#Firenze: “la Ragazza della Fortezza siamo noi”

La discussione, interessante, complessa, difficile, sulle motivazioni della sentenza che assolve, con sentenza definitiva, sei persone dal reato di stupro di gruppo nei confronti della Ragazza della Fortezza, non è ancora finita. Ho ricevuto e pubblicato la lettera della ragazza, il testo della sentenza, la lettera di una delle persone assolte. Ho formulato analisi e ora, alla vigilia della manifestazione fiorentina, accolgo il contributo di Alessandra Pauncz, psicologa e psicoterapeuta, fondatrice a Firenze del C.a.m. (Centro ascolto uomini maltrattanti). Buona lettura!

fonte: http://abbattoimuri.wordpress.com/2015/07/27/firenze-la-ragazza-della-fortezza-siamo-noi/

La Ragazza della Fortezza siamo noi

di Alessandra Pauncz

Come spesso accade con le situazioni di violenza, la difficoltà e quella della distanza da cui guardiamo ai fatti.
Chi di noi non ricorda una serata goliardica ed alcolica recente o passata. Situazioni con gruppi di ragazzi, alcuni conosciuti, altri meno, in cui alcool ed erotismo si mischiano al salmastro di notti estive che rinfrescano giornate torride.
Di flirt più o meno spinti con più di un ragazzo/a che a fine serata possono evolvere in avventure. Dove c’è una certa fluidità ed intercambiabilità sull’esito della serata.

Occasioni in cui si dicono dei sì e si dico

no dei no, che se non vengono rispettati fanno di noi la ragazza o i ragazzi della Fortezza.
Forse dovremmo partire dalla vicinanza con nostre storie simili, piuttosto che da una posizione di distanza nel guardare a questa vicenda. Le verità processuali hanno meccanismi propri che spesso si allontanano dall’esperienza soggettiva di chi interpreta i ruoli di accusa e difesa. La dicotomia legata all’innocenza e alla colpevolezza catalizza la nostra attenzione distogliendoci da noi stessi. Siamo noi le vittime? Accusati ingiustamente? Siamo noi le vittime? Aggredite brutalmente? Nei commenti e nelle riflessioni lette in questi giorni spesso mi domando: a quali degli episodi della tua vita stai connettendo questa storia?
Ecco quello che leggo io dalla sentenza di assoluzione.

La Ragazza della Fortezza era con persone che considerava amiche. Forse anche qualche cosa di più. Aveva avuto un rapporto nel pomeriggio con uno di loro e avevano girato un film insieme. Erano persone di cui si fidava. Con loro ha passato una serata che fino ad un certo punto è stata gol

iardica, alcolica, lasciva e divertente. Hanno flirtato ed ammiccato e si sono avviati ad una fine serata su di giri. Quando è uscita dalla fortezza appoggiata agli amici perché molto alticcia e anche a cause delle avances entranti dei ragazzi, una ragazza le ha chiesto se aveva bisogno di aiuto. Lei ha scherzato e risposto di no. Ovvio! Poteva essere consenziente oppure infastidita dal loro atteggiamento, ma all’insegna della serata non era il caso di drammatizzare…perché si fidava! Erano amici.

Perché ha chiamato al telefono l’amico che si era perso all’uscita? Perché era un amico ed è così che si fa tra gli amici: ci si cerca e ci si protegge.
Quello che è successo dopo è un’altra storia. L’eccitazione dei ragazzi li ha portati a pensare di poter usare il corpo della ragazza come se fosse una “cosa” inerme. Non c’era più l’amica e nemmeno la persona, ma solo un oggetto sessuale. Indipendentemente dal fatto che lei non rispondesse in alcuno modo (ci si concentra molto sul quanto abbia opposto resistenza, ma poco sul quanto avesse espresso consenso). Nel racconto lei ha parlato di essersi sentita in pericolo di vit

a e di aver perso conto di quello che stava succedendo. Chi è familiare con la violenza sessuale sa che spesso le vittime hanno degli episodi di dissociazione quando subiscono la violenza. Significa che per proteggersi da quello che avviene la mente ha un momento di black out. Non si pensa, non si ricorda. Chi subisce una violenza può avere una risposta involontaria di totale passività, perché percepisce l’azione sessuale non consensuale come un pericolo di vita e la risposta istintiva diviene la sopravvivenza. Per sopravvivere si attiva una parte primitiva del cervello che paralizza le risposte cognitive e comanda l’immobilismo o la fuga. Dopo i fatti, molte vittime si sentono in colpa per non aver reagito, senza rendersi conto di quali dei gesti e delle azioni commesse ha trasmesso loro il senso di pericolo di vita. Invariabilmente ci sono, ma qualche volta, con il senno di poi, potendo ragionare sugli eventi (senza il pilota automatico) tali minacce possono apparire in una luce diversa.

