artemisia gentileschi

titolo originale immagine: Artemisia Gentileschi 1615 Self-portrait as a Female Martyr

Artemisia è una delle prime donne a battersi e ad affermarsi nel mondo della pittura. Prima pittrice a guadagnarsi da vivere con i suoi quadri, prima donna ad essere ammessa all’Accademia del Disegno di Firenze.
Iniziò fin da piccola a frequentare la bottega del padre, il pittore Orazio Gentileschi, imparando da lui il mestiere e dimostrando doti eccezionali.
A diciotto anni fu violentata da Agostino Tassi, suo maestro di prospettiva (ed amico di bevute del padre),  un personaggio equivoco, già coinvolto in atti di libidine e processi per stupro, che subì otto mesi di carcere prima di essere prosciolto dall’accusa.
Artemisia si trovò coinvolta in spietate malignità, delle quali non si liberò per tutta la vita, continuando ad essere considerata una donna licenziosa,  e durante il processo, per accertare più rapidamente la verità,  fu anche sottoposta alla tortura dei cosiddetti “sibilli”, piccole corde che serravano le dita.
Terminato il processo,  fu costretta ad  abbandonare Roma, ad accettare il matrimonio riparatore con  un certo Stiattesi, un uomo più anziano di lei,  e a trasferirsi a Firenze, dove fu introdotta alla corte di Cosimo II e dove inizio subito a lavorare.
Separatasi poi dal marito, affrontò da sola il resto della vita. Cominciò a viaggiare; fu a Genova, a Roma, a Napoli, a Londra e poi nuovamente a Napoli, guadagnando bene, tanto da poter offrire una consistente dote alle sue figlie.
Grande interprete  del caravaggismo napoletano, Artemisia contribuì a diffondere la tecnica del chiaroscuro e del realismo, prediligendo il tema biblico di Giuditta e Oloferne, che rappresentò con cruda intensità in una serie di quadri.
Le sue figure femminili sono sempre donne forti,  potenti ed orgogliose,  ed è probabile che rappresentare il tema di Giuditta fosse per lei un modo simbolico  per vendicarsi della violenza maschile subita.

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Anna Arendt

titolo originale immagine: Rue Meurt dArt – Anna Arendt

Nasce ad Hannover nel 1906 da una famiglia di borghesia ebraica. I genitori, simpatizzanti per la socialdemocrazia, hanno idee profondamente laiche, indifferenti alla religione. Anna avrebbe scoperto la propria ebraicità soltanto al momento dell’ingresso a scuola. E soltanto negli anni dell’ascesa del nazismo avrebbe cominciato a frequentare, pur senza aderirvi, i gruppi sionisti, e a interrogarsi sulle origini dell’antisemitismo. A Parigi, dove si era trasferita ventisettenne per sfuggire alle persecuzioni naziste, lavorò per diversi anni in una organizzazione ebraica che provvedeva all’invio in Palestina dei bambini ebrei delle famiglie in fuga dalla Germania.
La tragedia tedesca avrebbe deciso anche della sua carriera intellettuale. Innamoratasi degli studi filosofici dopo aver letto la Critica della ragion pura di Kant, allieva prediletta di Heidegger – con il quale avrà una storia di amore- e di Jaspers, deciderà agli inizi degli anni trenta di abbandonare – se così si può dire – la professione filosofica per dedicarsi alla riflessione politica: erano i fatti drammatici dell’epoca che glielo imponevano. Doveva pur cercare di rispondere alla domanda: “perché il nazismo?”, e più tardi: “perché i regimi totalitari del secolo, nazismo e stalinismo?”
Lasciata la Francia occupata dai tedeschi, si trasferisce nel 1940 negli Stati Uniti, dove avrebbe vissuto fino alla morte nel 1975.
Nel 1943 le prime notizie su Auschwitz: “fu come se si aprisse una voragine ….. Laggiù è accaduto qualcosa che noi non riuscivamo a padroneggiare”.
Questo non avrebbe impedito ad Anna, quasi sola, di essere contraria alla nascita dello Stato di Israele, in cui vide il rischio, alimentato dalla non distinzione di religione e stato, che gli ebrei potessero a loro volta diventare oppressori, creando altre vittime.
Nel 1961 assiste al processo Eichmann (SS organizzatore dello sterminio degli ebrei) come inviata di un settimanale americano. Fa scandalo negli ambienti ebraici israeliani il suo dissenso dal modo di rappresentare l’imputato adottato dal pubblico accusatore, come fosse una belva umana, un mostro. No, Eichmann è stato un “impiegato” scrupoloso, perfino meticoloso nel condurre il proprio “lavoro”, individuo normale che personalmente non avrebbe mai ucciso nessuno, nemmeno capace di odiare gli ebrei. L’enormità della sua colpa stava nella ottusità che gli impediva di rendersi conto della mostruosità del proprio operato. Di qui il titolo che Anna avrebbe dato al libro che raccoglie gli articoli inviati al “New Yorker: “La banalità del male”.
Gli altri scritti arendtiani, Le origini del totalitarismo, 1951; Vita Activa, 1958; Sulla rivoluzione 1963, tutti dedicati a una teoria politica mai scissa dal vissuto di un secolo tremendo, si interrogano sulla guerra, sul razzismo, sui totalitarismi, sul feticismo della violenza, sulle illusorie scorciatoie rivoluzionarie, sulla confusione tra forza e potere, sulla massificazione che rende impossibile l’agire politico.
Infatti, l’agire politico presuppone per lei la libertà degli individui e ha il suo scopo nel produrre libertà, spazi sempre più ampi di libertà. Al contrario, la storia della modernità è pervenuta oggi -, nell’età del primato dell’uomo tecnologico mentre l’umanità è ridotta a dover darsi da fare per assicurarsi la nuda sopravvivenza -, a rendere impossibile la libertà, spossessando gli individui della politica, affidata alle burocrazie dei ceti politici.

