mujeres en resistencia- san juan copala-mexico

San Juan Copala e’ un Municipio Autonomo che raccoglie una ventina di comunità indigene di etnia triqui dello stato di Oaxaca, nell’entroterra montagnoso del sud del Messico. Questa zona per anni è stata saccheggiata:  dagli  spagnoli prima, dallo stato messicano poi e dalle multinazionali oggi.

Ma dal 2007, seguendo l’esempio zapatista, gli abitanti  si sono ribellati, hanno deciso di riprendersi la prpria vita e si sono costituiti in Municipio Autonomo, retto da delegati popolari nominati  in assemblea, esercitando il diritto all’autogoverno, dimostrando che esistono modi di vivere e di organizzarsi diversi da quelli che ci impongono con il mercato e la militarizzazione.

Questo chiaramente da noia ai poteri forti. per questo da mesi San Juan Copala viene attaccato dai paramilitari:  già 21 le vittime, tra cui un bambino e varie donne. Da marzo la zona è circondata da questi esecutori di  “missioni sporche”. Da allora un vero e proprio embargo, non arriva niente:  maestri, medicine, cibo. Luce e telefono sono stati tagliati.

Il 27 aprile scorso i paramilitari hanno teso un’imboscata a una carovana di solidarietà di attivisti/e che portavano medicine e cibo a San Juan Copala. Vi  hanno perso la vita la messicana Bety Cariño e il  finlandese Jyri Jaakkola.

In questo mese di agosto le donne di San Juan Copala hanno deciso di accamparsi nella capitale dello stato, ad Oaxaca, per denunciare la violenza di cui sono vittime e rivendicare  il loro diritto all’autodeterminazione.

Questo il loro appello:

AL POPOLO DELL’OAXACA

AI MEZZI DI COMUNICAZIONE ONESTI

A “LA OTRA CAMPAŇA”

ALLE ORGANIZZAZIONI SOCIALI E PER I DIRITTI UMANI

ALLA DEGNA NAZIONE TRIQUI

Compagne e compagni, le donne triquis di San Juan Copala si rivolgono a voi perchè si sappia dalla nostra stessa voce il dolore che il potente detta come destino per gli indigeni di questo paese. Oggi vogliamo dire a questi signori del denaro che ci ribelliamo, che ci solleviamo e denunciamo con coraggio: che il mondo sappia che in questo paese gli indigeni sono in resistenza; perchè il malgoverno, obbedendo agli ordini del grande capitale, ha voluto far scomparire i nostri popoli per appropriarsi della grande ricchezza naturale che per secoli abbiamo saputo conservare per il bene dell’umanità; perchè è questo il vero motivo della violenza a cui oggi sono sottoposti i triques, è per questo che da quei palazzi di cristallo in cui decidono i governi del nostro stato viene l’ordine criminale di attaccarci con armi potenti, senza che importi che le vittime siano per la gran parte donne.

Sono le donne di Copala ad essere le più colpite dalla violenza perchè oltre ad essere moglie, sorella, figlia, madre, siamo noi quelle che camminando per le montagne, per ore trasportiamo gli alimenti perchè il nostro villaggio non muoia di fame; per questo vogliamo dire a tutta la gente umile di questo paese e in special modo alle coraggiose donne dell’Oaxaca, che noi donne triquis abbiamo deciso di uscire per le strade per chiedere la loro solidarietà, poiché essendo indigene e donne il nostro dolore è doppio e il malgoverno invece di fare giustizia è quello che dà l’ordine di massacrarci, solo perchè resistiamo al fianco dei nostri compagni.

