”le donne sono una razza nemica”

Grazie a Femminismo a Sud , fonte inesuribile di notizie, ho potuto leggere questo allucinante articolo di Massimo Fini. Un articolo assolutamente misogino, una sequela di luoghi comuni sentiti e risentiti nei secoli sulla “femmina male del mondo”, responsabile di tutti i guai dell’uomo a causa della sua natura perversa, illogica, cattiva, bugiarda, falsa, e così via, ad elencare una immagine della “natura” femminile  degna dell’Inquisizione dei roghi delle streghe (VIVA LE STREGHE!) e di S. Agostino, per il quale, si sa, le donne erano monnezza. Siamo le discendenti del peccato originale, la prima è stata Eva! Le donne, per il signor Fini, se ne dovrebbero stare ferme e zitte, senza pensare e parlare, senza rivendicare diritti  uguaglianza e diversità. E’ necessario tacitarle dietro un velo, reale o simbolico che sia, rinchiuderle nelle case, ristabilire l’autorità del padre.  Di che ha paura il signor Fini?   Forse dell’abisso, della profondità, dell’origine? O più prosaicamente che qualcuno metta in crisi le sue certezze e il suo misero potere da omuncolo da strapazzo? E’ chiaro che è uno incapace di confrontarsi alla pari. Infatti, per finire in bellezza, non ci fa mancare l’istigazione al femminicidio:  “…bisognerebbe estrarre la pistola…”.

E nessuno mi venga a dire che è solo una sottile provocazione, è chiaro, anche se incredibile,  che dice sul serio e, qualunque sia il modo in cui lui  considera se stesso, il suo è il discorso di un ultraconservatore (represso). E poi ce l’hanno con i talebani! E con Berlusconi!

Leggetelo, leggetelo. E consiglio di leggere questo articolo soprattutto a chi compra Il Fatto convinto che sia un giornale di sinistra, solo perchè antiberlusconiano, nonostante sia noto che Marco Travaglio è  uomo di destra,, uno il cui idolo da ragazzo era Cavour (mica Garibaldi!), un ammiratore incondizionato di Indro Montanelli, uno a cui piacciono tanto le galere. Non mi meraviglia affatto che abbia ospitato un articolo di questo genere.

la storia di Najlae

Mentre in Italia si sta tentando di espellere Joy, impedendole così di essere presente al primo eventuale processo nato dalla denuncia di una straniera rinchiusa in un CIE  contro un agente per violenza sessuale, in Francia non sono da meno con le donne migranti che  hanno il coraggio di denunciare le violenze subite. Almeno per lei le mobilitazioni hanno avuto effetto

Da storie migranti riportiamo la vicenda di Najlae, una ragazza marocchina che, arrivata in Francia giovanissima per fuggire da un matrimonio combinato, si è ritrovata a prendere botte dal fratello, con il quale era andata a vivere:

Era arrivata in Francia a 14 anni. Ospite del fratello, Najlae Lhimer, che ora ha 19 anni, è stata spesso vittima della violenza di quest’ultimo, sino all’ultima volta, in cui dopo un episodio di violenza più forte degli altri decide di denunciarlo. Alla gendarmeria di Château-Renard (Loiret) scoprono però che è priva di permesso di soggiorno, l’arrestano per poi espellerla. Sabato 20 febbraio Najlae è stata caricata a forza su un aereo ed espulsa in Marocco. In Francia, numerosi collettivi e gruppi di difesa dei migranti e delle donne fanno sapere che il suo è il quarto caso in pochi mesi, nel Loiret, di donne vittime di violenza espulse o che hanno rischiato di essere espulse, mentre si forma un collettivo di solidarietà che chiede il suo rientro. In Marocco, Najlae trova la solidarietà di un gruppo di uomini e donne impegnate nella difesa dei migranti che seguono il suo caso, denunciano la violenza e l’assurdità della sua espulsione e chiedono il suo rientro in Francia. Qualche settimana dopo, la decisione da parte delle autorità francesi: Najlae Lhimer può rientrare in Francia. Il 13 marzo 2009 Najlae Lhimer ritorna a Parigi, accolta dal comitato di solidarietà.