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ipazia

titolo originale immagine: Roma – Musei Capitolini – Ipazia

Ipazia nasce ad Alessandria d’Egitto intorno al 370 d.C. Figlia del matematico Teone, fu sua allieva e collaboratrice, ma ben presto lo superò e divenne ella stessa maestra di molti nelle scienze matematiche.
Filosofa neoplatonica, musicologa, medico, scienziata, matematica, astronoma, madre della scienza sperimentale (studiò e realizzò l’astrolabio, l’idroscopio e l’aerometro), giunse “a tanta cultura da superare di molto tutti i filosofi del suo tempo”
“Ipazia insegnava ad entrare dentro di sé (l’intelletto) guardando fuori (la volta stellata) e mostrava come procedere in questo cammino con il rigore proprio della geometria e dell’aritmetica che, tenute l’una insieme all’altra, costituivano l’inflessibile canone di verità”.
Insegnava come Socrate per le strade e si dice che il prefetto romano Oreste cercasse il suo consiglio nelle questioni di carattere pubblico e che addirittura fosse suo discepolo. Ipazia non teneva il suo sapere per sé, né lo condivideva soltanto con i suoi allievi. Al contrario, lo dispensava con grande liberalità a chiunque e per questo si conquistò grande considerazione fra i suoi concittadini. Insegnò ininterrottamente ad Alessandria per più di vent’anni a chiunque volesse ascoltarla.
Seguace di un sistema eclettico di filosofia, Ipazia può essere considerata come una gnostica che cercò di difendere la rinascita del platonismo contro il cristianesimo.
L’ascesa al potere del cristianesimo e il suo patto con l’impero romano agonizzante portò alla cancellazione delle biblioteche, della scienza, all’annullamento del libero pensiero. A una donna poi doveva essere impedito l’accesso alla religione, alla scuola, all’arte, alla scienza.
Ipazia vedeva nel cristianesimo soprattutto il fanatismo e la violenza, e l’immagine di lei che insegna nelle strade sembra sottolineare un comportamento di sfida e di indipendenza.

Per ordine di Cirillo, vescovo di Alessandria fu barbaramente assassinata nel marzo del 415 da una turba di monaci-assassini: le vennero cavati gli occhi quand’era ancora viva, il suo corpo venne scarnificato, fatto a pezzi e poi gettato a bruciare in un inceneritore per la spazzatura. Le sue opere filosofiche e scientifiche vennero distrutte.
Dopo la sua morte molti dei suoi studenti lasciarono Alessandria e cominciò il declino di quella città divenuta un famoso centro della cultura antica, di cui era simbolo la grandiosa biblioteca. Il ritratto che ci è stato tramandato è di persona di rara modestia e bellezza, grande eloquenza, capo riconosciuto della scuola neoplatonica alessandrina.

«Qualunque religione, qualunque dogma, è un freno alla libera ricerca, e può rappresentare una gabbia che non permette d’indagare liberamente sulle origini della vita e sul destino dell’uomo».

«Se mi faccio comprare, non sono più libera. E non potrò più studiare. È così che funziona una mente libera: anch’essa ha le sue regole».

