24 marzo 1976

Da mia cognata, argentina, oggi ricevo questa mail:

“Oggi si commemora un’altro anno da quando il 24 marzo 1976 la dittatura nazi-fascista in Argentina usurpò il potere, censurò l’informazione, distrusse il paese e torturò, massacrò 30000 innocenti oggi conosciuti al mondo come “Desaparecidos” .”

Da allora le madri dei desaparecidos, le Madres de la Plaza de Mayo, non hanno mai smesso di combattere per avere giustizia, con tenacia e fermezza. Per onorar loro e i loro figli in questo giorno qui di seguito la storia di una di loro. E un forte abbraccio a Cora.

IL RACCONTO DI HEBE

“Sono figlia di un cappellaio e sono nata in una casa di legno, sulla riva di un fiume, dove ancora vive mia madre. Mi sono sposata molto giovane, mio marito era meccanico, io tessitrice; abbiamo avuto tre figli, due maschi e una femminuccia nata quindici anni dopo. La nostra vita era semplice ma anche molto felice. Io e mio marito avevamo frequentato poco la scuola,, al contrario dei nostri figli, e non li capivamo quando ci parlavano di politica. Io li aiutavo quando mi chiedevano di ospitare qualche compagno e di non dirlo a nessuno, ma lo facevo solo perché ero una mamma molto protettiva.

Sequestrarono mio figlio Jorge l’otto febbraio 1977. Il sei dicembre dello stesso anno toccò a Raùl. Il venticinque maggio del 1978 scomparve Marìa Elena, la moglie di Jorge; sua sorella Marta era già sparita da un pezzo.

Entrai a far parte delle Madri dopo la desaparicìon del primo figlio. Da allora la mia vita è cambiata, io stessa sono diventata un’altra persona. Tutto quello che ho imparato, l’ho imparato lottando in piazza, insieme alle altre madri. Abbiamo condiviso la nostra maternità e io adesso mi sento madre di tutti e trentamila i desaparecidos. Ho capito le ragioni dei miei figli ed oggi sono fiera di essere la madre di due rivoluzionari perché io stessa sono una rivoluzionaria.

Quando hanno portato via i miei figli avevo solo quarantotto anni e mi sono sentita vecchia; oggi ne ho sessantotto ma mi sento vent’anni più giovane perché ho imparato che l’unica lotta che si perde è quella che si abbandona, e perché ho imparato a non patteggiare, a non arrendermi, a non tacere. E tutto questo me lo hanno insegnato i miei figli.

Io non li ricordo né torturati né uccisi: li ricordo vivi! Ogni volta che mi metto il fazzoletto sento il loro abbraccio affettuoso. In Plaza de Mayo, nella nostra piazza, ogni giovedì si riproduce il solo e vero miracolo della resurrezione: noi incontriamo i nostri figli.

Noi non vogliamo le loro ossa. I nostri figli sono desaparecidos per sempre perché la desapariciòn forzata è un crimine contro l’umanità che non va mai in prescrizione e noi vogliamo che gli assassini paghino per quello che hanno fatto.

Noi non vogliamo tombe su cui piangere, perché non c’è tomba che possa rinchiudere un rivoluzionario. I nostri figli non sono cadaveri: sono sogni, utopia, speranza…Sono quello che furono, che pensarono, che cantarono, che scrissero, che soffrirono. Non si può seppellire tutto questo.

Noi non vogliamo rivolgerci ai tribunali di questa democrazia per riavere i nipoti rapiti. Furono considerati dai militari bottino di guerra e come tale andava ripreso, un tempo…Ora sono diventati uomini e donne e, nel caso scoprano la loro vera identità, sta a loro decidere cosa fare della loro vita.

Noi non vogliamo soldi per la vita dei desaparecidos perché la vita non ha prezzo. I miei figli mi hanno insegnato che la vita vale vita. Solamente vita. E non si può riparare con denaro quello che deve essere riparato con Giustizia.

E in Argentina non c’è giustizia, c’è solo impunità, violenza perversa, corruzione. Menem blatera di miracolo economico ma ogni venti minuti un bambino muore di fame, ogni giorno trentasei uomini muoiono per mancanza di assistenza sanitaria e le malattie della miseria si diffondono sempre di più.

