qualche buona notizia

da noinonsiamocomplici notizie su come proseguono gli avvenimenti legati a Joy, la ragazza nigeriana che ha avuto il coraggio di denunciare l’ispettore del Cie in cui era rinchiusa, accusandolo di violenza sessuale. Il PM di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio dell’ispettore di polizia Vittorio Adesso.

Riportiamo, così com’è, il lancio di agenzia sul rinvio a giudizio di Vittorio Addesso:

Milano, 28 set. (Adnkronos) – Il pm di Milano, Marco Ghezzi, ha chiesto il rinvio a giudizio dell’ispettore di polizia Vittorio Addesso, responsabile della sicurezza nel centro di identificazione ed espulsione di via Corelli, accusato di violenza sessuale ai danni di un’immigrata ‘ospite’ dello stesso centro nell’agosto 2009. L’episodio era stato denunciato in aula dalla stessa vittima durante il processo in cui era tra gli imputati della rivolta avvenuta nell’estate scorsa. Successivamente la donna era stata sentita con la formula dell’incidente probatorio, al fine di cristallizzare la prova. La richiesta di rinvio a giudizio sara’ valutata dal gup Simone Luerti, al momento non e’ stata ancora fissata la data dell’udienza preliminare. 28/09/2010 | ore 13.30

Good news anche per quel “famoso” affittacamere dell’ispettore Mauro, di cui avevamo già parlato nei mesi scorsi:

(dal Corriere online) … Il pm milanese ha chiesto il rinvio a giudizio con rito immediato anche dell’ispettore di polizia M. T., che a sua volta avrebbe violentato una trans brasiliana nel centro di detenzione ed espulsione di via Corelli. Per M. T., già arrestato lo scorso giugno, è stato chiesto il giudizio immediato sulla base dell’evidenza delle prove a suo carico. Dagli accertamenti è emerso non solo che avrebbe molestato altre trans all’interno del centro, ma che in società con una extracomunitaria affittava un appartamento in zona Cenisio utilizzato da transessuali, immigrate irregolarmente, per prostituirsi. La richiesta è stata formulata dal pubblico ministero Marco Ghezzi al gip Andrea Salemme, che già aveva posto in carcere l’ispettore e ai domiciliari la complice sudamericana proprietaria dell’appartamento con cui si divideva i proventi della prostituzione. Una volta aperta l’inchiesta, altre straniere hanno poi denunciato agli investigatori di aver subito approcci simili. In occasione dell’arresto, l’ispettore si era opposto barricandosi nella sua abitazione a Sondrio. (28 settembre)

non è un paese per donne

Domenica sera, terzo canale, guardo “Presa diretta” di Iacona: “Senza donne”

Non è che dica niente che non sappia già.

Donne costrette a smettere di lavorare perchè fanno figli. In questo paese familista: pochi nidi, niente part time, mobbing per costringere le donne a licenziarsi se solo si azzardano a partorire, orari impossibili.   Immaginarsi poi la possibilità che siano anche gli uomini ad occuparsi dei loro figli, che ci si possa dividere il lavoro domestico,  che anche i padri possano assentarsi dal lavoro con un permesso parentale, è una eventualità che qui in Italia sfiora pochi: questi son compiti da femmine. Il vento che tira è quello di ricacciarci tutte in casa.

In Norvegia ci sono le quote rosa per legge, a tutti i livelli lavorativi. Qui le prime ad essere licenziate sono le donne. Possono essere più brave, più preparate, lavorare di più, più ingegnose, più produttive, avere tre lauree,  sapere 4 lingue. Arrivano comunque seconde.

In Norvegia per i padri c’è un periodo di congedo parentale praticamente obbligatorio.  Si assentano dal lavoro, qualsiasi lavoro facciano, e stanno con i loro bambini, per qualche mese fanno le lavatrici, puliscono cacche e pavimenti, nello stesso modo in cui lo fanno le madri.E’ qui che deve iniziare il cambiamento, dalla distribuzione dei lavori di cura. Tra l’altro ne hanno parecchio da guadagnare entrambi i sessi.  In dieci anni lì è diventata una cosa normale. Ne usufruisce più del 90% dei padri. Anche qui c’è una legge, per cui i padri possono stare a casa, ma quanti maschi la utilizzano?  La legge, del 2000, non è neanche male. E’ una questione culturale? E poi non ho capito se vale anche per il lavoro precario, per i vari e le varie cococo e cocopro e che dir si voglia. Mi immagino di no. Per il lavoro nero no di sicuro!