Solo dal 27 aprile ad oggi, sono state aggredite 38 donne, perchè cercavano di difendere la nostra libertà di governarci secondo la nostra storia e la nostra cultura; però sappiamo bene che in tutta la regione molte altre sono state aggredite con il pretesto di conflitti interni, hanno trasformato la donna triquis in un bottino di guerra, per questo gridiamo YA BASTA. Un ya basta che arrivi in tutta la nostra regione e soprattutto al cuore delle nostre sorelle triques, in modo che secondo i nostri modi prendiamo il destino dei nostri villaggi nelle nostre mani, perchè siamo noi quelle che con la nostra tenerezza e il nostro amore potremo liberare il nostro popolo dalla mano estranea che senza conoscere la nostra storia si è dedicato per decenni a calpestare la nostra dignità e dobbiamo liberarci anche, è necessario dirlo chiaramente, da quegli indigeni che rinnegano la loro storia o la disconoscono e affittano i propri servizi di sicari per massacrare il nostro popolo. Questo è dimostrato dal fatto che usando come pretesto la menzogna che un capo militare era stato assassinato nella nostra comunità, centinaia di poliziotti sono entrati a San Juan Copala, e al colmo del cinismo sono stati questi poliziotti al comando di Jorges Quemada a prendere il palazzo municipale e a darlo in possesso ai paramilitari della UBISORT e sono state le palle sparate dai poliziotti a ferire gravemente le nostre compagne ADELA e SELENA di 14 e 17 anni.

Oggi in risposta a tante aggressioni ci accamperemo in maniera indefinita in questo zocalo della capitale (…) chiediamo l’appoggio dei compagni delle diverse organizzazioni solidali, così come chiediamo la vigilanza di tutti i compagni degli organismi per i diritti umani non ufficiali perchè crediamo che la persecuzione di cui siamo oggetto da parte del malgoverno possa continuare anche in questo luogo. Informeremo in modo permanente riguardo a tutto ciò che accade nella nostra regione e cCi ritireremo soltanto quando i criminali che seminano di dolore il nostro popolo saranno imprigionati e a San Juan Copala si potrà camminare liberamente.

HANNO PAURA DI NOI PERCHE’ NON ABBIAMO PAURA

Mujeres en Resistencia de San Juan Copala

11 agosto 2010

tradotto da kaosenlared

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=sy9jjzVztE8[/youtube]

Un lenzuolo contro la violenza sulle donne!

femminismoasud ci chiede di far sentire tutte la nostra voce contro un vero e proprio massacro di donne che non accenna a fermarsi

BASTA CON I FEMMINICIDI

BASTA CON LA CULTURA CHE LI PRODUCE

Esponi un lenzuolo alle finestre, scrivi quello che vuoi, macchialo di rosso.

Troppe donne muoiono per mano di un uomo. Troppe donne muoiono in italia di femminicidio. Potete contarle voi stessi su bollettino di guerra.

Ci sono donne che stanno proponendo di affiggere a Milano, nel punto in cui è stata ammazzata da un uomo, una targa che dica “Emlou Aresu, vittima del femminicidio”. Altre propongono di affiggere tante targhe in giro per l’italia quante sono le vittime di violenza maschile. C’è una proposta di manifestazione a Milano. Ci sono donne che hanno lanciato un appello a tutti/e i/le blogger affinchè scrivano qualcosa contro la violenza sulle donne.

Nel frattempo le donne continuano a morire. L’ultima uccisa si chiamava Mara Basso, lascia due figli di 7 e 10 anni, stava per separarsi.

Noi sappiamo che dove esiste qualcuno che giustifica un femminicidio o istiga odio contro le donne egli può essere giudicato moralmente responsabile per ogni femminicidio commesso.

Sappiamo dunque che è necessario rendere visibile l’opposizione alla violenza contro le donne. Da ciò nasce la proposta di mettere degli striscioni alle finestre.

“Io ne attacco subito uno alla finestra di casa mia. Cominciamo dalle nostre finestre. Riempiamo i balconi di lenzuola insanguinate. Ridiamo senso a quella abitudine tribale che voleva farci appendere le lenzuola con il sangue per fare vedere che le spose erano vergini. Ogni lenzuolo insanguinato rappresenta una donna morta ammazzata. Per emlou, per mara, per tutte.”

