alla fine di ottobre sono saliti su una gru della metropolitana, anche gli immigrati milanesi denunciano una situazione che coinvolge almeno 50mila persone, tutte truffate da una sanatoria farsa per la quale hanno sborsato migliaia di euro e da cui la maggioranza è rimasta esclusa per motivi pretestuosi.

La sanatoria del 2009 – ovverossia l’unico mezzo possibile in Italia per emergere dal lavoro nero e dalla clandestinità – si rivolgeva, infatti, solo a due categorie di lavoratori (colf e badanti), escludendone così la stragrande parte.

Il pagamento di una tassa di € 500, la dubbia esclusione di chi ha precedenti espulsioni e l’attivazione di reti criminali diffuse per lo sfruttamento e l’estorsione dei cittadini stranieri (disposti a sborsare ingenti somme di denaro per regolarizzarsi), hanno generato un mostro sociale, culturale e giuridico.

“Dalla torre di Via Imbonati si lancia, dunque, un appello a tutti i cittadini, immigrati e italiani, perché vengano a sostenere e a partecipare alla protesta, che è di tutti!” dichiarano i cittadini stranieri e le organizzazioni che sostengono la mobilitazione.

“Si fa appello ai cittadini e ai lavoratori, stranieri e italiani, alle associazioni, alle comunità, alle organizzazioni, ai sindacati e a tutti i soggetti interessati perché appoggino la mobilitazione e sostengano il presidio permanente di Via Imbonati.

Se, infatti, i lavoratori immigrati, ottenendo il riconoscimento di un diritto fondamentale, emergono dal lavoro nero e dalla clandestinità, divengono meno ricattabili e ciò si traduce in un beneficio per tutti, lavoratori e cittadini, stranieri e italiani.” concludono i partecipanti e i sostenitori del presidio permanente.

Inoltre, dalla Torre si ribadiscono i punti della mobilitazione:

1) rilascio del permesso di soggiorno per chi ha partecipato alla “sanatoria truffa”;

2) prolungamento del permesso di soggiorno per chi ha perso il lavoro;

3) rilascio del permesso di soggiorno per chi denuncia il datore di lavoro in nero o lo sfruttamento sul lavoro;

4) emanazione di una legge che garantisca il diritto di asilo;

5) riconoscimento del diritto di voto per chi vive in Italia da almeno 5 anni;

6) riconoscimento della cittadinanza per chi nasce o cresce in Italia.

Comitato Immigrati Milano

DOMENICA 14 NOVEMBRE

Ore 11-16 Assemblea Nazionale Antirazzista

Ore 13 Pranzo multietnico organizzato dall’Ass. “Convergenza delle culture”

Ore 16 Partita di Calcio organizzata dall’Ass. Nuova Multietnica. La Nuova Multietnica sfida gli immigrati del presidio di via imbonati

Ore 18 Musica Latinoamericana con il gruppo Nazca

vai a piedi nudi: boicotta ‘golden lady omsa’

Si è già parlato in questo blog delle lavoratrici della Omsa di Faenza e della decisone dell’azienda di chiudere lo stabilimento per trasferirlo in Serbia. Tutto questo con la scusa della crisi, mentre i profitti del signor padrone continuano ad essere alti.  GOLDEN LADY, colosso italiano del settore calzetteria,“è leader indiscusso in Italia”. In totale conta 15 stabilimenti produttivi in Europa e 4 negli USA, 7000 dipendenti, 300 milioni di paia di calze prodotte all’anno e una quota totale del mercato nazionale superiore al 50% e altre significative in Russia e in tutti i principali mercati europei, con filiali estere in Germania, Spagna, Francia e Regno Unito. Nonostante questo le 350 operaie dello stabilimento di faenza resteranno senza lavoro.  Le operaie, dopo mesi di lotta, saranno tutte licenziate e ci chiedono di boiocottare i prodotti dell’azienda.

VAI A PIEDI NUDI, BOICOTTA:

Philippe Matignon — Sisi — Omsa — Golden Lady — Hue Donna — Hue Uomo — Saltal­le­gro — Saltal­le­gro Bebè — Serenella.

Ma, ogni tanto mi domando, non sarebbe l’ora di prendere esempio dalle operaie tessili della Bruckman di Buenos Aires  e dalle tante fabbriche autogestite argentine, che dei padroni ne hanno fatto a meno? E magari lavorare in un altro modo?  E magari produrre cose diverse e fare meno monnezza?  Non sarebbe l’ora di smettere di elemosinare lavoro (di merda) e iniziare a prendercelo e a trasformare il modo di produrre? O son troppo fantasiosa? Non mi pare, dato che ad ottobre del 2010in Argentina ci sono 205 imprese recuperate che danno lavoro a circa 10.000 lavoratori. E che intorno alle fabbriche “senza padrone” nasce  un’economia solidale che crea altri posti di lavoro e coinvolge tutto il territorio. Ne potete leggere più approfonditamente qui e qui.

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=uFetQqeYKXU[/youtube]

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=nR5fLDAYYE8[/youtube]

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=KvFbqAIKzNo[/youtube]

Torino. mostra di Martha Rosler

Una mostra che vale la pena andare a vedere (dal 24 ottobre al 30 gennaio) a Torino

La GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino presenta all’interno del GAM Underground Project la prima mostra di un museo italiano dedicata al lavoro di Martha Rosler. AS IF (come se) è la formula che Martha Rosler ha sempre usato per descrivere il suo metodo di lavoro che è quello tipico dello schizzo, dello studio, senza nessuna pretesa di “professionismo dell’arte” e di compiutezza delle opere. Procedere “come se” significa usare tutti i media possibili, anche quelli in cui l’artista non può raggiungere alcuna perfezione formale perché semplicemente strumentali alla presentazione dalla ricerca condotta. C’è anche dell’ironia in questa espressione che a lungo è stata usata in America come sostitutivo di un altro comune modo di dire: You wish! (Ti piacerebbe!) Al pubblico dell’arte che spesso di fronte alle opere contemporanee dice: questo potrei farlo anch’io! Martha Rosler ha sempre risposto: Please do it! (per favore fallo!) perché è al pubblico che spetta la responsabilità di prendere coscienza e fare proprie le tematiche che il lavoro dell’artista fa emergere.

L’esposizione raccoglierà le più importanti opere dell’artista dal 1965 ad oggi, dagli storici collage delle serie Body Beautiful e Bringing the War Home, alle più recenti opere installative, offrendo inoltre un’ampia panoramica delle serie fotografiche dedicate agli aeroporti, alle strade cittadine e alle metropolitane.

Opere molto note che hanno fatto la storia dell’arte internazionale degli ultimi quaranta anni saranno presentate accanto a video, testi, e ricerche meno conosciuti, nel tentativo di restituire la complessità e la profondità di un pensiero critico esercitato nell’arco di un ormai lungo impegno artistico. L’intero percorso della mostra abbraccia l’installazione di un nuovo progetto pensato dall’artista in relazione con la città di Torino, frutto di un’approfondita ricerca su alcuni aspetti della tratta di persone dall’Africa al nostro paese.

La mostra non intende essere un esercizio celebrativo di storicizzazione ma nasce dalla constatazione della flagrante attualità di tutti i temi affrontati dall’artista e dell’inesausta capacità dei suoi lavori di provocarci e interrogarci anche a distanza di decenni su problematiche fondamentali della nostra cultura sociale, quali lo sfruttamento del corpo femminile, il consumismo, la guerra, le classi e i conflitti sociali e più ancora l’interconnessione che tutti questi aspetti rivelano all’interno di un sistema capitalistico giunto alla propria parabola discendente.