Nella provincia di Como c’è un asilo nido pubblico ogni tre comuni. In Norvegia ce ne sono tre per ogni quartiere, nessun bambino ne resta fuori. In Norvegia si è alzato il tasso di natalità, noi abbiamo il più basso d’Europa.

Noi abbiamo una consigliera per le pari opportunità che quando si parla di carenza di asili nido, dice che la cosa si può risolvere appoggiandosi alla “rete parentale”. A parte il fatto che con questa famiglia che deve riparare a tutto c’avrebbero di già scassato,  è chiaro che in questo paese per rete parentale si intende dire  le sorelle maggiori, le  mamme, le zie, le nonne, le cognate, le nuore: le donne. Bella consigliera alle pari opportunità! Sentivamo la mancanza di un’altra stronza…

Qui non si mette neanche in discussione che la cura di bambini, malati, anziani sia una “cosa di donne”. Se i bambini son malati chi è che prende permesso al lavoro? Lei, quasi sempre lei. Per legge può anche lui, ma il suo lavoro  è importante, non può assentarsi; quello di lei non vale niente. C’è una mia collega che ha due 104 (la legge che permette permessi dal lavoro per assistere familiari disabili): una per la madre, una per la suocera. Al marito non è venuto neanche in mente di chiederla. Eppure la mamma è la sua, di lui. Un’altra ha il marito in pensione, con tutta la giornata libera, e lei ha la 104 per la suocera, perchè “quando non c’è la badante (un’altra donna, quasi schiava) come si fa? bisogna vada io…”. La mamma è sempre la sua, del marito. E loro non mettono in discussione, si prestano come fosse una cosa normale,  complici…

Che poi si vedono gli uomini che condividono con le compagne la cura dei figli e delle cose domestiche, non voglio dire di no. Ma sono pochi. E soprattutto i messaggi che vengono dalle istituzioni, dai mezzi di comunicazione, da tutto il contorno sono di segno contrario, di regressione, di ristabilimento di ruoli fissi.

La nostra stronza per le pari opportunità continua parlando dell’ex Alitalia, che non mi ricordo come si chiama ora, quella che, oltre a diminuire lo stipendio del 30%  a tutti e altre cosette del genere, ha costretto le lavoratrici a firmare un contratto in cui si dichiarano disponibili a lavorare di notte anche se hanno figli piccoli, cosa che va contro la legge. Dice la stronza che in fondo l’azienda sta facendo un buon lavoro: ha reintegrato quelle in cassa integrazione. E poi alla fine ha “concesso” di non fare le notti a chi ha figli sotto i tre anni (donne, non uomini: son le donne a dover stare con i figli, agli uomini  non è permesso). Hanno concesso un diritto sancito dalla legge, perchè sono dei padroni (ma ora usa chiamarli imprenditori) buoni, compassionevoli e cattolici..

In Spagna il Ministerio de la Igualdad ha istituito una commissione di controllo sulle pubblicità e le trasmissioni televisive che blocca quelle sessiste, portatrici di stereotipi di genere, che istigano alla violenza e allo stupro. Qui invece attaccate ai muri le peggio cose (tra l’altro sono state mostrate nella trasmissione tutte, ma proprio tutte, quelle via via apparse su femminismoasud). Qui donne mute, nude e pompate in televisione. La direttrice di un telegiornale di Oslo, alla domanda di Iacona che vuol sapere se esiste la possibilità che alla televisione norvegese appaiano donne che non parlano, che stanno solo lì, rimane sconcertata: “a far che?”

In Spagna una mia amica italiana si è sposata da poco con il suo ragazzo che non aveva il permesso di soggiorno. In Italia non si può più sposare un/una “clandestino/a”. Appena prima di lei si erano sposate due donne. In Italia non sono previste neanche le coppie di fatto etero, figuriamoci quelle gay e lesbiche e come ci pare. Sempre con la benedizione della consigliera per le pari opportunità.