Alla luce di questo è perfettamente compatibile che una persona non sappia dov’è quando esce dalla macchina, se la violenza è avvenuta nel posto X o nel posto Y, se erano 6 o 7, se la bici era legata da una parte o dall’altra, se la telefonata è avvenuta alle 4 o alle 4.40.
Se dopo una serata ad alto contenuto alcolico e sessuale con amici di cui mi fido, all’improvviso si cambia registro e mi ritrovo bloccata nel retro di una macchina con comportamenti ed atteggiamenti minacciosi che mi fanno sentire in pericolo di vita per cui momentaneamente e per ragioni che non capisco razionalmente sono completamente passiva e lontana, per poi riprendermi ad un certo punto, urlare basta ed allontanarmi, non è strano che faccia confusione su dettagli del tutto irrilevanti.

“Esisto. Nonostante abbia vissuto anni

sotto shock, sia stata imbottita di psicofarmaci, abbia convissuto con attacchi di panico e incubi ricorrenti, abbia tentato il suicidio più e più volte, abbia dovuto ricostruir a stenti briciola dopo briciola, frammento dopo frammento, la mia vita distrutta, maciullata dalla violenza: la violenza che mi è stata arrecata quella notte, la violenza dei mille interrogatori della polizia, la violenza di 19 ore di processo in cui è stata dissezionata la mia vita dal tipo di mutande che porto al perché mi ritengo bisessuale…”

Non c’è assolutamente niente di anomalo o strano nell’ incoerenza del suo racconto. Sarei molto più sospettosa se si ricordasse tutto per filo e per segno, avesse segnato sull’agenda l’orario ed il tragitto dell’auto. Sapesse declinare alla perfezione le generalità di tutti convenuti, con l’orario di convocazione allo stupro, la prestazione effettuata e l’orario preciso di chiusura lavori.

E’ quindi ovvio che ci siano “29” incongruenze (anche se l’unico aspetto veramente grave è che sia stato accusato ingiustamente un ragazzo che non c’era. Le altre confusioni ed informazioni mi scuseranno i detrattori della ragazza, ma mi sembrano incredibilmente triviali. Perché mentire su questi aspetti?).

E’ ovvio che abbia trasmesso il suo vissuto di paura al pronto soccorso e poi nei verbali di denuncia, è compatibile che non ci fossero particolare segni di violenza riscontrati al Pronto Soccorso perché è riuscita ad evitare la violenza con la passività del pilota automatico della sopravvivenza.
Le reazioni della ragazza sono del tutto conformi a quanto ci dicono le evidenze scientifiche succeda nei casi di violenza sessuale. Senza alcun bisogno di interpretare.
In sentenza invece si interpreta in modo non solo poco ovvio, ma francamente contorto.

L’idea che una parte della poca attendibilità della Ragazza della Fortezza derivasse da “un atteggiamento sicuramente ambivalente nei confronti del sesso, che evidentemente l’aveva condotta a scelte da lei stessa non pacificamente condivise e vissute traumaticamente o contraddittoriamente, come quella di partecipare dopo il fatto ad un “workshop” estivo denominato

‘Sex in Transition’ o prima del fatto di interpretare uno dei film “splatter” del regista amatoriale intriso di scena di sesso e di violenza che aveva mostrato di ‘reggere’ senza problemi” è francamente non giustificabile.

Ad essere messe sotto scrutinio sono la sua sessualità e la libera espressione di questa con dettagli di vita personale e le sue decisione di partecipare liberamente ad atti sessuali.
Questo non dovrebbe avere il benché minimo peso sulla ricostruzione dei fatti in oggetto.

Una parola a parte per i ragazzi. Nel dare l’interpretazione più benevola possibile alle loro azioni, posso dire, che al termine di una serata connotata da alcool e ammiccamenti hanno pensato che la persona con cui erano potesse essere consenziente. Hanno poi completamente staccato la testa ed i sentimenti da quello che stava davvero succedendo e non hanno guardato alla persona, ma hanno visto un oggetto sessuale inerme. Fosse stata una bambola gonfiabile sarebbe stato uguale. Così facendo hanno tradito la fiducia di una amica e probabilmente si sono sentiti in colpa dopo.

Il 28 dovremmo schierarci c

on lei perché la sua storia potrebbe essere la nostra.
Siamo tutti coinvolti e siamo tutti responsabili.
Dobbiamo batterci perché viviamo in una cultura che stigmatizza la libertà sessuale femminile. Che vuole imporre un codice morale eterosessuale e normativo a come le persone devono vivere la propria sessualità.
Dobbiamo batterci per una cultura del rispetto delle persone che valorizzi il consenso espresso dai sì e dalla piena partecipazione alle pratiche sessuali. Una cultura che nutra l’espressione di una sessualità maschile che possa esprimersi con ricchezza, che sia sempre ben consapevole della propria forza, che veda sempre nel consenso e nella mutualità la base di ogni scambio sessuale.
Dobbiamo cambiare la cultura per permettere alle nostre figlie di esprimere liberamente la loro sessualità ed insegnare ai nostri figli a fermarsi senza un sì.

Ps: per fruire del diritto di replica scrivete a abbattoimuri@grrlz.net