Andiamo ad appenderne uno anche noi. Ciascuno scriva quello che vuole. Serve mostrare la sindone per ogni corpo di donna trafitto, massacrato, ucciso. Da ora iniziano le giornate delle lenzuola intrise di sangue di donna!

presidio per faith e ngom – bologna 2 agosto

PACCHETTO SICUREZZA?

La questura bolognese condanna a morte una donna che si ribella a uno stupro

Il 20 luglio la questura di Bologna ha deportato una ragazza nigeriana di 23 anni, Faith, proprio nel Paese dove era stata condannata a morte per aver reagito ad un tentativo di stupro da parte di un uomo ricco e potente.

Faith era stata rinchiusa nel Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di via Mattei a Bologna, dopo che i vicini avevano chiamato la polizia sentendo le sue grida di aiuto perchè un uomo cercava di violentarla.

La polizia ha pensato bene di arrestare lei solo perché non aveva il permesso di soggiorno. Dopo due settimane di detenzione è stata rimpatriata in Nigeria, dove potrebbe essere impiccata a breve da un governo corrotto e complice del peggior colonialismo occidentale.

E questo nonostante avesse già presentato domanda di asilo politico.

Benché l’Italia sia uno dei paesi promotori della moratoria contro la pena di morte, lo stato razzista italiano non ha esitato a consegnare ai suoi assassini una donna che ha saputo reagire alla violenza maschile, una donna da cui tutte abbiamo tanto da imparare.

Dopo questa vicenda, che segue purtroppo tante altre analoghe, sarebbe ora che ci si chiedesse di che genere di sicurezza blaterino i politici e perchè dovremmo delegare a questa gente e ai loro servitori in divisa la protezione delle nostre vite.

La deportazione di Faith è un monito contro tutte le donne che si ribellano alla violenza maschile.

Allora ci chiediamo che futuro possa aspettarsi Ngom, un’altra donna immigrata, senegalese e madre di sei figli, arrivata in Italia dodici anni fa dopo esser fuggita da un marito violento. Ngom, sempre in nome della “nostra sicurezza”, è da qualche giorno rinchiusa nel Cie di Bologna in attesa che un giudice di pace decida se accettare il ricorso contro l’espulsione o eseguire gli ordini della questura di La Spezia e rimandarla in Senegal dal marito-aguzzino.

Non smetteremo mai di dire che la nostra vera sicurezza è la solidarietà fra donne.

Per quanto tempo ancora intendiamo tollerare la presenza dei Cie – lager di Stato in cui le donne sono spesso sottoposte a ricatti sessuali, molestie e violenze per poi essere rimpatriate col rischio di essere addirittura uccise?

La nostra sicurezza non ha bisogno di confini, né di lager, né di passaporti

LUNEDI’ 2 AGOSTO PRESIDIO ALLE 12 IN PIAZZA ROOSVELT A BOLOGNA

Mai più schiave!

(Chi non potesse partecipare al presidio ma intendesse comunque esprimere il proprio parere sulle connivenze tra l’Italia e i Paesi di provenienza di Faith e Ngom per quanto riguarda le deportazioni: ambasciata nigeriana – Roma 06683931; ambasciata senegalese – Roma 066865212/066872353)

da noinonsiamocomplici

26 giugno-fuori i fascisti da firenze

FUORI I FASCISTI DA FIRENZE! CHIUDIAMO CASA POUND!

Lavoratori, studenti, precari e disoccupati, nessuno escluso, stanno subendo le prime e già pesanti conseguenze della crisi che attraversa l’Italia e non solo. Per questo, oggi più che mai, è necessario organizzarsi e lottare, per non subirne ulteriormente le conseguenze.

Proprio in questo clima si inserisce la nascita di gruppi e gruppetti dell’estrema destra nelle nostre città: un disegno ben preciso che ancora una volta restituisce ai fascisti il loro ruolo storico.