“Migliaia di donne oggi hanno paura di sporgere denuncia – ha affermato Sihem Habchi, presidente dell’associazione ‘Ni putes ni soumises’ – perche’ sanno che saranno espulse. Sono molto felice che Najlae sia tornata; questo ci permette di lanciare un messaggio forte.”

firenze razzista

Dopo l’aggressione alle trans lo scorso anno, quella di un ragazzo che usciva da un locale gay questa estate, ora è toccato a un senzatetto che dormiva sui suoi cartoni nel centro della città. E’ stato selvaggiamente picchiato, e preso a cinghiate, da un gruppo di ragazzi con le teste rasate. Sull’articolo del “corriere fiorentino” si legge che “gli investigatori stanno cercando di capire cosa ci sia alla base dell’aggressione”. Non vedo proprio cosa ci sia da capire: il razzismo e il fascismo si sa cosa sono. Ma il trend è   continuare a ridurre fatti di chiara matrice razzista a “bravate”, “bullismo” e via dicendo. A considerare bande di fascisti violenti come fossero solo dei ragazzacci un pò annoiati che vanno in giro picchiando chiunque per passare la serata. In realtà i loro obiettivi sono chiari:  gay, trans, stranieri, poveracci. In realtà   Firenze sta diventando sempre più una città di merda, razzista ed escludente, dove i fascisti cominciano a farsi vedere sempre di più, in questi giorni sfilzate di manifesti fascisti con su scritto “orgogliosi di essere italiani” davanti alle scuole (ma chi glie li da i soldi?). Un’amica mi racconta che davanti alla scuola di suo figlio Azione Giovani, in cambio di una firma per non si sa cosa, regalava pezzi di schiacciata!

Comunque conclusione: ai bravi ragazzi italiani una denuncia a piede libero, il senzatetto albanese, denunciato per clandestinità, finirà di sicuro in un CIE.

Una merda. Altro che orgoglio italico…   

24 marzo 1976

Da mia cognata, argentina, oggi ricevo questa mail:

“Oggi si commemora un’altro anno da quando il 24 marzo 1976 la dittatura nazi-fascista in Argentina usurpò il potere, censurò l’informazione, distrusse il paese e torturò, massacrò 30000 innocenti oggi conosciuti al mondo come “Desaparecidos” .”

Da allora le madri dei desaparecidos, le Madres de la Plaza de Mayo, non hanno mai smesso di combattere per avere giustizia, con tenacia e fermezza. Per onorar loro e i loro figli in questo giorno qui di seguito la storia di una di loro. E un forte abbraccio a Cora.

IL RACCONTO DI HEBE

“Sono figlia di un cappellaio e sono nata in una casa di legno, sulla riva di un fiume, dove ancora vive mia madre. Mi sono sposata molto giovane, mio marito era meccanico, io tessitrice; abbiamo avuto tre figli, due maschi e una femminuccia nata quindici anni dopo. La nostra vita era semplice ma anche molto felice. Io e mio marito avevamo frequentato poco la scuola,, al contrario dei nostri figli, e non li capivamo quando ci parlavano di politica. Io li aiutavo quando mi chiedevano di ospitare qualche compagno e di non dirlo a nessuno, ma lo facevo solo perché ero una mamma molto protettiva.

Sequestrarono mio figlio Jorge l’otto febbraio 1977. Il sei dicembre dello stesso anno toccò a Raùl. Il venticinque maggio del 1978 scomparve Marìa Elena, la moglie di Jorge; sua sorella Marta era già sparita da un pezzo.

Entrai a far parte delle Madri dopo la desaparicìon del primo figlio. Da allora la mia vita è cambiata, io stessa sono diventata un’altra persona. Tutto quello che ho imparato, l’ho imparato lottando in piazza, insieme alle altre madri. Abbiamo condiviso la nostra maternità e io adesso mi sento madre di tutti e trentamila i desaparecidos. Ho capito le ragioni dei miei figli ed oggi sono fiera di essere la madre di due rivoluzionari perché io stessa sono una rivoluzionaria.

Quando hanno portato via i miei figli avevo solo quarantotto anni e mi sono sentita vecchia; oggi ne ho sessantotto ma mi sento vent’anni più giovane perché ho imparato che l’unica lotta che si perde è quella che si abbandona, e perché ho imparato a non patteggiare, a non arrendermi, a non tacere. E tutto questo me lo hanno insegnato i miei figli.

Io non li ricordo né torturati né uccisi: li ricordo vivi! Ogni volta che mi metto il fazzoletto sento il loro abbraccio affettuoso. In Plaza de Mayo, nella nostra piazza, ogni giovedì si riproduce il solo e vero miracolo della resurrezione: noi incontriamo i nostri figli.

