mujeres libres


Mujeres libres fu un’organizzazione specificatamente femminile nata all’interno del movimento anarco-sindacalista spagnolo che ebbe vita dall’aprile 1936 al febbraio 1939, durante la guerra Civile.

Molte donne che militavano nel movimento anarchico pensarono che era necessaria la creazione di un’organizzazione specifica per sviluppare pienamente le loro capacità e la loro lotta politica. Cominciarono così a sorgere e ad organizzarsi gruppi. Nel 1934 nasce a Barcellona il Gruppo Culturale Femminile, che insieme al gruppo della rivista Mujeres Libres di Madrid (fondato da Lucia Sanchez Saornil, Mercedes Camaposada Guillèn, Amparo Poch y Gascòn) sarà l’embrione della futura organizzazione.

Mujeres Libres dichiara di voler liberare le donne dalla “schiavitù dell’ignoranza, schiavitù in quanto donne e schiavitù come lavoratrici”. Anche se durò meno di tre anni, Mujeres Libres mobilitò più di 20.000 donne e sviluppò un vasto programma di attività, finalizzate a sviluppare l’empowerment individuale ed allo stesso tempo a costruire un senso di appartenenza comunitaria. Come il movimento anarco-sindacalista spagnolo, di cui queste donne facevano parte, Mujeres Libres riteneva che il pieno sviluppo dell’individualità delle donne dipendesse dalla crescita di un forte sentimento di unione con gli altri. Per questo due aspetti importanti dell’azione politica e della lotta erano per loro il concetto di comunità e l’azione diretta.

Mujeres Libres credeva inoltre in una pratica separata di autovalorizzazione (capacitaciòn) e avvertiva l’esigenza di canali separati per l’educazione delle donne.

Infatti le loro critiche, oltre che a numerosi settori della società spagnola, si indirizzarono anche ai militanti del movimento anarchico stesso, l’ambiente della loro formazione politica. Si condannava in particolare la mancanza di volontà e di preparazione nel promuovere la partecipazione nei centri anarchici delle donne, alle quali la società negava la libera espressione di sé ed affidava un ruolo passivo.

All’interno del movimento anarchico spagnolo infatti, il tema dell’emancipazione femminile aveva sempre riscosso un interesse abbastanza modesto non riuscendo, nonostante le buone intenzioni, ad oltrepassare i limiti di sincere, ma teoriche enunciazioni di principio.

Nonostante questo Mujeres Libres agì sempre in autonomia, ma considerandosi parte integrante del movimento anarchico. La sua connotazione di organizzazione femminista ed anarchica la spingeva a promuovere cambiamenti integrali nella struttura della società, prospettiva che la distanziava enormemente dalle aspirazioni di emancipazione provenienti dalle organizzazioni femminili borghesi allora esistenti e il femminismo dell’organizzazione ebbe come nodo centrale il processo di emancipazione culturale delle donne operaie e contadine.

Su un piano teorico, le linee di intervento dell’organizzazione si articolavano su più punti: accesso al lavoro ad eguale salario, indipendenza economica delle donne, rapporti di coppia basati su unioni libere; istituzione di mense e asili per alleviare gli impegni domestici femminili; educazione libertaria ed educazione sessuale dei bambini; critica del potere maschile all’interno della famiglia; accesso all’aborto e agli anticoncezionali. Riguardo alla prostituzione, Mujeres Libres si opponeva allo sfruttamento sessuale delle donne, però rifiutava di colpire le prostitute, lasciandole senza una fonte di reddito: proponeva pertanto la possibilità di una prostituzione assistita da medici e figure capaci di fornire un sostegno alle prostitute, orientandole a cercare un’altra occupazione.

L’organizzazione promosse una serie di iniziative culturali tra le quali una campagna radiofonica, una serie di dibattiti e conferenze, la raccolta di libri per la creazione di piccole biblioteche. L’interesse che l’organizzazione maturò nei confronti del tema della diffusione della cultura tra le donne, sfociò nella creazione, nelle città di Madrid, Barcellona e Valenza, di istituti denominati Institutos de Mujeres Libres. Nel Casal de la Dona Treballadora e nell’Instituto de Mujeres Libres situati a Barcellona, vennero organizzati corsi scolastici gratuiti che registrarono una intensa partecipazione femminile: nell’arco di pochi mesi, il numero delle iscritte sfiorò il migliaio.