Quello di squadristi nelle aggressioni ai danni di compagni e compagne come recentemente accaduto a Tor Vergata, oppure contro gli immigrati come successo anche a Firenze in Via Nazionale e in Via della Scala o ai danni dei lavoratori in lotta come nel caso dell’Eutelia.

Quello di provocatori quando le loro azioni non diventano altro che un pretesto per dar modo a polizia e magistratura di colpire e reprimere chi quotidianamente lotta e si espone al fianco di studenti e lavoratori.

Proprio a Firenze ci sono compagni processati per aver contestato un’iniziativa di Totaro in Gavinana, per aver impedito a Casa Pound di svolgere un presidio in piazza al Galluzzo, per aver difeso la propria città dalla violenza fascista la notte del 23 maggio dell’anno scorso in Via della Scala, così come in Toscana alcuni compagni di Livorno e Pistoia sono ancora sotto processo con l’accusa di aver assaltato una sede di Casa Pound.

Adesso, dopo i tentativi di attecchire andati a vuoto per Forza Nuova, La Fenice e la Nuova Destra Sociale ci prova proprio Casa Pound che, a Firenze, in via Lorenzo il Magnifico sabato 29 maggio ha inaugurato la propria sede.

Li ricordiamo tutti, in piazza Navona a Roma, infiltrati nel movimento studentesco contro i tagli imposti dalla Gelmini mentre picchiavano i compagni di 14 anni armati di cinghie e mazze tricolori e poi pronti a puntar il dito contro chi aveva deciso di reagire e non accettare la loro presenza in piazza.

Li ricordiamo ancora a Roma, pronti all’ennesima aggressione e poi invece costretti a cercare di passare come vittime perché quella sera avevano trovato un gruppo di compagni più determinati e preparati di loro.

Li ricordiamo in occasione del 7 maggio in Piazza Esedra, scesi in piazza con il patrocinio del Governo, difesi da uno schieramento immane di polizia e carabinieri mentre urlavano dal microfono dando di “infami ai militanti del presidio antifascista e ai loro nonni Partigiani”: non a caso la legittimazione di questa teppaglia rientra appieno nel tentativo di riscrivere la storia di questo paese, teso alla cancellazione della memoria storica ed alla rimozione dei crimini compiuti dal fascismo e screditando la resistenza e la lotta partigiana.

Si nascondono dietro lo pseudonimo associazione culturale e tentano, con scarsi risultati, di organizzare iniziative populiste per guadagnare in consenso e agibilità, ma nella realtà dei fatti non sono altro che un movimento fascista chiaramente schierato a difesa delle politiche attuate dal PDL come dimostra anche la loro candidatura in molte liste del partito di Berlusconi alle recenti amministrative e la presenza di alcuni esponenti fiorentini di Alleanza Nazionale all’inaugurazione della loro sede.

Per quanto si dichiarino “non conformi” vanno a braccetto con chi oggi ci sfrutta e ci uccide sul lavoro, con chi ci manda in cassa integrazione o ci rende disoccupati, con chi attacca la scuola e l’università pubblica distruggendo il futuro degli studenti di oggi e di domani, con chi sviluppa politiche di guerra contro i popoli dell’Africa e del Medioriente, con chi costringe quegli stessi popoli al ricatto dei Centri di Identificazione ed Espulsione sul nostro territorio.

La Firenze Antifascista, gli studenti, gli operai e i lavoratori non possono accettare che i sedicenti fascisti del terzo millennio aprano indisturbati i loro covi!

MOBILITIAMOCI PER LA CHIUSURA DI CASA POUND!