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Flora Tristan y Moscoso

titolo originale immagine: Flora Tristan -Peregrinaciones de una paria-Afiche
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(Parigi, 7 aprile 1803 – Bordeaux, 14 novembre 1844)
Figlia (illeggitima) di un nobile peruviano e di una piccola borghese parigina, quando ha 4 anni le muore il padre e lo stato francese, in piena rivoluzione, non concede alcun aiuto alla famiglia poiché i genitori non avevano regolarizzato il loro rapporto di coppia. Ridotta così la famiglia in povertà, Flora è ben presto costretta a lavorare come litografa presso il laboratorio di André Chazal, col quale poi si sposerà ed avrà due figlie. Ma il marito è violento e Flora, umiliata decide di fuggire , nonostante sia incinta del terzo figlio, recandosi in Perù alla ricerca di uno zio.
Si ferma nel paese sudamericano dal 1832 al 1834, vivendo in prima persona le discriminazioni di classe e di genere e le rivolte sociali di quel paese.
E’ proprio questa esperienza che sarà decisiva per lo sviluppo delle sue lotte egualitarie e antisessiste: nel 1836 riesce ad introdursi alla Camera delle Lords inglesi, travestita da uomo, chiedendo l’approvazione del divorzio e l’abolizione della pena di morte ]; nel 1838, il marito, che non accettava l’idea di essere stato abbandonato, le tende un agguato sparandole un colpo di pistola al polmone sinistro. Flora, ferita, si riprenderà abbastanza rapidamente e riuscirà ad ottenere una specie di separazione.
Nel 1839 si reca in Inghilterra e vede da vicino come il processo di industrializzazione provochi l’emarginazione sociale di migliaia e migliaia di esseri umani. Da questa esperienza nascerà “Promenades dans Londres” (1840), in cui Flora definisce “l’ Inghilterra come il laboratorio della civiltà che non tarderà a conquistare l’ Europa” ; un modello di sviluppo dove l’ uomo è sacrificato alla tirannia del profitto. In questo stesso saggio, Flora esalta l’azione della femminista Mary Wollstonecraft, denuncia il traffico dei bambini, la miseria generale e lo sfruttamento della prostituzione a cui sono costrette molte donne: “Rivendico i diritti delle donne, perché sono convinta che tutte le sofferenze del mondo derivino dalla mancanza del rispetto e dal disprezzo dei diritti naturali e imprescindibili dell’essere femminile”.
Nel 1843 pubblica l’Unione operaia. L’anno seguente inizia un “tour de France” per promuovere la sua opera più importante e per diffondere l’idea delle associazioni operaie: frequenta le taverne, entra in contatto con gli operai e prova a convincerli ad unirsi nelle Unioni Operaie, che secondo Flora avrebbero permesso loro di sfuggire allo sfruttamento e alla sottomissione. Flora si impegna allo strenuo, fino a quando, colpita da tifo, muore a Bordeaux il 14 novembre del 1844.

“L’affrancamento dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi. L’uomo più oppresso può opprimere un altro essere, che è sua moglie. È la proletaria del proletario stesso”.

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comandanta ramona

titolo originale immagine: Comandanta Ramona
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La comandanta Ramona era una donna indigena tzotzil e comandante dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale del Chiapas, Mexico.

È stata una delle più attive rappresentanti del EZLN durante i primi anni di vita pubblica del movimento.
Nel 1993, la comandanta Ramona e la maggiore Ana Marìa consultarono ampliamente le comunità indigene zapatiste (allora clandestine) riguardo allo sfruttamento delle donne, e in seguito redassero la Legge Rivoluzionaria delle Donne, che fu approvata l’8 marzo dello stesso anno.

Durante il sollevamento zapatista fu incaricata di dirigere dal punto di vista strategico la presa di San Cristòbal de las Casas il 1 gennaio del 1994. Partecipò agli Accordi di San Andrès e fu la prima portavoce zapatista ad arrivare a Città del Messico nel 1996.

LEGGE RIVOLUZIONARIA DELLE DONNE:
Primo – Le donne, senza che importino razza, credo o filiazione politica, hanno diritto a partecipare nella lotta rivoluzionaria col posto ed il grado che la loro volontà e capacità determinino.
Secondo – Le donne hanno diritto a lavorare ed a percepire un salario giusto.
Terzo – Le donne hanno diritto a decidere il numero dei figli che possono avere e curare.
Quarto – Le donne hanno diritto a partecipare nelle questioni della comunità e di occupare degli incarichi se sono elette liberamente ed democráticamente.
Quinto – Le donne ed i loro figli hanno diritto ad una attenzione speciale per quanto riguarda la loro salute e l’alimentazione.
Sesto – Le donne hanno diritto all’educazione.
Settimo – Le donne hanno diritto a scegliere la propria coppia ed a non essere obbligate con la forza a contrarre matrimonio.
Ottavo – Nessuna donna potrà essere picchiata o maltrattata fisicamente né dai familiari né da estranei. I reati di tentata violenza saranno puniti severamente.
Nono – Le donne potranno occupare posti direttivi nell’organizzazione ed avere gradi militari nelle forze armate rivoluzionarie.
Decimo – Le donne godranno di tutti i diritti e i doveri che sono scritti nelle leggi e nei regolamenti rivoluzionari.

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