Una professoressa dell’università di Bologna racconta di una publicità di una marca di yogurt che in tutta Europa mostra persone di tutti i tipi, in diverse situazioni, che si mangiano contenti il loro yogurt. Tra l’altro è anche bellino.

http://www.youtube.com/watch?v=_Rwv7Ijt0-g&feature=related

In Italia la pubblicità della stessa marca ci mostra una donna nuda  che dopo varie sguerguenze si raggomitola, una enorme bocca mostruosa le appare sul corpo. Hanno studiato una pubblicità apposta per gli italioti, al loro livello…godetevela:

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=P-kGStUtBP0[/youtube]

Insomma non sto facendo l’elogio degli altri paesi, so benissimo che poi tutto il mondo è paese. So che in Europa si sta andando nella stessa direzione, che certe cose sono globali, che si tratta dello stesso paradigma in cui ci si muove tra un pò peggio un pò meglio, ma sempre lì si resta. Su tutti i fronti. Liberismo sfrenato, razzismo, capitalismo da rapina, ecomafie, fascismi, sessismo. Dappertutto. Ma è vero anche che in Italia per certe cose è addirittura “più peggio”,  si  soffoca di più,  sicuramente per quanto riguarda le battaglie cosiddette civili e le questioni di genere. Quello della Norvegia e della Spagna è certamente femminismo liberale, istituzionale, ufficiale, e non basta, perchè non mette in discussioni le basi del sistema, è interno alla sua logica, come giustamente dice qualcuna . E concordo pienamente. E sicuramente  quello che voglio alla fine non è uguaglianza dentro  questo sistema, voglio che se ne inventi un altro; non voglio lavorare a ritmi insostenibili per essere “come gli uomini”, voglio ritmi diversi per tutt@; non voglio lavoro alienato e sfruttato, ma attività umana solidale; in realtà non voglio neanche  asili nido, così come li si intende ora, voglio comunità, voglio un’altra organizzazione della vita.  E poi questi diritti per quali donne sono? Sono davvero per tutte le donne? Anche per quelle migranti, per esempio?  Per le precarie? Per le badanti? Per le prostitute? E i diritti di tutte/i, delle ultime/i? E poi oltre i diritti.Voglio anche i rovesci! E  non me ne frega un tubo delle quote rosa per le donne manager in carriera. I padroni non mi piacciono neanche se sono femmine.

Detto questo, con l’età son diventata più sensibile alle gradazioni.  E sinceramente mi vien voglia di emigrare lo stesso!

Questo non è davvero un paese per donne. Neanche per bambini e bambine, giovani, vecchi poveri (figurarsi le vecchie!), maschi disertori.  Come dice il mi marito: è un paese per vecchi machi ricchi e maiali.

Borrokatu eta bizi, Pelear y vivir. Intervista a B. Zabala

A settembre sono stata  a fare un giro nei paesi baschi e, tra spiagge, pinchos, vino della rioja e txakolì, ho anche trovato, alla semana grande di Bilbao e  in qualche taverna di piccoli paesi, orme di femministe e segni di dibattito su temi che sono all’ordine del giorno un pò dappertutto. Perciò mi è venuta voglia di curiosare un pò tra le femministe basche. Per ora ho tradotto (scusate le mie traduzioni, ma faccio quello che posso!) da kaosenlared questa intervista , in cui sono espresse opinioni con cui ognuna  può essere o meno daccordo, ma che toccano  nodi  che mi sembrano fondamentali.

Intervista a Begoňa Zabala, attivista di Emakume Intenazionalistak, sullo stato del movimento femminista, i dibattiti in corso e le prospettive di lotta.

Per iniziare, a che punto si trova attualmente il movimento femminista?

Credo che il movimento femminista di cui noi facciamo parte, cioè quello quello delle assemblee in Euskadi e nello stato spagnolo, quel movimento femminista radicale degli anni ’70, assembleare, indipendente e molto alternativo, si trovi ad un bivio.

Da una parte non ci sono dubbi sul fatto che il femminismo istituzionale e ufficiale, “politicamente corretto”, stia occupando molti spazi pubblici. Sta diventando molto visibile e, in un certo modo, toglie spazio al femminismo più combattivo.

D’altra parte, c’è una irruzione di un movimento molto giovane, molto ribelle e molto alternativo che può essere quello che si aggrega a questa lotta. Cioè se da un lato il movimento è un po’ giù di corda per la istituzionalizzazione e per l’agenda politica che ha seguito, da quando ha fatto irruzione il movimento antiglobalizzazione- che è stato molto ribelle e molto forte, con gruppi di ragazze giovani, lottatrici e molto contestatarie- si sta creando un ponte con il movimento femminista radicale e si tornerà ad avere una nuova onda di questo tipo di femminismo.