Forte rilievo si dava anche al tema dell’educazione sessuale: per realizzarsi concretamente, l’emancipazione femminile non poteva essere disgiunta dalla conquista dell’emancipazione sessuale, poiché anche in questa sfera la donna non aveva ancora raggiunto una piena libertà di comportamento. Gli scritti apparsi su Mujeres Libres trattarono il tema della sessualità con semplicità e naturalezza, distinguendosi per la capacità di superare il tabù dell’ignoranza in materia di conoscenze sessuali, oltrepassando la cortina di mistero e reticenze che accompagnava i discorsi sull’argomento.

Mujeres Libres criticò senza falsi pudori le limitazioni poste al comportamento femminile dalla morale sessuale borghese e, pur senza schierarsi apertamente a favore del libero amore, sostenne il diritto delle donne a vedere riconosciuta la loro libertà sessuale.

Vedeva nel matrimonio, nella forma in cui era concepito nel sistema capitalista, un rapporto di scambio nel quale la donna barattava il proprio corpo in cambio del mantenimento economico da parte dell’uomo.

Durante i suoi tre anni di attività, Mujeres Libres riuscì a celebrare un unico congresso che si svolse a Valenza a partire dal 20 agosto del 1937 e che diede forma ufficiale alla sua struttura ed alle sue attività.

Nel quadro di tale struttura organizzativa, decentrata ed autonoma nelle parti che la costituivano, un ruolo importante ebbe la rivista Mujeres Libres che si rivelò prezioso strumento di collegamento tra le varie componenti dell’organizzazione.

I rapporti intrattenuti da Mujeres Libres con il movimento anarchico furono sempre abbastanza tesi. Il Movimiento Libertario partecipò, seppure con contribuzioni economiche modeste, alle spese sostenute dall’organizzazione, ma non pervenne mai ad un suo riconoscimento, neppure nel 1938, quando questa consegnò una relazione al Consiglio Regionale del Movimento informandolo dettagliatamente riguardo alla propria natura e ai propri scopi. La motivazione del rifiuto fu che la presenza di una organizzazione specificamente femminile all’interno del movimento anarchico avrebbe potuto avere su di esso un effetto disgregante, con conseguenze nefaste sullo sviluppo futuro degli interessi della classe operaia

L’esperienza di Mujeres Libres, breve, ma ricca e innovativa, si concluse definitivamente nell’aprile del 1939, con la sconfitta della Repubblica da parte del Generalísimo Francisco Franco; l’espatrio forzato in paesi europei o sudamericani di molte delle sue militanti più brillanti la rese irripetibile.

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De toda la vida (Lisa Berger y Carol Mazer, 1986) . documentario sull’organizzazione Mujeres libres  in cui sono intevistate donne che narrano la loro partecipazione alla guerra civile e la loro lotta quotidiana come anarchiche e come donne.

chi vuole la morte di Joy?

da noinonsiamocomplici

Chi vuole la morte di Joy?

Mesi e mesi di vita rubata tra Cie e carcere dopo anni di vita rubata dai suoi sfruttatori. Quello di Joy non è un tentato suicidio, ma un tentato omicidio, e sappiamo bene chi vuole la sua morte: chi sta facendo di tutto per non farla uscire dal Cie, chi da settimane cerca di piegarla e distruggerla psicologicamente, chi cerca di isolarla impedendo i colloqui con lei e negandole la linfa vitale delle relazioni. Tutti/e costoro – e i loro complici – sono responsabili del gesto disperato di Joy che oggi i suoi avvocati hanno voluto denunciare con un comunicato stampa mandato alle agenzie. Chiediamo a chi intende riprendere il comunicato di omettere, come abbiamo fatto noi, il suo cognome.

