Anna Arendt

titolo originale immagine: Rue Meurt dArt – Anna Arendt

Nasce ad Hannover nel 1906 da una famiglia di borghesia ebraica. I genitori, simpatizzanti per la socialdemocrazia, hanno idee profondamente laiche, indifferenti alla religione. Anna avrebbe scoperto la propria ebraicità soltanto al momento dell’ingresso a scuola. E soltanto negli anni dell’ascesa del nazismo avrebbe cominciato a frequentare, pur senza aderirvi, i gruppi sionisti, e a interrogarsi sulle origini dell’antisemitismo. A Parigi, dove si era trasferita ventisettenne per sfuggire alle persecuzioni naziste, lavorò per diversi anni in una organizzazione ebraica che provvedeva all’invio in Palestina dei bambini ebrei delle famiglie in fuga dalla Germania.
La tragedia tedesca avrebbe deciso anche della sua carriera intellettuale. Innamoratasi degli studi filosofici dopo aver letto la Critica della ragion pura di Kant, allieva prediletta di Heidegger – con il quale avrà una storia di amore- e di Jaspers, deciderà agli inizi degli anni trenta di abbandonare – se così si può dire – la professione filosofica per dedicarsi alla riflessione politica: erano i fatti drammatici dell’epoca che glielo imponevano. Doveva pur cercare di rispondere alla domanda: “perché il nazismo?”, e più tardi: “perché i regimi totalitari del secolo, nazismo e stalinismo?”
Lasciata la Francia occupata dai tedeschi, si trasferisce nel 1940 negli Stati Uniti, dove avrebbe vissuto fino alla morte nel 1975.
Nel 1943 le prime notizie su Auschwitz: “fu come se si aprisse una voragine ….. Laggiù è accaduto qualcosa che noi non riuscivamo a padroneggiare”.
Questo non avrebbe impedito ad Anna, quasi sola, di essere contraria alla nascita dello Stato di Israele, in cui vide il rischio, alimentato dalla non distinzione di religione e stato, che gli ebrei potessero a loro volta diventare oppressori, creando altre vittime.
Nel 1961 assiste al processo Eichmann (SS organizzatore dello sterminio degli ebrei) come inviata di un settimanale americano. Fa scandalo negli ambienti ebraici israeliani il suo dissenso dal modo di rappresentare l’imputato adottato dal pubblico accusatore, come fosse una belva umana, un mostro. No, Eichmann è stato un “impiegato” scrupoloso, perfino meticoloso nel condurre il proprio “lavoro”, individuo normale che personalmente non avrebbe mai ucciso nessuno, nemmeno capace di odiare gli ebrei. L’enormità della sua colpa stava nella ottusità che gli impediva di rendersi conto della mostruosità del proprio operato. Di qui il titolo che Anna avrebbe dato al libro che raccoglie gli articoli inviati al “New Yorker: “La banalità del male”.
Gli altri scritti arendtiani, Le origini del totalitarismo, 1951; Vita Activa, 1958; Sulla rivoluzione 1963, tutti dedicati a una teoria politica mai scissa dal vissuto di un secolo tremendo, si interrogano sulla guerra, sul razzismo, sui totalitarismi, sul feticismo della violenza, sulle illusorie scorciatoie rivoluzionarie, sulla confusione tra forza e potere, sulla massificazione che rende impossibile l’agire politico.
Infatti, l’agire politico presuppone per lei la libertà degli individui e ha il suo scopo nel produrre libertà, spazi sempre più ampi di libertà. Al contrario, la storia della modernità è pervenuta oggi -, nell’età del primato dell’uomo tecnologico mentre l’umanità è ridotta a dover darsi da fare per assicurarsi la nuda sopravvivenza -, a rendere impossibile la libertà, spossessando gli individui della politica, affidata alle burocrazie dei ceti politici.

Immagine aspirata a Flickr con Dnnl AspiraMedia
le immagini sono proprieta’ dei relativi autori.