In questo momento, con la crisi, abbiamo visto che le donne ne soffrono molto più le conseguenze. Una cosa di cui si parla è “la crisi della cura”. Può spiegarci in cosa consiste e come lottare contro di lei?

Il capitalismo nel secolo XIX, nella sua versione primitiva e selvaggia, può contare su una famiglia nucleare, che si fa carico dei lavori di cura; di quello che è stato chiamato “lavoro riproduttivo”. Conta su un maschio, che sta a capo della famiglia-colui che porta a casa il pane.

Su queste analisi della famiglia, iniziate dal marxismo,c’è stato molto dibattito e non c’è un accordo al 100%. Però quello su cui siamo daccordo (all’interno della sinistra) è che il lavoro di cura non sia ricaduto esclusivamente sulle donne, ma che sia anche stato veicolato  dalla famiglia. Questo è abbastanza importante.

Poi ci sono altri fenomeni, come l’aumento della speranza di vita, che ha provocato il fatto che ci siano più persone anziane, più malati, persone che necessitano di cura. Altri fenomeni consustanziali alla crisi del capitalismo, come il fatto che queste crisi si ripercuotano sui servizi sociali. Così ci ritroviamo in una situazione in cui non c’è assistenza nè da parte della famiglia- cioè principalmente le donne- né dallo stesso sistema di previdenza. Le donne si sono inserite nel mercato del lavoro e lo Stato non ha istituito servizi sociali sufficienti. Neanche gli uomini, a causa della saturazione del mondo del lavoro, o politica o sindacale- o per altri motivi- hanno assunto questi lavori di cura. Siamo di fronte a una importante crisi.

Questa crisi la stiamo vedendo qui, nella sua forma interna. Ma si è anche introdotto un elemento importante a livello internazionale, ed è il fatto che si può contare su una mano d’opera che viene a fare questi lavori di cura in modo gratuito o a condizioni molto precarie. Quando sembrava che non  fosse rimasto altro da fare che creare servizi sociali, dividersi i compiti, questa conciliazione che è così di moda…appare questa mano d’opera femminile che va a ricoprire questo ruolo di sostituzione nella cura.

Per questo è una crisi di importanza internazionale molto grande. Il capitalismo occidentale può spostare milioni di donne in una condizione senza diritti per realizzare questi lavori? Tra questi lavori non ci sono solo il mondo della cura dei bambini e degli anziani, ma anche il mondo dell’affetto, della riproduzione, della sessualità. Improvvisamente appaiono delle donne che vogliono avere figli in una famiglia tradizionale, o vogliono essere mogli e madri, o svolgono questi compiti per denaro, o vogliono mantenere rapporti sessuali secondo il modello tradizionale maschile – cioè rispondono ai desideri di molti maschi. Questo introduce un elemento che internazionalizza la crisi della cura.

Questa è una contraddizione importante del sistema, e credo che parlando di crisi dovremmo sempre averlo presente.

Visto che stiamo toccando il tema, qual’è la vostra posizione rispetto alla prostituzione? E’ di per se stessa una forma di sfruttamento? E’ possibile un’altra forma di prostituzione in cui le lavoratrici abbiano pieni diritti?

In primo luogo, questo è un tema molto controverso e complesso, però c’è una parte di femminismo di cui noi facciamo parte, che ha sempre discusso all’interno di limiti molto concreti.

In generale non ha avuto posizioni abolizioniste né proibizioniste. Da parte di questo movimento femminista non si è mai prospettato- tutto il contrario- il fatto che la prostituzione sia proibita o resa illegale, né che entri, come viene prospettato da alcuni circoli, come reato nella legge sulla violenza di genere. Questo non è un dibattito interno al movimento femminista.

Inoltre la prostituzione è un fenomeno molto complesso e può essere visto da molti punti di vista. Lo inizi ad analizzare e vedi molti elementi, ma casualmente tutti hanno un’opinione. Cioè, una volta assunto che è qualcosa di molto complesso, tutti dicono: “io lo legalizzerei”, “io lo abolirei”, “io lo proibirei”. E’ curioso tutto questo prendere posizione, ed è perchè si tratta di uno dei grandi tabù della società.