Immigrazione/ Denunciò stupro al Cie: nigeriana tenta suicidio Il 17 aprile Joy (***) ha ingerito sapone al Cie di Modena (da Apcom) Joy (***), la 28enne nigeriana che ha denunciato un tentativo di violenza sessuale da parte di un ispettore di polizia nel Cie di Milano l’estate scorsa, ha tentato il suicidio all’interno del Centro di identificazione ed espulsione di Modena dove è trattenuta da alcuni mesi. A quanto risulta ad Apcom, il 17 aprile scorso, la donna ha ingerito un intero flacone di sapone ed è stata ricoverata in ospedale dove le è stata praticata una lavanda gatrica. Sentito da Apcom, l’avvocato Eugenio Losco, che insieme con il collega Massimiliano D’Alessio difende la donna, conferma l’episodio: “Se l’è cavata, ma sono molto preoccupato perché, dopo questo tentativo, Joy continua a manifestare propositi suicidi e non vorrei contare il secondo morto nella vicenda seguita alle proteste nel Cie di Milano”. L’avvocato si riferisce al suicidio, nel gennaio scorso, a San Vittore di Mohamed El Aboubj, in carcere dopo la condanna in primo grado nel processo con rito direttissimo per la “rivolta” in cui fu coinvolta anche Joy. “Joy è nei Cie da quasi un anno in attesa di espulsione ed è fisicamente e psicologicamente molto provata, sia per la detenzione che per il dilatarsi dei tempi di inoltro della denuncia che ha fatto contro i suoi sfruttatori e che le farebbe ottenere un permesso di soggiorno per protezione sociale” continua il legale, sottolineando che la situazione per Joy, in Italia dal 2002 per fare la parrucchiera e poi diventata prostituta, si è “ulteriormente aggravata dopo che il 12 aprile scorso, giorno in cui era prevista la sua liberazione, le è stato comunicato che sarebbe dovuta rimanere al Cie per altri due mesi”. Per quanto riguarda la vicenda della presunta violenza sessuale (l’ispettore accusato ha sporto querela contro la donna), l’avvocato fa sapere che l’8 giugno prossimo il Gip Guido Salvini ha fissato l’incidente probatorio per l’audizione della donna nigeriana.

carceri,cie,opg: tortura

Sappiamo bene che  la situazione dentro le carceri è in costante peggioramento.
Sempre più affollati, soprattutto dopo che negli ultimi anni la legge Bossi Fini sull’immigrazione e quella Fini Giovanardi sulle droghe le hanno riempite ancor più che in precedenza di una umanità di poveracci (nel 1990 in Italia si contavano 36.000 persone detenute, alla fine del marzo 2010 i detenuti sono 67.271).
Violenze che si compiono dentro le mura, basti pensare a quello che è accaduto a Stefano Cucchi,  solo per fare l’esempio più eclatante e conosciuto, ma i casi sono molti, troppi. Suicidi. Bombardamenti di psicofarmaci, mentre invece il sistema sanitario è insufficiente e carente.
Altro che “luogo di recupero”- come lo voleva la riforma penitenziaria del ’75-  il carcere è sempre di più uno spazio di contenimento e di esclusione di persone dalle quali una società impaurita da una devastante campagna per la “sicurezza” chiede di essere protetta: immigrati, tossicodipendenti, poveri, emarginati (intanto i veri ladri,  i veri assassini gozzovigliano alla faccia nostra).
In tutta Europa ci troviamo di fronte al fenomeno di una massiccia ricarcerazione.
Si parla sempre meno di pene alternative al carcere e si parla invece di nuova edilizia penitenziaria (che tra l’altro è anche un grande  affare, fiumi di denaro che girano e finiscono nelle tasche dei soliti pescecani).
Alle persone rinchiuse nei carceri dobbiamo aggiungere gli immigrati rinchiusi dei CIE, senza aver compiuto alcun reato, in condizioni ancora peggiori, con ancora meno garanzie (per  esempio: nei Cie non esiete neanche una magistratura di sorveglianza).
A questo aggiungiamo gli OPG (Ospedali Psichiatrici giudiziari), dove esistono ancora i letti di contenzione, dove non ci sono soldi per i farmaci, dove chi entra con l’etichetta di “socialmente pericoloso” è destinato a marcire senza la certezza della pena e il rispetto dei diritti.
Se il fenomeno dell’ aumento della popolazione carceraria è un fenomeno europeo, che ricalaca il modello statunitense ( dove ci sono più carceri che ospedali), l’Italia come al solito si distingue: nel rapporto  del “Comitato per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti” del Consiglio d’Europa fa la sua solita figura di merda:
Carceri, Cie, Opg: l’inferno in Italia