La verità è che stanno costruendo una società malata dove la gente accetta una manciata di pesos per i propri morti e gli assassini non vanno in galera. È concepibile accettare soldi dalla stessa mano che ha firmato l’indulto per i criminali? In questo paese il capitalismo prima ti ammazza, poi ti risarcisce. Ma che cosa se ne farà poi la gente di quel denaro? Tutto quello che comprerà puzzerà di morte. So che le mie sono parole dure ma accettare il risarcimento significa prostituirsi perché così si tradiscono i nostri figli e gli ideali per cui hanno dato la vita. Così si perde il senso della lotta collettiva perché il denaro serve solo a farti diventare individualista.

Io ho iniziato a lottare per i miei figli ma oggi lotto per i desaparecidos di tutto il mondo, per i perseguitati, per chi occupa le terre, per gli operai e gli studenti. Io non voglio passare la vita a raccontare come li ammazzarono perché loro non mi hanno insegnato questo. Jorge e Raùl amavano la vita, il comunismo, l’utopia del hombre nuevo: solidale, comunitario, collettivo.

Noi non vogliamo le liste dei morti, vogliamo le liste degli assassini. Noi non dimentichiamo, né perdoniamo e non ci interessa coltivare la cultura della morte. Accettare la morte dei nostri figli significa accettare l’impunità dei responsabili dei crimini della dittatura. Non solo. Significa anche accettare come è stata riscritta la storia della dittatura dagli scrivani della democrazia, i quali hanno riproposto quella che noi chiamiamo la dottrina dei due demoni. Il primo è la guerriglia di sinistra che porta con sé il peccato originale di aver imboccato la via della violenza e di aver provocato l’intervento del secondo demoni: le forze armate. In questo modo, colpevolizzando tutti, mettendo sullo stesso piano vittime e assassini, si assolvono questi ultimi. È un’enorme menzogna: la scomparsa forzata di molti fu un progetto ben preciso di annientamento dell’opposizione politica….

…Noi non trattiamo con nessuno. La nostra linea è chiara. Ci hanno chiamato in tutti i modi: pazze, terroriste, comuniste. Ci odiano perché abbiamo condiviso la nostra maternità, perché viviamo in modo comunitario, perché non siamo le classiche vecchiette piegate dal dolore e dalle disillusioni. E ci odiano soprattutto perché non siamo come le altre: siamo irregolari e chiediamo alla gente di disubbidire perché senza giustizia non può esserci democrazia……

……Oggi i politici, i militari e i preti predicano la riconciliazione. Parlano di pace, amore e libertà comodamente sparapanzati tra il lusso e l’opulenza. Le loro sono solo parole vuote. Nessuno di loro parlava di pace quando uccidevano i nostri figli. In realtà quella che offrono è la pace silenziosa dei sepolcri.

Le Madri della Plaza de Mayo non accettano di vivere in questo teatrino della democrazia, dove si fa credere al popolo che il suo destino si decide alle elezioni. Le Madri non votano, nemmeno il “meno peggio”. Sappiamo che la nostra voce dà noia ai potenti perché è la voce dei nostri figli….

….Mio padre era cappellaio, mia madre casalinga, mio marito meccanico e io tessitrice. La nostra era una vita semplice ma molto felice perché potevamo garantire ai nostri figli una vita dignitosa e un’istruzione adeguata. Ora mi è rimasta solo la figlia; i due maschi, Jorge e Raùl, sono con me e mi riscaldano con il loro amore quando indosso il fazzoletto. Ogni notte mi addormento cullata dai bellissimi ricordi di mamma e ogni mattina mi sveglio piena di odio per gli assassini che me li hanno portati via.”