Cosa vuole dire questo? Perchè in generale prendiamo posizione un po’ influenzati dai pregiudizi, senza aver analizzato molto. Pregiudizi non in senso negativo, ma nel senso di preragionamenti. Per questo cerchiamo di entrare in questo dibattito smontando i discorsi che ci portano ad analizzare se esista o no sfruttamento sessuale nella prostituzione, se sia un modello di sfruttamento dell’uomo sulla donna, e così a demonizzarla.

Io credo che questo sia un dibattito sbagliato. Cerchiamo di muoverci verso un altra prospettiva e fondamentalmente andiamo ad analizzare la situazione in cui si sta producendo la prostituzione: ci sono donne sequestrate, obbligate…In questi casi siamo le prime a denunciare che questo è un delitto, non perchè commerciano il proprio corpo, ma perchè sono obbligate a farlo.

Però c’è poi un altro elemento: il puro scambio commerciale di sesso con denaro, a livello di relazione sessuale personale, per telefono, di sauna…Questo, in se stesso, non lo vogliamo? Ci sembra una cosa negativa? Dev’essere considerato un delitto? Mi sembra che non sia il massimo il fatto che ci siano persone che devono guadagnarsi da vivere con  un’attività stigmatizzata come molto negativa e che altre persone abbiano relazioni sessuali a pagamento perchè non possono o non vogliono averle in un modo “più naturale”. Ma questo non determina niente riguardo al fatto che sia male, o un delitto, o degradante, o indegno.

Se, di fronte a questa situazione quello che si prospetta è che le donne che si prostituiscono siano espulse o che si ritrovino ad essere processate perchè denuncianio i prpri sfruttatori, se questa è la strada, io la rifiuto assolutamente. Invece penso che per trovare una soluzione a questa situazione bisogna rendere più forti le donne, dar loro diritti affinchè si possano trovare per lo meno nella nostra situazione.

Il femminismo istituzionale sta guadagnandosi un certo protagonismo grazie alle misure che sta varando il governo, come il tema dell’aborto, l’uso di un linguaggio non sessista, ecc. qual’è la vostra posizione rispetto a tutte queste misure? Credete che servano realmente a qualcosa, o sono semplicemente pezze che finiscono per non aggiustare niente?

Il femminismo istituzionale, del quale secondo il mio punto di vista rientrano la sinistra moderata, i sindacati maggioritari come CCOO, UGT, settori accademici ecc. fa una scommessa su un femminismo che ha molta tradizione in Europa e che è molto affermato, che è il femminismo liberale. Sono le tesi secondo le quali all’interno di una società “democratica”- di uno Stato di diritto- si è già realizzata la grande rivoluzione dei diritti e dell’uguaglianza per gli uomini. E ora si può ottenere lo stesso per le donne. E’ l’impostazione delle Illuministe che filosoficamente è molto interessante e che fece reali passi avanti, ma che mi sembra politicamente sbagliato e ottuso, senza soluzioni.

Con la rivoluzione francese e con quella europea appaiono i diritti del cittadino, per l’uomo maschio appaiono con una connotazione molto chiara, e questi diritti non si possono estendere alle donne perchè sono stati creati proprio a scapito delle donne.

Quando non viene riconosciuto un diritto, il primo obbligo di un gruppo oppresso è lottare per il riconoscimento di quel diritto, siano i neri o gli indios, le minoranze immigrate o le donne. E’ una tappa di un processo in un momento determinato, neanche di una rivoluzione, ma di un processo democratico obbligato per qualsiasi gruppo oppresso. Perchè non ti lasciano votare per il solo fatto di essere una donna?

E’ la stessa cosa ora con gli immigrati. Perchè le persone immigrate non hanno il diritto di stare qui? Una volta che avranno ottenuto questo non avranno fatto altro che cominciare. Come diceva Hannah Arendt , si è ottenuto “il diritto ad avere diritti”. Ora andiamo a vedere quali diritti vogliamo.

Allora, è in questa prima parte che il femminismo istituzionale sta lavorando, per il conseguimento dell’uguaglianza a qualsiasi costo, a costo di misurarci tutte con lo stesso metro e renderci uguali. Uguali a chi? A quali uomini? Agli uomini operai che vengono licenziati? Agli uomini ricchi che sfruttano? Agli uomini immigrati che non hanno diritti?

Io credo che molta di questa politica vada verso le tesi della uguaglianza, della conciliazione nella vita familiare, della parità degli spazi…Bisogna dire che questi cambiamenti non modificano alla base il dominio patriarcale.

