A settembre sono stata a fare un giro nei paesi baschi e, tra spiagge, pinchos, vino della rioja e txakolì, ho anche trovato, alla semana grande di Bilbao e in qualche taverna di piccoli paesi, orme di femministe e segni di dibattito su temi che sono all’ordine del giorno un pò dappertutto. Perciò mi è venuta voglia di curiosare un pò tra le femministe basche. Per ora ho tradotto (scusate le mie traduzioni, ma faccio quello che posso!) da kaosenlared questa intervista , in cui sono espresse opinioni con cui ognuna può essere o meno daccordo, ma che toccano nodi che mi sembrano fondamentali.
Intervista a Begoňa Zabala, attivista di Emakume Intenazionalistak, sullo stato del movimento femminista, i dibattiti in corso e le prospettive di lotta.
Per iniziare, a che punto si trova attualmente il movimento femminista?
Credo che il movimento femminista di cui noi facciamo parte, cioè quello quello delle assemblee in Euskadi e nello stato spagnolo, quel movimento femminista radicale degli anni ’70, assembleare, indipendente e molto alternativo, si trovi ad un bivio.
Da una parte non ci sono dubbi sul fatto che il femminismo istituzionale e ufficiale, “politicamente corretto”, stia occupando molti spazi pubblici. Sta diventando molto visibile e, in un certo modo, toglie spazio al femminismo più combattivo.
D’altra parte, c’è una irruzione di un movimento molto giovane, molto ribelle e molto alternativo che può essere quello che si aggrega a questa lotta. Cioè se da un lato il movimento è un po’ giù di corda per la istituzionalizzazione e per l’agenda politica che ha seguito, da quando ha fatto irruzione il movimento antiglobalizzazione- che è stato molto ribelle e molto forte, con gruppi di ragazze giovani, lottatrici e molto contestatarie- si sta creando un ponte con il movimento femminista radicale e si tornerà ad avere una nuova onda di questo tipo di femminismo.
In questo momento, con la crisi, abbiamo visto che le donne ne soffrono molto più le conseguenze. Una cosa di cui si parla è “la crisi della cura”. Può spiegarci in cosa consiste e come lottare contro di lei?
Il capitalismo nel secolo XIX, nella sua versione primitiva e selvaggia, può contare su una famiglia nucleare, che si fa carico dei lavori di cura; di quello che è stato chiamato “lavoro riproduttivo”. Conta su un maschio, che sta a capo della famiglia-colui che porta a casa il pane.
Su queste analisi della famiglia, iniziate dal marxismo,c’è stato molto dibattito e non c’è un accordo al 100%. Però quello su cui siamo daccordo (all’interno della sinistra) è che il lavoro di cura non sia ricaduto esclusivamente sulle donne, ma che sia anche stato veicolato dalla famiglia. Questo è abbastanza importante.
Poi ci sono altri fenomeni, come l’aumento della speranza di vita, che ha provocato il fatto che ci siano più persone anziane, più malati, persone che necessitano di cura. Altri fenomeni consustanziali alla crisi del capitalismo, come il fatto che queste crisi si ripercuotano sui servizi sociali. Così ci ritroviamo in una situazione in cui non c’è assistenza nè da parte della famiglia- cioè principalmente le donne- né dallo stesso sistema di previdenza. Le donne si sono inserite nel mercato del lavoro e lo Stato non ha istituito servizi sociali sufficienti. Neanche gli uomini, a causa della saturazione del mondo del lavoro, o politica o sindacale- o per altri motivi- hanno assunto questi lavori di cura. Siamo di fronte a una importante crisi.
Questa crisi la stiamo vedendo qui, nella sua forma interna. Ma si è anche introdotto un elemento importante a livello internazionale, ed è il fatto che si può contare su una mano d’opera che viene a fare questi lavori di cura in modo gratuito o a condizioni molto precarie. Quando sembrava che non fosse rimasto altro da fare che creare servizi sociali, dividersi i compiti, questa conciliazione che è così di moda…appare questa mano d’opera femminile che va a ricoprire questo ruolo di sostituzione nella cura.
Per questo è una crisi di importanza internazionale molto grande. Il capitalismo occidentale può spostare milioni di donne in una condizione senza diritti per realizzare questi lavori? Tra questi lavori non ci sono solo il mondo della cura dei bambini e degli anziani, ma anche il mondo dell’affetto, della riproduzione, della sessualità. Improvvisamente appaiono delle donne che vogliono avere figli in una famiglia tradizionale, o vogliono essere mogli e madri, o svolgono questi compiti per denaro, o vogliono mantenere rapporti sessuali secondo il modello tradizionale maschile – cioè rispondono ai desideri di molti maschi. Questo introduce un elemento che internazionalizza la crisi della cura.
Questa è una contraddizione importante del sistema, e credo che parlando di crisi dovremmo sempre averlo presente.