(da “Le irregolari – Buenos Aires horror tour”
di Massimo Carlotto
ed e/o, 1998)

intervista a Joy

Da articolo 21 (quotidiano online per la libertà d’espressione) postiamo un articolo di Ambra Murè sulla storia di Joy, da via Corelle a Ponte Galeria. E’ anche possibile ascoltare un’intervista a Joy e una al suo avvocato . Vi consiglio caldamente di ascoltare le sue parole. Questa donna coraggiosa racconta direttamente tutto quello che le è accaduto in questi mesi: il CIE di Via Corelli, la denuncia del tentato stupro, delle violenze quotidiane, il processo, la galera e di nuovo il CIE con la minaccia dell’espulsione, la sua vita, le sue speranze :

Qualcuno di noi la ricorderà. Qualcun altro l’avrà già dimenticata. Perché Joy è un personaggio scomodo. 28enne. Nigeriana. Un passato da parrucchiera, in patria. Un altro da prostituta sfruttata, in Italia. Un presente da “clandestina” sballottata da un Cie all’altro. Un futuro incerto. Fin qui, una storia purtroppo simile a tante altre. A rendere speciale Joy è il fatto di aver trovato il coraggio di denunciare, durante il processo per le rivolte nel cie milanese di via Corelli, le violenze e i soprusi che avvengono all’interno di mura ancora più impenetrabili di quelle delle carceri. La verità di Joy è una verità che fa male alle nostre orecchie. Abbiamo deciso comunque di ascoltarla. In questa lunga intervista, lei racconta tutto dall’inizio. Racconta del presunto tentativo di stupro subito da parte dell’ispettore di via Corelli Vittorio Addesso, tentativo da lei denunciato durante il processo e costatole una contro-denuncia per calunnia.

“Si è sdraiato sopra di me, ha cominciato a toccarmi le tette. Io mi sono messa a gridare. ‘Sto solo scherzando’, mi ha detto”. E racconta anche della notte d’estate (13 agosto 2009) in cui gli immigrati inscenarono una rivolta all’interno del cie al grido di “Libertà, libertà”. Quella notte, ricorda Joy, l’ispettore Addesso si presentò nella sua stanza e, senza un motivo, cominciò a picchiarla, accusandola di aver preso parte alla rivolta. Per colpa di quest’accusa, Joy è stata condannata a sei mesi di carcere. Quando le porte della prigione si sono aperte, nel febbraio di quest’anno, è stata prelevata di notte e velocemente rinchiusa in un altro cie. Questa volta a Modena. Da qui, qualche giorno fa, è stata improvvisamente trasferita a Roma, nel centro per immigrati di Ponte Galeria. Nei giorni scorsi, la voce di un suo imminente rimpatrio ha fatto il giro del web. In Nigeria, Joy non può e non vuole tornare. Laggiù l’aspettano i suoi sfruttatori, quelli che l’hanno ingannata promettendole un lavoro onesto in un paese più ricco e poi l’hanno costretta per anni a battere. Si sono già fatti vivi con i suoi familiari e adesso lei teme per la sua vita. La legge italiana dovrebbe e potrebbe proteggerla. Come spiega il suo avvocato, Eugenio Losco, Joy avrebbe diritto a ottenere un permesso di soggiorno speciale per restare in Italia. Un doppio diritto. In quanto vittima di tratta, in base all’articolo 18 del Testo Unico sull’immigrazione. E in quanto persona offesa da un reato (tentato stupro) per il quale deve celebrarsi un processo. Come andrà a finire? “Io non sono fiducioso”, confessa l’avvocato Losco. “E’ evidente che vogliono mandarla via, perché forse temono qualcosa”. E Joy? Cosa vuole lei? “Io voglio solo tornare libera. Desidero uscire da qui, trovare un lavoro normale. Cambiare la mia vita”.