Quello che noi chiediamo è di aumentare la portata delle rivendicazioni de i nostri diritti sessuali e riproduttivi, e la legge sull’aborto ha ridotto la possibilità di abortire. Di fatto, il terzo caso, che si applicava nel 95% dei casi di aborto, che era quello della salute della donna, non aveva limiti di tempo, e ora invece li ha. Nonostante questo il fatto che la legge depenalizzi ampliamente l’aborto e comprenda, in una certa misura, il riconoscimento dei diritti sessuali e riproduttivi, è un avanzamento. Speriamo comunque che si prendano misure perchè si realizzino le interruzioni di gravidanza in centri pubblici.

C’è stato un tempo in questo dibattito durante il quale il movimento femminista ha fatto un’analisi molto chiara contro la famiglia nucleare, la dominazione patriarcale, il modello monogamico ed eterosessuale. Per queste impostazioni la famiglia era la prima istituzione di oppressione della donna.

Il secondo punto era più complicato. Si doveva cercare un modello alternativo alla famiglia. E in questo si semplificò troppo. C’era chi indicava come parola d’ordine l’abolizione della famiglia e la sua sostituzione con modelli alternativi tipo le comuni.

Bisogna considerare la famiglia e tutto quello che è: trasmissione di autorità, aggressioni, socializzazione di bambini in un modello gerarchico, sottovalutazione delle donne…Ma ci sono anche elementi molto importanti per la sussistenza e la resistenza. E anche per la solidarietà. Il cuscinetto affettivo che rappresenta la famiglia per i suoi membri è insostituibile. Può funzionare anche da supporto economico nei momenti di crisi. E questo bisogna averlo chiaro. Anche se il sistema familiare è in se stesso un sistema di dominazione contro le donne, contro i minori, ed è anche un veicolo attraverso il quale questi modelli si riproducono, ha anche cose buone. C’è un mondo di affetti che io credo vada reso visibile e fatto emergere, che sta lì e che  non si può improvvisamente ignorare.

Diciamo che la lotta fondamentale è quella contro la struttura della famiglia tradizionale. Cioè contro le funzioni di dominazione e oppressione che questa famiglia esercita. E non tanto per cercare un modello alternativo che sostituisca la famiglia. Bisogna rompere costantemente quello che la famiglia ci vuole imporre: l’autorità come modello di relazione; la violenza sia fisica che psichica come modello di socializzazione; l’amore, il sesso, l’affetto e la maternità-paternità come unica relazione obbligata e per tutta la vita di due persone.

La divisione sessuale del lavoro dentro e fuori la famiglia e l’assegnazione dei compiti della cura e delle relazioni sociali alle donne…fuggendo da queste funzioni assegnate come obbligatorie, sicuramente costruiremo un nostro modello che sarà più liberatore.

Per terminare, a mò di sintesi: che tipo di femminismo è necessario e chi deve far parte di questa lotta?

Credo che manchi un femminismo molto radicale. Bisogna analizzare la situazione, tornare agli anni ’70- nel senso della radicalità, non dello stato delle cose- e mettere a fuoco, prima di tutto, che ci troviamo di fronte a uno Stato molto forte, molto repressivo e molto istituzionalizzato, e a una democrazia molto corrotta. E’ questo stato, l’apparato di potere che che veicola e riproduce in gran parte la dominazione patriarcale. Il femminismo non può passare attraverso lo Stato.

In secondo luogo c’è un modello economico- non solo quello della crisi, bensì tutto il modello di produzione e riproduzione- che è fondamentale nell’oppressione delle donne, e che inoltre sta cercando delle soluzioni false e che deve essere il nostro secondo punto nel mirino. E’ importante introdurre nell’analisi del modello economico il mondo della cura e dei lavori riproduttivi.

E in terzo luogo, non abbiamo altro che il corpo, e credo che le lotte di riappropriazione del corpo devono essere di nuovo in prima linea. E questo ci indica anche chi sono i nostri alleati: la gente che sta lottando per riappropriarsi del proprio corpo, la gente che sta lottando contro il sistema capitalista e la gente che sta lottando contro uno stato molto autoritario, molto antidemocratico e molto corrotto.

per Teresa

Teresa Buonocore si è ribellata alla violenza maschile, si è permessa di testimoniare al processo all’uomo accusato dello stupro di sua figlia. La bambina, all’età di 8 anni, aveva  subito una violenza da parte del vicino. L’uomo pochi mesi fa è stato condannato in primo grado a dieci anni di carcere e oggi è in galera.