SABATO 26 GIUGNO CORTEO

CONCENTRAMENTO ALLE ORE 17.00 IN PIAZZA S.MARCO

Firenze Antifascista

toscana noCIE

Sabato 26 giugno ore 17.30 c/o Centro culturale «Pablo Neruda»

via Stradella 57d, Ronchi, Marina di Massa (MS)

EMAIL: centroneruda@virgilio.it

Sorvegliare (identificare) e punire

Carceri e cpt/cie: luoghi di reclusione sociale

Presentazione a Massa della campagna

“TOSCANA NO CIE”

Saranno presenti compagni/e del comitato regionale Primomaggio, foglio per il collegamento tra lavoratori, precari, disoccupati

Coordinamento migranti toscana del nord

WEB: http://xoomer.virgilio.it/pmweb

Da Conosci i tuoi diritti. Piccolo manuale di orientamenti per lavoratori e lavoratrici migranti

“I Centri di Permanenza Temporanea (CPT) sono stati istituiti su disposizione dell’art. 12 della legge 6 marzo 1998 Turco-Napolitano sull’immigrazione (L.40/1998), dal governo di centro-sinistra guidato da Romano Prodi. “Con il decreto legge n. 92 del 23 maggio 2008 “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica”, poi convertito in legge (L.125/2008) i Centri di Permanenza Temporanea vengono rinominati in “Centri di identificazione ed espulsione” (CIE)”.

Gli stranieri rinchiusi nei CIE sono sottoposti ad una condizione giuridica che viene spesso chiamata di detenzione amministrativa; infatti, le persone vengono private della libertà personale pur avendo violato solo una disposizione amministrativa (come trovarsi senza un documento d’identità o senza il permesso di soggiorno) e questo non dovrebbe comportare alcun tipo di reclusione.

Agli immigrati rinchiusi nei CIE vengono negati diritti garantiti agli altri cittadini perché, formalmente, vengono “solo” trattenuti o ospitati, ma in realtà è impedito loro di ricevere visite o di far valere il proprio diritto alla difesa legale.

Ovviamente i CPT non sono un fenomeno esclusivamente italiano, ma sono presenti in tutti gli Stati dell’Unione Europea, essendo il risultato della politica comunitaria sull’immigrazione sancita dagli accordi di Schengen del 1995”.

“Sorveglianza, esercizio, manovre, annotazioni, file e posti, classificazioni, esami, registrazioni. Tutto un sistema per assoggettare i corpi, per dominare le molteplicità umane e manipolare le loro forze, si era sviluppato nel corso dei secoli classici negli ospedali, nell’esercito, nelle scuole, nei collegi, nelle fabbriche: la disciplina” (Micheal Foucault, Sorvegliare e punire).

Un tempo la violenza materiale e culturale con cui quella disciplina ci veniva imposta la sentivamo sulla nostra pelle e ci spingeva alla ribellione. Quella disciplina a cui eravamo costretti poteva diventare auto-disciplina, forza, organizzazione, identità, necessità di trasformazione, volontà di riconquista della nostra umanità.

Eravamo sfruttati, ma non eravamo sottomessi.

Oggi siamo ancora sfruttati, ma possiamo dire non essere anche sottomessi, anzitutto alla paura e all’angoscia che ci vengono instillate giorno dopo giorno?

Per vincere le nostre paure non basteranno tutti i gendarmi di questo mondo appostati ad ogni angolo delle nostre strade. Non basteranno tutti i nemici che la nostra fantasia autolesionista riuscirà ad immaginare.

La “nazione guida” del mondo capitalistico, gli Stati Uniti, è la nazione che mostra la strada alle altre. Guardando gli Stati Uniti oggi vediamo come saremo noi domani.