Visto che stiamo toccando il tema, qual’è la vostra posizione rispetto alla prostituzione? E’ di per se stessa una forma di sfruttamento? E’ possibile un’altra forma di prostituzione in cui le lavoratrici abbiano pieni diritti?
In primo luogo, questo è un tema molto controverso e complesso, però c’è una parte di femminismo di cui noi facciamo parte, che ha sempre discusso all’interno di limiti molto concreti.
In generale non ha avuto posizioni abolizioniste né proibizioniste. Da parte di questo movimento femminista non si è mai prospettato- tutto il contrario- il fatto che la prostituzione sia proibita o resa illegale, né che entri, come viene prospettato da alcuni circoli, come reato nella legge sulla violenza di genere. Questo non è un dibattito interno al movimento femminista.
Inoltre la prostituzione è un fenomeno molto complesso e può essere visto da molti punti di vista. Lo inizi ad analizzare e vedi molti elementi, ma casualmente tutti hanno un’opinione. Cioè, una volta assunto che è qualcosa di molto complesso, tutti dicono: “io lo legalizzerei”, “io lo abolirei”, “io lo proibirei”. E’ curioso tutto questo prendere posizione, ed è perchè si tratta di uno dei grandi tabù della società.
Cosa vuole dire questo? Perchè in generale prendiamo posizione un po’ influenzati dai pregiudizi, senza aver analizzato molto. Pregiudizi non in senso negativo, ma nel senso di preragionamenti. Per questo cerchiamo di entrare in questo dibattito smontando i discorsi che ci portano ad analizzare se esista o no sfruttamento sessuale nella prostituzione, se sia un modello di sfruttamento dell’uomo sulla donna, e così a demonizzarla.
Io credo che questo sia un dibattito sbagliato. Cerchiamo di muoverci verso un altra prospettiva e fondamentalmente andiamo ad analizzare la situazione in cui si sta producendo la prostituzione: ci sono donne sequestrate, obbligate…In questi casi siamo le prime a denunciare che questo è un delitto, non perchè commerciano il proprio corpo, ma perchè sono obbligate a farlo.
Però c’è poi un altro elemento: il puro scambio commerciale di sesso con denaro, a livello di relazione sessuale personale, per telefono, di sauna…Questo, in se stesso, non lo vogliamo? Ci sembra una cosa negativa? Dev’essere considerato un delitto? Mi sembra che non sia il massimo il fatto che ci siano persone che devono guadagnarsi da vivere con un’attività stigmatizzata come molto negativa e che altre persone abbiano relazioni sessuali a pagamento perchè non possono o non vogliono averle in un modo “più naturale”. Ma questo non determina niente riguardo al fatto che sia male, o un delitto, o degradante, o indegno.
Se, di fronte a questa situazione quello che si prospetta è che le donne che si prostituiscono siano espulse o che si ritrovino ad essere processate perchè denuncianio i prpri sfruttatori, se questa è la strada, io la rifiuto assolutamente. Invece penso che per trovare una soluzione a questa situazione bisogna rendere più forti le donne, dar loro diritti affinchè si possano trovare per lo meno nella nostra situazione.
Il femminismo istituzionale sta guadagnandosi un certo protagonismo grazie alle misure che sta varando il governo, come il tema dell’aborto, l’uso di un linguaggio non sessista, ecc. qual’è la vostra posizione rispetto a tutte queste misure? Credete che servano realmente a qualcosa, o sono semplicemente pezze che finiscono per non aggiustare niente?
Il femminismo istituzionale, del quale secondo il mio punto di vista rientrano la sinistra moderata, i sindacati maggioritari come CCOO, UGT, settori accademici ecc. fa una scommessa su un femminismo che ha molta tradizione in Europa e che è molto affermato, che è il femminismo liberale. Sono le tesi secondo le quali all’interno di una società “democratica”- di uno Stato di diritto- si è già realizzata la grande rivoluzione dei diritti e dell’uguaglianza per gli uomini. E ora si può ottenere lo stesso per le donne. E’ l’impostazione delle Illuministe che filosoficamente è molto interessante e che fece reali passi avanti, ma che mi sembra politicamente sbagliato e ottuso, senza soluzioni.
Con la rivoluzione francese e con quella europea appaiono i diritti del cittadino, per l’uomo maschio appaiono con una connotazione molto chiara, e questi diritti non si possono estendere alle donne perchè sono stati creati proprio a scapito delle donne.
Quando non viene riconosciuto un diritto, il primo obbligo di un gruppo oppresso è lottare per il riconoscimento di quel diritto, siano i neri o gli indios, le minoranze immigrate o le donne. E’ una tappa di un processo in un momento determinato, neanche di una rivoluzione, ma di un processo democratico obbligato per qualsiasi gruppo oppresso. Perchè non ti lasciano votare per il solo fatto di essere una donna?