Per questo il 20 settembre scorso l’hanno ammazzata, massacrata con una scarica di proiettili. Questa donna coraggiosa è morta per aver difeso la sua bambina di 8 anni da uno stupratore. Uccisa per vendetta, perchè un maschio violento e abusante non è solo, c’è una rete di omertà e di complicità istituzionale,cultural e  sociale intorno a lui, che lo tollera, lo giustifica e lo protegge e, in questo caso, lo “vendica” e uccide la donna che senza paura ha detto la verità  e ha lottato apertamente.

Ci sono appelli per una manifestazione a Portici, dal sindaco, dall’avvocatessa di Teresa. Qui sotto riporto il comunicato dell’UDI di Napoli:

Comunicato per Teresa. Uccisa il 20 settembre del 2010

Teresa Buonocore è morta, uccisa da sconosciuti, dai soliti sconosciuti.

Abbracciare e solidarizzare coi figli, o aver plaudito al coraggio di Teresa nel proteggere la sua bambina per proteggerne altre, è ed è stato doveroso, ma comunque la cosa più comoda che si possa fare.

Si deve dire di più quando una donna muore essendo l’ultima vittima del coraggio di lasciare, denunciare, ribellarsi.

Teresa Buonocore è l’ultima donna vittima di una lunga teoria di uccisioni, nella quale la straordinaria coincidenza tra un evidente fare camorristico dei carnefici, il mutismo dei testimoni occasionali e l’autodifesa in solitudine delinea la qualità del patto sociale.

Come in molta parte della difesa dei diritti delle cittadine, sul femminicidio lo Stato Italiano è flebilmente presente, e lo è per lo più solo dal punto di vista comunicativo. Si tratta di una comunicazione alla quale si sono piegati anche alcuni media, sottolineando sempre ed ossessivamente “la necessità del coraggio da parte delle vittime”.

Teresa ha avuto coraggio. Di più ha elargito dignità, pagando nei tribunali e fuori, fino ad essere soppressa.

Noi dobbiamo avere fiducia negli inquirenti, perché con loro abbiamo costruito un rapporto di collaborazione nel sostegno alle vittime che “hanno il coraggio di denunciare”, un protocollo tra femminismo e questura di Napoli. Abbiamo anche noi avuto coraggio, a sperimentare una strada che nel 2005 sembrava impercorribile, avviando il dialogo nei luoghi dove la violenza è intercettata: commissariati ed ospedali.

Teresa ha avuto coraggio ed ha investito su una risposta che dallo Stato non è venuta.

Non si tratta di fatalità, come non lo è stata per Matilde Sorrentino, nemmeno a dirlo, uccisa con modalità camorristiche, per aver difeso i figli di tutte dagli orchi di Torre Annunziata.

C’è tanto da fare nel nostro paese, simbolicamente, a partire dai luoghi dove la proprietà sui corpi e la pretesa del silenzio esibiscono l’affronto aperto alla sovranità dello Stato di diritto. Non si tratta solo del Sud, o almeno si tratta di quel sud che è ovunque la comunità nazionale individua nella vittima “la colpa di non aver avuto coraggio, ed insieme di averne avuto troppo”, cioè dovunque c’è una cittadina di serie b, una donna .

In questi giorni Dacia Maraini ha affermato che la serie infinita dei femminicidi mostra la scomposta reazione alla maggiore richiesta di libertà delle donne, merito, ha detto, del femminismo.

Noi aggiungiamo che c’è un altro merito, taciuto ancora pervicacemente nella categoria “e femministe dove sono?”, oltre la rivendicazione della sacrosanta libertà, di tutti, dalle violenze contro le donne. È il merito di aver promosso il “tema culturale” del femminicidio, facendolo approdare tra le istanze di piena responsabilità e competenza del potere politico.

Se i cittadini spettatori non parlano, se le vittime sono sole, se alle donne viene chiesto il coraggio di morire, se lo Stato protesta come un comune cittadino e come quello si rifugia nella retorica, vuol dire che manca qualcosa. Nella difesa di molti diritti manca qualcosa, ma quel qualcosa che manca nel caso delle uccisioni sistematiche delle donne è la presenza simbolica dello Stato, che altrove si esprime se pure in modo inefficiente.