Noi non vogliamo le loro ossa. I nostri figli sono desaparecidos per sempre perché la desapariciòn forzata è un crimine contro l’umanità che non va mai in prescrizione e noi vogliamo che gli assassini paghino per quello che hanno fatto.

Noi non vogliamo tombe su cui piangere, perché non c’è tomba che possa rinchiudere un rivoluzionario. I nostri figli non sono cadaveri: sono sogni, utopia, speranza…Sono quello che furono, che pensarono, che cantarono, che scrissero, che soffrirono. Non si può seppellire tutto questo.

Noi non vogliamo rivolgerci ai tribunali di questa democrazia per riavere i nipoti rapiti. Furono considerati dai militari bottino di guerra e come tale andava ripreso, un tempo…Ora sono diventati uomini e donne e, nel caso scoprano la loro vera identità, sta a loro decidere cosa fare della loro vita.

Noi non vogliamo soldi per la vita dei desaparecidos perché la vita non ha prezzo. I miei figli mi hanno insegnato che la vita vale vita. Solamente vita. E non si può riparare con denaro quello che deve essere riparato con Giustizia.

E in Argentina non c’è giustizia, c’è solo impunità, violenza perversa, corruzione. Menem blatera di miracolo economico ma ogni venti minuti un bambino muore di fame, ogni giorno trentasei uomini muoiono per mancanza di assistenza sanitaria e le malattie della miseria si diffondono sempre di più.

La verità è che stanno costruendo una società malata dove la gente accetta una manciata di pesos per i propri morti e gli assassini non vanno in galera. È concepibile accettare soldi dalla stessa mano che ha firmato l’indulto per i criminali? In questo paese il capitalismo prima ti ammazza, poi ti risarcisce. Ma che cosa se ne farà poi la gente di quel denaro? Tutto quello che comprerà puzzerà di morte. So che le mie sono parole dure ma accettare il risarcimento significa prostituirsi perché così si tradiscono i nostri figli e gli ideali per cui hanno dato la vita. Così si perde il senso della lotta collettiva perché il denaro serve solo a farti diventare individualista.

Io ho iniziato a lottare per i miei figli ma oggi lotto per i desaparecidos di tutto il mondo, per i perseguitati, per chi occupa le terre, per gli operai e gli studenti. Io non voglio passare la vita a raccontare come li ammazzarono perché loro non mi hanno insegnato questo. Jorge e Raùl amavano la vita, il comunismo, l’utopia del hombre nuevo: solidale, comunitario, collettivo.

Noi non vogliamo le liste dei morti, vogliamo le liste degli assassini. Noi non dimentichiamo, né perdoniamo e non ci interessa coltivare la cultura della morte. Accettare la morte dei nostri figli significa accettare l’impunità dei responsabili dei crimini della dittatura. Non solo. Significa anche accettare come è stata riscritta la storia della dittatura dagli scrivani della democrazia, i quali hanno riproposto quella che noi chiamiamo la dottrina dei due demoni. Il primo è la guerriglia di sinistra che porta con sé il peccato originale di aver imboccato la via della violenza e di aver provocato l’intervento del secondo demoni: le forze armate. In questo modo, colpevolizzando tutti, mettendo sullo stesso piano vittime e assassini, si assolvono questi ultimi. È un’enorme menzogna: la scomparsa forzata di molti fu un progetto ben preciso di annientamento dell’opposizione politica….

…Noi non trattiamo con nessuno. La nostra linea è chiara. Ci hanno chiamato in tutti i modi: pazze, terroriste, comuniste. Ci odiano perché abbiamo condiviso la nostra maternità, perché viviamo in modo comunitario, perché non siamo le classiche vecchiette piegate dal dolore e dalle disillusioni. E ci odiano soprattutto perché non siamo come le altre: siamo irregolari e chiediamo alla gente di disubbidire perché senza giustizia non può esserci democrazia……

……Oggi i politici, i militari e i preti predicano la riconciliazione. Parlano di pace, amore e libertà comodamente sparapanzati tra il lusso e l’opulenza. Le loro sono solo parole vuote. Nessuno di loro parlava di pace quando uccidevano i nostri figli. In realtà quella che offrono è la pace silenziosa dei sepolcri.

Le Madri della Plaza de Mayo non accettano di vivere in questo teatrino della democrazia, dove si fa credere al popolo che il suo destino si decide alle elezioni. Le Madri non votano, nemmeno il “meno peggio”. Sappiamo che la nostra voce dà noia ai potenti perché è la voce dei nostri figli….