E’ la stessa cosa ora con gli immigrati. Perchè le persone immigrate non hanno il diritto di stare qui? Una volta che avranno ottenuto questo non avranno fatto altro che cominciare. Come diceva Hannah Arendt , si è ottenuto “il diritto ad avere diritti”. Ora andiamo a vedere quali diritti vogliamo.
Allora, è in questa prima parte che il femminismo istituzionale sta lavorando, per il conseguimento dell’uguaglianza a qualsiasi costo, a costo di misurarci tutte con lo stesso metro e renderci uguali. Uguali a chi? A quali uomini? Agli uomini operai che vengono licenziati? Agli uomini ricchi che sfruttano? Agli uomini immigrati che non hanno diritti?
Io credo che molta di questa politica vada verso le tesi della uguaglianza, della conciliazione nella vita familiare, della parità degli spazi…Bisogna dire che questi cambiamenti non modificano alla base il dominio patriarcale.
Quello che noi chiediamo è di aumentare la portata delle rivendicazioni de i nostri diritti sessuali e riproduttivi, e la legge sull’aborto ha ridotto la possibilità di abortire. Di fatto, il terzo caso, che si applicava nel 95% dei casi di aborto, che era quello della salute della donna, non aveva limiti di tempo, e ora invece li ha. Nonostante questo il fatto che la legge depenalizzi ampliamente l’aborto e comprenda, in una certa misura, il riconoscimento dei diritti sessuali e riproduttivi, è un avanzamento. Speriamo comunque che si prendano misure perchè si realizzino le interruzioni di gravidanza in centri pubblici.
C’è stato un tempo in questo dibattito durante il quale il movimento femminista ha fatto un’analisi molto chiara contro la famiglia nucleare, la dominazione patriarcale, il modello monogamico ed eterosessuale. Per queste impostazioni la famiglia era la prima istituzione di oppressione della donna.
Il secondo punto era più complicato. Si doveva cercare un modello alternativo alla famiglia. E in questo si semplificò troppo. C’era chi indicava come parola d’ordine l’abolizione della famiglia e la sua sostituzione con modelli alternativi tipo le comuni.
Bisogna considerare la famiglia e tutto quello che è: trasmissione di autorità, aggressioni, socializzazione di bambini in un modello gerarchico, sottovalutazione delle donne…Ma ci sono anche elementi molto importanti per la sussistenza e la resistenza. E anche per la solidarietà. Il cuscinetto affettivo che rappresenta la famiglia per i suoi membri è insostituibile. Può funzionare anche da supporto economico nei momenti di crisi. E questo bisogna averlo chiaro. Anche se il sistema familiare è in se stesso un sistema di dominazione contro le donne, contro i minori, ed è anche un veicolo attraverso il quale questi modelli si riproducono, ha anche cose buone. C’è un mondo di affetti che io credo vada reso visibile e fatto emergere, che sta lì e che non si può improvvisamente ignorare.
Diciamo che la lotta fondamentale è quella contro la struttura della famiglia tradizionale. Cioè contro le funzioni di dominazione e oppressione che questa famiglia esercita. E non tanto per cercare un modello alternativo che sostituisca la famiglia. Bisogna rompere costantemente quello che la famiglia ci vuole imporre: l’autorità come modello di relazione; la violenza sia fisica che psichica come modello di socializzazione; l’amore, il sesso, l’affetto e la maternità-paternità come unica relazione obbligata e per tutta la vita di due persone.
La divisione sessuale del lavoro dentro e fuori la famiglia e l’assegnazione dei compiti della cura e delle relazioni sociali alle donne…fuggendo da queste funzioni assegnate come obbligatorie, sicuramente costruiremo un nostro modello che sarà più liberatore.
Per terminare, a mò di sintesi: che tipo di femminismo è necessario e chi deve far parte di questa lotta?
Credo che manchi un femminismo molto radicale. Bisogna analizzare la situazione, tornare agli anni ’70- nel senso della radicalità, non dello stato delle cose- e mettere a fuoco, prima di tutto, che ci troviamo di fronte a uno Stato molto forte, molto repressivo e molto istituzionalizzato, e a una democrazia molto corrotta. E’ questo stato, l’apparato di potere che che veicola e riproduce in gran parte la dominazione patriarcale. Il femminismo non può passare attraverso lo Stato.
In secondo luogo c’è un modello economico- non solo quello della crisi, bensì tutto il modello di produzione e riproduzione- che è fondamentale nell’oppressione delle donne, e che inoltre sta cercando delle soluzioni false e che deve essere il nostro secondo punto nel mirino. E’ importante introdurre nell’analisi del modello economico il mondo della cura e dei lavori riproduttivi.
E in terzo luogo, non abbiamo altro che il corpo, e credo che le lotte di riappropriazione del corpo devono essere di nuovo in prima linea. E questo ci indica anche chi sono i nostri alleati: la gente che sta lottando per riappropriarsi del proprio corpo, la gente che sta lottando contro il sistema capitalista e la gente che sta lottando contro uno stato molto autoritario, molto antidemocratico e molto corrotto.