Percosse da parte delle forze dell’ordine, sovraffollamento delle prigioni, condizioni ignobili di vita negli Ospedali psichiatrici giudiziari: a puntare il dito contro il nostro paese è il «Comitato per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani o degradanti» del Consiglio d’Europa.

Il Comitato per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani o degradanti del Consiglio d’Europa ha pubblicato il rapporto relativo alla quinta visita effettuata sul territorio italiano tra il 14 e il 26 settembre 2008. L’Italia fa una pessima figura. Il rapporto riferisce che la delegazione del Comitato ha ricevuto un certo numero di denunce di presunti maltrattamenti fisici e/o di uso eccessivo della forza da parte di agenti della polizia e dei carabinieri e, in minor misura, da parte di agenti della guardia di finanza. Nelle 84 pagine del rapporto, vengono denunciati diversi casi di maltrattamenti subiti sia al momento dell’arresto sia subito dopo il fermo, e anche in carcere. Si tratta di pugni, calci o manganellate, provati anche nel Centro di identificazione e di espulsione di via Corelli a Milano.

Sul fronte delle carceri, il rapporto pone l’accento sul sovraffollamento, sulla questione delle cure mediche e sul trattamento dei detenuti sottoposti al regime di massima sicurezza [il «41-bis»]. Il Comitato ha espresso «la più viva preoccupazione» per il livello di violenza registrato nelle carceri di Brescia-Mombello e di Cagliari-Buoncammino, dove episodi di violenza tra detenuti nel corso del 2008 hanno causato lesioni gravi e, in un caso, la morte di un carcerato. Per tutta risposta le autorità italiane hanno evidenziato che l’amministrazione penitenziaria ha invitato le prigioni di Brescia e di Cagliari a prendere tutte le misure necessarie per impedire la violenza tra detenuti.

Sotto accusa anche l’Ospedale psichiatrico giudiziario Filippo Saporito di Aversa. Secondo il rapporto le condizioni della struttura sono scadenti. La delegazione ha riscontrato che alcuni pazienti erano stati trattenuti nell’Opg più a lungo di quanto non lo richiedessero le loro condizioni, e che altri erano trattenuti nell’ospedale anche oltre lo scadere del termine previsto dall’ordine di internamento. Il rapporto ha denunciato che in alcuni casi i pazienti erano tenuti, al momento della visita del comitato e quindi nel settembre 2008, «legati al letto seminudi, 24 ore su 24 anche per dieci giorni, sdraiati su un materasso con un foro al centro sotto al quale c’è un secchio in cui finiscono gli escrementi». Una situazione definita «incredibile» da Marc Neve, componente del Comitato, e indicata come la più grave nel documento. Nell’ospedale psichiatrico giudiziario i letti di contenzione «non ci sono più dal gennaio 2009 – ha detto all’Ansa Adolfo Ferraro, psichiatra, direttore sanitario della struttura – C’è sicuramente un problema di sovraffollamento, con 300 internati a fronte di una capienza che non dovrebbe superare le 160 unità. C’è una carenza di personale sanitario a fronte di una prevalenza di quello penitenziario, in seguito a quanto previsto dal governo Prodi che ha fatto degli Opg vere e proprie strutture carcerarie. Le persone vivono ammassate l’una all’altra, le presenze sono il doppio di quelle che sarebbero consentite».