….Mio padre era cappellaio, mia madre casalinga, mio marito meccanico e io tessitrice. La nostra era una vita semplice ma molto felice perché potevamo garantire ai nostri figli una vita dignitosa e un’istruzione adeguata. Ora mi è rimasta solo la figlia; i due maschi, Jorge e Raùl, sono con me e mi riscaldano con il loro amore quando indosso il fazzoletto. Ogni notte mi addormento cullata dai bellissimi ricordi di mamma e ogni mattina mi sveglio piena di odio per gli assassini che me li hanno portati via.”

(da “Le irregolari – Buenos Aires horror tour”
di Massimo Carlotto
ed e/o, 1998)

intervista a Joy

Da articolo 21 (quotidiano online per la libertà d’espressione) postiamo un articolo di Ambra Murè sulla storia di Joy, da via Corelle a Ponte Galeria. E’ anche possibile ascoltare un’intervista a Joy e una al suo avvocato . Vi consiglio caldamente di ascoltare le sue parole. Questa donna coraggiosa racconta direttamente tutto quello che le è accaduto in questi mesi: il CIE di Via Corelli, la denuncia del tentato stupro, delle violenze quotidiane, il processo, la galera e di nuovo il CIE con la minaccia dell’espulsione, la sua vita, le sue speranze :

Qualcuno di noi la ricorderà. Qualcun altro l’avrà già dimenticata. Perché Joy è un personaggio scomodo. 28enne. Nigeriana. Un passato da parrucchiera, in patria. Un altro da prostituta sfruttata, in Italia. Un presente da “clandestina” sballottata da un Cie all’altro. Un futuro incerto. Fin qui, una storia purtroppo simile a tante altre. A rendere speciale Joy è il fatto di aver trovato il coraggio di denunciare, durante il processo per le rivolte nel cie milanese di via Corelli, le violenze e i soprusi che avvengono all’interno di mura ancora più impenetrabili di quelle delle carceri. La verità di Joy è una verità che fa male alle nostre orecchie. Abbiamo deciso comunque di ascoltarla. In questa lunga intervista, lei racconta tutto dall’inizio. Racconta del presunto tentativo di stupro subito da parte dell’ispettore di via Corelli Vittorio Addesso, tentativo da lei denunciato durante il processo e costatole una contro-denuncia per calunnia.

“Si è sdraiato sopra di me, ha cominciato a toccarmi le tette. Io mi sono messa a gridare. ‘Sto solo scherzando’, mi ha detto”. E racconta anche della notte d’estate (13 agosto 2009) in cui gli immigrati inscenarono una rivolta all’interno del cie al grido di “Libertà, libertà”. Quella notte, ricorda Joy, l’ispettore Addesso si presentò nella sua stanza e, senza un motivo, cominciò a picchiarla, accusandola di aver preso parte alla rivolta. Per colpa di quest’accusa, Joy è stata condannata a sei mesi di carcere. Quando le porte della prigione si sono aperte, nel febbraio di quest’anno, è stata prelevata di notte e velocemente rinchiusa in un altro cie. Questa volta a Modena. Da qui, qualche giorno fa, è stata improvvisamente trasferita a Roma, nel centro per immigrati di Ponte Galeria. Nei giorni scorsi, la voce di un suo imminente rimpatrio ha fatto il giro del web. In Nigeria, Joy non può e non vuole tornare. Laggiù l’aspettano i suoi sfruttatori, quelli che l’hanno ingannata promettendole un lavoro onesto in un paese più ricco e poi l’hanno costretta per anni a battere. Si sono già fatti vivi con i suoi familiari e adesso lei teme per la sua vita. La legge italiana dovrebbe e potrebbe proteggerla. Come spiega il suo avvocato, Eugenio Losco, Joy avrebbe diritto a ottenere un permesso di soggiorno speciale per restare in Italia. Un doppio diritto. In quanto vittima di tratta, in base all’articolo 18 del Testo Unico sull’immigrazione. E in quanto persona offesa da un reato (tentato stupro) per il quale deve celebrarsi un processo. Come andrà a finire? “Io non sono fiducioso”, confessa l’avvocato Losco. “E’ evidente che vogliono mandarla via, perché forse temono qualcosa”. E Joy? Cosa vuole lei? “Io voglio solo tornare libera. Desidero uscire da qui, trovare un lavoro normale. Cambiare la mia vita”.