“L’epoca della “deregulation” e dello smantellamento del welfare state ha coinciso con l’aumento della criminalità, il rafforzamento della polizia e la crescita della popolazione carceraria. Ed è stata inoltre quella in cui si è riservato fatalmente un destino sempre più crudele e spietato a chi veniva definito criminale, per placare le ansie, l’insofferenza, l’incertezza e la collera della maggioranza, silenziosa o rumorosa, dei consumatori più fortunati. Quanto più potenti divenivano i «demoni interiori», tanto più insaziabile era il suo desiderio di fare giustizia e punire i delinquenti. Il progressista Bill Clinton vinse le elezioni promettendo di rinfoltire i ranghi delle forze dell’ordine e di costruire nuove prigioni più sicure. Alcuni osservatori (fra i quali Peter Linebaugh dell’università di Toledo, nell’Ohio, autore di “The London Hanged”) sono convinti che egli arrivò alla Casa Bianca grazie all’esecuzione capitale, ampiamente pubblicizzata, di un ritardato mentale, Ricky Ray Rector, da lui decisa quando era governatore dell’Arkansas. Due anni dopo, i suoi avversari dell’estrema destra del Partito Repubblicano fecero il pieno di voti, alle elezioni di mezzo termine per il rinnovo del Congresso, accusandolo di non aver fatto abbastanza per combattere la criminalità e assicurando un maggiore impegno in questo senso. Clinton vinse il suo secondo mandato presidenziale dopo una campagna in cui entrambi i candidati fecero a gara nel promettere un rafforzamento della polizia e nessuna pietà per tutti coloro che «offendevano i valori della società pur continuando a restarne aggrappati», ovvero che vorrebbero godere del benessere generale senza adeguate credenziali e senza contribuire allo sviluppo della società dei consumi”. (Zygmunt Bauman, Lavoro, consumismo e nuove povertà).

I CPT/CIE sono carceri. Carceri “di transito” dove ad essere punito è il reato di “clandestinità”. Con la crisi economica in atto i posti di lavoro diminuiscono ogni giorno e ad essere colpiti sono innanzitutto i paesi più poveri e i precari e gli immigrati nei paesi più ricchi. Con la crisi, dunque, aumenteranno anche i “clandestini”, sia perché nuove persone lasceranno il proprio paese in cerca di fortuna, sia perché molti lavoratori non riusciranno più ad avere quel pezzo di carta che si chiama “permesso di soggiorno”, legato all’obbligo di essere sfruttati.

Il nostro civile e democratico paese non accetta persone che non siano utili ad un qualche padrone. Chi non serve ad un padrone viene prima escluso e prima o poi recluso di modo che gli effetti sociali del capitalismo vengano rimossi e nascosti ai nostri occhi.

E’ questo il mondo che vogliamo? Un mondo in cui ciascuno di noi resta prigioniero delle proprie paure? Un mondo in cui ogni anomalia deve essere almeno occultata visto non può essere eliminata? Se è questo il mondo che vogliamo, allora sì, sorvegliare, identificare e punire è la soluzione.

Altrimenti no. C’è anche la possibilità di affrontare e sconfiggere le nostre paure, di affrontare e sconfiggere chi ce le costruisce dentro. Di alzare la testa non in quanto astratti “esseri umani” (lo sono anche i nostri sfruttatori), ma in quanto sfruttati che lottano per sopravvivere, certo, ma anche a soprattutto per non essere più tali.

“Sorveglianza, esercizio, manovre, annotazioni, file e posti, classificazioni, esami, registrazioni. Tutto un sistema per assoggettare i corpi, per dominare le molteplicità umane e manipolare le loro forze, si era sviluppato nel corso dei secoli classici negli ospedali, nell’esercito, nelle scuole, nei collegi, nelle fabbriche: la disciplina” (Micheal Foucault, Sorvegliare e punire).

Un tempo la violenza materiale e culturale con cui quella disciplina ci veniva imposta la sentivamo sulla nostra pelle e ci spingeva alla ribellione. Quella disciplina a cui eravamo costretti poteva diventare auto-disciplina, forza, organizzazione, identità, necessità di trasformazione, volontà di riconquista della nostra umanità.

Eravamo sfruttati, ma non eravamo sottomessi.

Oggi siamo ancora sfruttati, ma possiamo dire non essere anche sottomessi, anzitutto alla paura e all’angoscia che ci vengono instillate giorno dopo giorno?