Vi segnalo anche  una iniziativa dell’ associazione “Liberarsi” :

L’Associazione LIBERARSI e la Chiesa Valdese di Firenze organizzano

MAI DIRE MAI

DIBATTITO SULL’ABOLIZIONE DELL’ERGASTOLO

presso

Centro Comunitario Valdese, via Manzoni 21 – Firenze

Mercoledì 28 aprile 2010

ore 21.00

Coordina:

Giuseppe Battaglia (Associazione Liberarsi – Ass. Progetto Arcobaleno)

Introduce:

Pawel Gajiewski (Pastore della Chiesa Valdese di Firenze)

Intervengono:

Beniamino Deidda (Procuratore Generale della Toscana)

Nicola Valentino (Autore del libro “L’ergastolo – dall’inizio alla fine” Cooperativa Editoriale Sensibili alle Foglie)

Sandro Margara (Presidente Fondazione Michelucci)

Associazione Liberarsi onlus

via A.Tavanti, 20 – 50134 Firenze – Tel e fax 055 473070

Torino 24 aprile: Nessun patto sulle nostre vite

da femminismoasud diffondiamo:

Manifestazione:  Nessun patto sui nostri corpi!

Contro un patto per la vita che ha sapore di morte

scendiamo tutt* in piazza!

Sabato 24 aprile 2010

Manifestazione cittadina a Torino in Piazza Castello alle ore 15.30

Siamo donne e uomini di diverse realtà del movimento torinese che si sono ritrovate in seguito alla sottoscrizione del neopresidente alla Regione Piemonte Roberto Cota del cosiddetto “Patto per la vita e per la famiglia” e alle dichiarazioni da lui rilasciate immediatamente dopo le elezioni in merito alla pillola Ru486, all’aborto e al Pride.

Abbiamo deciso di incontrarci e unirci in assemblea per iniziare un percorso di mobilitazione e controinformazione, per dare una prima risposta politica immediata a Cota e al suo famigerato patto Lega – Vaticano.

Saremo in Piazza Castello a Torino sabato 24 aprile alle ore 15.30, ad un mese esatto dalla sottoscrizione del patto, per una manifestazione il più partecipata possibile.

Reagiamo a Cota punto per punto e proponiamo il nostro patto per le nostre vite!

Noi donne e uomini sottoscriviamo un patto per le nostre vite fondato sull’autodeterminazione e la libertà di scelta. Vogliamo essere liber* di decidere come nascere, vivere e morire. Vogliamo poter scegliere come costruire e gestire i nostri rapporti, le nostre relazioni, la nostra sessualità.

Se per Cota l’aborto è un crimine e la pillola Ru486 una banalizzazione perchè le donne devono sempre e in ogni caso soffrire, noi vogliamo che ogni donna possa decidere se e quando diventare madre e avere il diritto di essere assistita in strutture pubbliche e gratuite.

Rigettiamo qualsiasi ipotesi di presenza del Movimento per la vita, nei consultori, negli ospedali, nelle scuole.

Se per Cota la vita da tutelare è solo quella dell’embrione, noi invece pensiamo a tutte quelle vite non tutelate e lasciate sole, costrette ad affrontare la loro quotidianità senza reddito, lavoro, casa, diritti, servizi.

Pretendiamo di poter scegliere sui nostri corpi anche alla fine della nostra vita, senza accanimenti e strumentalizzazioni.

Se per Cota esiste solo la famiglia monogamica, eterosessuale e fondata sul matrimonio cattolico, noi consideriamo una ricchezza la pluralità di modi differenti di vivere e di amarsi.

Vogliamo vivere liberamente la nostra sessualità!

Se per Cota e la Lega i migranti sono solo criminali, prostitute, badanti o schiavi, per noi sono donne e uomini che come noi aspirano e hanno diritto ad un’esistenza migliore.

Respingiamo ogni forma di discriminazione volta a criminalizzare le/i migranti.

Contro un patto per la vita che ha sapore di morte!

Assemblea “Nessun patto sulle nostre vite”

—>>>Per info o se arrivi da lontano e hai bisogno di ospitalità contatta:  nessunpattosullenostrevite@gmail.com