Cochabamba: Conferenza mondiale dei popoli sul cambiamento climatico e i diritti della madre terra

Si terrà a Cochabamba, in Bolivia, la prima Conferenza Mondiale dei Popoli sul Cambiamento Climatico e i Diritti della Terra: comincerà il 20 aprile e si concluderà il 22, nel giorno della Madre Terra.

Dopo il fallimento di Copenaghen si riprende il discorso dal basso. La farsa di quel vertice, l’incontro tra le tante realtà che lì si sono opposte che si sono confrontate  ed hanno agito insieme ha aperto  possibilità inedite. Chi ancorasi illudeva di poter “fare pressione” sui governi si è reso conto che è necessario invece  costruire alternative mettendo in moto comunità e individui che si uniscano ed agiscano autonomamente. E’ ormai chiaro ai più che il problema è quello globale di una cambiamento di sistema, che è l’attuale modello di sviluppo capitalista la causa scatenante della crisi ambientale. Il problema non si risolve con le lampadine a risparmio energetico o la difesa della foca monaca: è la struttura stessa del capitalismo ad essere incompatibile con una seria politica ambientale. Ed è insieme un problema di conflitto sociale: i contadini poveri del mondo non hanno gli stessi interessi dei banchieri e dei ricchi imprenditori. Lotta per la giustizia sociale e lotta per la sopravvivenza della terra devono andare insieme.

Non a caso il vertice si terrà in Bolivia, l’unico paese al mondo che ha un ministero dell’Ambiente, Biodiversità e Cambiamento Climatico. La cui Costituzione , come quella dell’Ecuador,  contempla i diritti della natura e  si pone come obiettivo il buen vivir, la fine della visione antropocentrica del mondo.  Costituzione nata dalla lotte sociali, che ha preso ispirazione dalle guerre per l’acqua e per il gas; che  accanto a forme di democrazia rappresentativa, prevede forme di democrazia diretta, partecipativa e comunitaria; in cui acqua, elettricità, telecomunicazioni, gas, salute e istruzioni sono dichiarati diritti universali e non mercificabili.

Un buon punto di partenza, sempre che i movimenti e le persone continuino a muoversi, e che non si deleghi niente a nessun governo, neanche a quello di Evo Morales.

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