Contro altri reati, lo Stato tiene a difendersi dalle accuse dei cittadini per i suoi insuccessi. Questo perché il danno provocato dei reati camorristici, comunemente detti, e corruttivi, comunemente detti, con leggi e provvedimenti, è riconosciuto formalmente come danno allo stato ed alla comunità tutta.

Contro le violenze sulle donne e la loro uccisione, non è avvenuto nulla di più che l’introduzione di una parola, che sembra uno sport (stalking che, come dice Maraini, andrebbe sostituita con persecuzione), e la diffusione di uno spot che reclamizza un prodotto che non si vende e non è a disposizione dello Stato : il coraggio delle donne.

Il dolore che di nuovo proviamo è pieno di rabbia.

Udi di Napoli

scuola

Io faccio la custode in una scuola materna. 15 settembre riapertura delle scuole. Si riapre con tre maestre su sei in meno , perchè le supplenti le mandano tra una settimana, tanto “sarebbero in compresenza”. Peccato che la compresenza si fa appunto per accogliere bambini di tre anni, piangenti, urlanti, bisognosi di attenzione e rassicurazione.

La scuola elementare annessa alla nostra ha aperto con una sola prima, una prima di 30 bambini, come ai tempi della mi nonna. Mi chiedo come potranno essere realmente seguiti, soprattutto quelli in difficoltà, non i figli dell’avvocato (che sempre più se ne vanno dai preti), ma i figli degli operai, dei precari (come le loro maestre!) dei migranti, che hanno anche spesso problemi di lingua.

Questi sono i primi effetti dei tagli della gelmini

L’altro aspetto sono i posti di lavoro in meno, i precari che perderanno anche quel poco schifoso lavoro che avevano.

L’impressione che mi assale continuamente è quella di un paese allo sfascio.

E poi c’è proprio anche un altro modo di intendere la scuola.

E’ venuta di nuovo l’ora del comando dell’istituzione. La scuola che stanno preparando è una scuola sempre più classista, autoritaria, nozionista, gerarchica, sessista, escludente: cioè fascista.

Sempre più purtroppo mi convinco che non c’è più spazio nelle scuole pubbliche per cercare di cambiare le cose, è una battaglia che ti sfianca e ti distrugge. Eroici quelle/i (me compresa) che ci continuano a provare (anche perchè siamo costrette/i: chi lo lascia un lavoro fisso, oggi come oggi?) La scuola dell’obbligo italiana è stata nel passato un grande laboratorio, in cui sono state costruite e sperimentate cose molto belle, ma ora è sempre più difficile. Come è possibile, dico io, sperimentare qualcosa in una classe di 30 bambini, magari con la maestra unica e il “doposcuola” nel pomeriggio? Tutto quello che era stato fatto di buono si sta logorando giorno dopo giorno, nonostante la passione e il lavoro di tanti bravi insegnanti (che ci sono, come ci sono quelli razzisti e stronzi, del resto).

E perciò è da parecchio tempo che mi viene da pensare che forse è l’ora di cercare di costruire al di fuori di tutto questo, di provare a costruirci da soli/e  ALTRE scuole. Scuole di libertà e responsabilità, non scuole di obbedienza e di prepotenza. Forse un po’ alla volta ne può nascere qualcosa.

In Italia qualcosa sta cominciando a muoversi. Da sei anni c’è la scuola Kiskanu a Verona. Un’altra apre quest’anno a Bologna. Sempre quest’anno inizia la sua strada ad Assisi il “progetto mukti”, per ora con la creazione di un asilo nido. Mia figlia mi ha fatto vedere il documentario “Sotto il Celio azzurro”, su questa bella scuola materna a Roma, una boccata d’aria pura…tra l’altro tanti maestri maschi, a dimostrazione del fatto che gli uomini possono essere  bravissimi nei lavori cosiddetti “femminili”…

altri spezzoni del film su questa scuola li trovate qui.

Certo è difficile, il problema del denaro è un vero problema. Perchè non diventino scuole per privilegiati bisogna trovare i SOLDI: per le strutture, per il materiali, per il reddito di chi ci lavora. Ma forse vale la pena provarci, inventarsi qualcosa…daltronde l’alternativa sono tanti bambini in divisa e un lavoro precario, frustrante e sotto comando per gli insegnanti.