Per vincere le nostre paure non basteranno tutti i gendarmi di questo mondo appostati ad ogni angolo delle nostre strade. Non basteranno tutti i nemici che la nostra fantasia autolesionista riuscirà ad immaginare.

La “nazione guida” del mondo capitalistico, gli Stati Uniti, è la nazione che mostra la strada alle altre. Guardando gli Stati Uniti oggi vediamo come saremo noi domani.

“L’epoca della “deregulation” e dello smantellamento del welfare state ha coinciso con l’aumento della criminalità, il rafforzamento della polizia e la crescita della popolazione carceraria. Ed è stata inoltre quella in cui si è riservato fatalmente un destino sempre più crudele e spietato a chi veniva definito criminale, per placare le ansie, l’insofferenza, l’incertezza e la collera della maggioranza, silenziosa o rumorosa, dei consumatori più fortunati. Quanto più potenti divenivano i «demoni interiori», tanto più insaziabile era il suo desiderio di fare giustizia e punire i delinquenti. Il progressista Bill Clinton vinse le elezioni promettendo di rinfoltire i ranghi delle forze dell’ordine e di costruire nuove prigioni più sicure. Alcuni osservatori (fra i quali Peter Linebaugh dell’università di Toledo, nell’Ohio, autore di “The London Hanged”) sono convinti che egli arrivò alla Casa Bianca grazie all’esecuzione capitale, ampiamente pubblicizzata, di un ritardato mentale, Ricky Ray Rector, da lui decisa quando era governatore dell’Arkansas. Due anni dopo, i suoi avversari dell’estrema destra del Partito Repubblicano fecero il pieno di voti, alle elezioni di mezzo termine per il rinnovo del Congresso, accusandolo di non aver fatto abbastanza per combattere la criminalità e assicurando un maggiore impegno in questo senso. Clinton vinse il suo secondo mandato presidenziale dopo una campagna in cui entrambi i candidati fecero a gara nel promettere un rafforzamento della polizia e nessuna pietà per tutti coloro che «offendevano i valori della società pur continuando a restarne aggrappati», ovvero che vorrebbero godere del benessere generale senza adeguate credenziali e senza contribuire allo sviluppo della società dei consumi”. (Zygmunt Bauman, Lavoro, consumismo e nuove povertà).

I CPT/CIE sono carceri. Carceri “di transito” dove ad essere punito è il reato di “clandestinità”. Con la crisi economica in atto i posti di lavoro diminuiscono ogni giorno e ad essere colpiti sono innanzitutto i paesi più poveri e i precari e gli immigrati nei paesi più ricchi. Con la crisi, dunque, aumenteranno anche i “clandestini”, sia perché nuove persone lasceranno il proprio paese in cerca di fortuna, sia perché molti lavoratori non riusciranno più ad avere quel pezzo di carta che si chiama “permesso di soggiorno”, legato all’obbligo di essere sfruttati.

Il nostro civile e democratico paese non accetta persone che non siano utili ad un qualche padrone. Chi non serve ad un padrone viene prima escluso e prima o poi recluso di modo che gli effetti sociali del capitalismo vengano rimossi e nascosti ai nostri occhi.

E’ questo il mondo che vogliamo? Un mondo in cui ciascuno di noi resta prigioniero delle proprie paure? Un mondo in cui ogni anomalia deve essere almeno occultata visto non può essere eliminata? Se è questo il mondo che vogliamo, allora sì, sorvegliare, identificare e punire è la soluzione.

Altrimenti no. C’è anche la possibilità di affrontare e sconfiggere le nostre paure, di affrontare e sconfiggere chi ce le costruisce dentro. Di alzare la testa non in quanto astratti “esseri umani” (lo sono anche i nostri sfruttatori), ma in quanto sfruttati che lottano per sopravvivere, certo, ma anche a soprattutto per non essere più tali.