aggiornamenti su Joy e le altre

Aggiornamenti da noi non siamo complici :
16 marzo 2010- Questa mattina Joy è stata trasferita dal Cie di Modena a quello di Ponte Galeria. Sappiamo bene cosa significa questo: che entro un paio di giorni la vogliono espellere.
Pare che proprio ieri a Ponte Galeria sia entrato qualcuno dell’ambasciata nigeriana per fare i riconoscimenti di una decina di nigeriane, azione che prelude sempre all’espulsione a brevissimo termine.
Dunque le voci che giravano riguardo alle pressioni della questura di Milano perché Joy venisse espulsa – nonostante avesse intrapreso un percorso per ottenere l’articolo 18 come vittima di tratta – sono confermate.
Non è bastato alla questura di Milano ‘far sparire’, nella notte fra l’11 e il 12 febbraio, le cinque ragazze dalle carceri in cui erano rinchiuse per riportarle nei Cie. Pur di proteggere Vittorio Addesso, i suoi colleghi sono disposti ad agire nelle maniere più vili.
La storia di Joy ci dimostra come gli apparati repressivi e di controllo dello Stato esigano soprattutto che i ricatti sessuali che ogni donna e trans subisce dentro i Cie rimangano taciuti.
La forza che hanno dimostrato Hellen e Joy fa paura, perché è la forza che smaschera la verità di quello che accade dentro le mura di quei lager per migranti. Gli aguzzini che li controllano stanno facendo di tutto per impedire che questo precedente apra un varco o una breccia in quelle mura.
E che nessuno/a ci venga più a dire che in Italia ci sono leggi contro la violenza sessuale e lo stalking e che è necessario denunciare. Chiunque, da oggi in poi, ancora lo pensa si ricordi bene questo: le forze dell’ordine hanno licenza di stuprare anche grazie alle coperture di cui godono e di un apparato istituzionale connivente.
Ci troverete dappertutto, più che mai inferocite e schifate
dalla vostra miseria e dalla vostra viltà!

NESSUNA PACE PER CHI STUPRA E MOLESTA LE DONNE, TANTO PIU’ SE LO FA FORTE DELLA DIVISA CHE INDOSSA E DELLE CONNIVENZE

Per impedire la deportazione di Joy  presidio mercoledi 17 alle ore 17 sotto le Due Torri a Bologna.

Anche a Milano iniziativa per Joy: mercoledì 17/3/2010 ore 18, volantinaggio in piazzale cadorna davanti alla stazione nord.

donne senza uomini

Al cinema ODEON a Firenze il 9 marzo c’è una giornata dedicata all’artista e regista iraniana Shirin Neshat.

La video-artista incontrerà il pubblico nel pomeriggio e sarà poi presente in sala per l’anteprima del suo film “Donne senza uomini” vincitore del Leone d’Argento alla 66esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

I biglietti saranno disponibili in prevendita alla cassa del cinema da venerdì 5 Marzo

Programma della giornata:

ore 18.00 INGRESSO LIBERO

SHIRIN NESHAT incontra il pubblico

coordina Silvia Lucchesi, direttore Lo schermo dell’arte Film Festival

ore 21.00

Anteprima del film “DONNE SENZA UOMINI” di SHRIN NESHAT con la collaborazione di SHOJA AZARI (Germania, Austria, Francia, 2009, 95′)

alla presenza della regista e dello sceneggiatore Shoja Azari

versione originale con sottotitoli in italiano

Trasposizione (sur)realista e magica del romanzo omonimo di Shahrnush Parsipur, Donne senza uomini segna il debutto alla regia di Shirin Neshat, artista di arte visiva contemporanea, analizza le difficili condizioni sociali all’interno della cultura islamica,con particolare attenzione al ruolo della donna.

Tehran, 1953. Durante il conflitto per emancipare la Persia dalle potenze europee e ottenere la nazionalizzazione della Anglo-Iranian Oil Company, quattro donne di diversa estrazione sociale cercano di sopravvivere ai loro destini tragici e determinati (da padri e fratelli). Munis è una giovane donna con un’appassionata coscienza politica che resiste all’isolamento impostole dal fratello, Faezeh sogna di sposare l’uomo che ama, Fakhiri, sposata senza amore, lascia il marito e riaccende la fiamma di un sentimento trascorso, Zarin è una prostituta abusata dagli uomini di cui non distingue più i volti. A un passo dalla democrazia, sfumata con un golpe militare organizzato dalla CIA, Munis, Faezeh, Fakhiri e Zarin lasceranno la città per la terra, uno spazio prodigioso e bucolico dove dimenticare i soprusi, la sopraffazione, la violenza, il suicidio, lo stupro. Ma fuori dalle mura la Storia avanza, assediandone le vite e le speranze.